La scomparsa di Papa Francesco
Il ritratto di papa Francesco, il papa venuto dalla "fine del.mondo" a cura di Rossella Fabiani

Un innovatore, un combattente, un Papa arrivato “quasi dalla fine del mondo”, come disse subito dopo la sua elezione, il 13 marzo di dodici anni fa. Un Papa con una visione molto concreta del mondo che lo pone nel solco di pontefici come Giovanni XXIII o Giovanni Paolo II. Un Papa che ha stabilito anche molti primati. E’ il primo nato in America Latina, anche se i genitori di Jorge Mario Bergoglio erano italianiemigrati in Argentina. E’ il primo gesuita. Ed è stato il primo a prendere, come Papa, il nome di Francesco: scelta che, fatta da un gesuita, è apparsa allora tanto più sorprendente. Come sorprendente è stata quella sua prima parola pronunciata dalla finestra su piazza San Pietro:“Buonasera”. Un saluto semplice, diretto, familiare che è, poi, rimasto la cifra del suo modo di rivolgersi ai fedeli.
Il suo candido “buonasera” non era soltanto unsaluto ma una dichiarazione d’intenti. La prova simbolica di come il Papa neoeletto immaginava la sua Chiesa. E questo lo fece subito definire un Papa rivoluzionario. Anche se, a dispetto della vulgata, la sua non è mai stata una dottrina opposta rispetto a quella dei predecessori. Pur avendo sempre predicato quella che chiamava la “Teologia delle tre T” (tierra, techo, trabajo, che significano terra, casa e lavoro), Bergoglio non è mai stato marxista, non è mai stato rivoluzionario e, anzi,ha combattuto la “Teologia della Liberazione”diffusa nel suo Sudamerica.
Programmatica, invece, è stata la scelta del nome Francesco: una decisione inedita, storica, un omaggio al frate di Assisi che parlava con gli animali e che si era spogliato di tutto per donareai poveri. Come nacque quella scelta Bergoglio lo ha raccontato personalmente: il cardinale di San Paolo, Claudio Hummes, lo aveva esortato a “non dimenticarsi dei poveri”. E così, mano a mano che lo scrutinio del Conclave si completava, il futuro Papa sentiva crescere dentro di sé la certezza che quello fosse il nome giusto. Perché San Francesco d’Assisi “è per me l'uomo della povertà, l'uomo della pace, l'uomo che ama e custodisce il creato”. L’uomodi “una Chiesa povera e per i poveri”.
E uno dei cardini dell’azione pastorale di Papa Francesco è stato subito quello di andare nelle periferie del mondo, nei luoghi più remoti della Terra, là dove i cattolici - ma anche le minoranze religiose - non hanno voce, sono perseguitate e private dei diritti. Come i Rohingya, popolo molto caro a Bergoglio, incontrato nel corso del viaggio apostolico in Birmania e Bangladesh (2017). O come i nativi americani incontrati, tre anni fa nel viaggio inCanada. O come quando, nel viaggio in Congo del gennaio 2023, ha speso parole di vicinanza per le popolazioni dell’Est del Paese dove si combatte ancora oggi.
Secondo la stessa impostazione, Papa Francesco ha denunciato la “cultura dello scarto”: il considerare comunità, interi popoli, come persone da escludere, da respingere. Da qui l’attenzione al tema delle migrazioni, dell’accoglienza dei profughi (il suo primo, simbolico, viaggio fu a Lampedusa, terra d’approdo e di naufragi). Una questione da affrontare a livello europeo, ha sempre dettoBergoglio. Anche dopo la tragedia di Cutro, il Papa ha sottolineato l’urgenza di bloccare i trafficanti di uomini, gli scafisti che per interesse mettono a rischio la vita di migliaia di disperati. Parole fatte proprie anche dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.
Su questo tema si innesta il suo dialogo con l’Islam, uno dei successi di questo Papato: non è solo questione di accogliere i migranti, che trasformano il Mediterraneo nel “più grande cimitero del Pianeta”. Non è nemmeno questione di ricordare che siamo tutti fratelli. È, semmai, la necessità di far maturare quelrapporto con le altre fedi avviato con il Concilio Vaticano II. In questo senso, si spiegano la visita all'Università al-Azhar del Cairo, centro propulsivo dell'Islam moderato; la firma della Dichiarazione sulla Fratellanza di Dubai; l’incontro in Iraq con l'imam sciita al-Sistani. E’ stato il primo Papa a visitare l’Iraq e a celebrare la messa a Erbil in Kurdistan.
Tra i momenti forti di questi ultimi anni, una delle immagini che non dimenticheremo mai è quella del Pontefice, spettralmente soloin una Piazza San Pietro buia, bagnata di pioggia e di paura, in occasione della supplica alla Madonna Salus Populi Romani per chiedere la fine della pandemia di Covid appena scoppiata. Era il 27 marzo 2020, in pieno lockdown, con l’Italia e il mondo chiusi in casa per contenere il contagio.
La cerimonia religiosa fu scandita prima dalla liturgia della Parola, cui seguì l’intensa meditazione del Papa, che parlò di “fitte tenebre addensate sulle nostre piazze, strade e città,che si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti”. Quel giorno seguì la preghiera dinanzi al Crocifisso di San Marcello al Corso, che nel 1522 salvò Roma dalla peste. A distanza dianni, con il giusto distacco da quei tempi di sofferenza e incertezza, non ci sono dubbi sul fatto che Bergoglio ci abbia regalato un’istantanea storica tra le più forti del suo Pontificato.
In questi dodici anni, l’attenzione del Papa al perseguimento della pace tra i popoli e della cessazione di conflitti e violenze è sempre stata al centro del suo magistero. E da quando in Ucraina è deflagrato il conflitto tra Mosca e Kiev, non c’è occasione in cui il Pontefice non abbia speso un accorato appello per la salvezza del “martoriato popolo ucraino”, per le sofferenze a cui sono sottoposti i civili, i profughi, i rifugiati, soprattutto i più deboli, come donne e bambini. Lo stesso accorato appello ripetuto tante volte anche per Gaza e la sorte del popolo palestinese. Tanto che, quando la diplomazia guarda alle personalità che più di altre hanno svolto un ruolo di mediazione tra le parti in causa per agevolare la fine delle ostilità, Papa Francesco è uno dei riferimenti principali.
Anche a costo di recarsi personalmente inUcraina e in Russia per incontrare i rispettivi presidenti e chiedere a una voce, a entrambi, di far cessare le armi e far suonare le sirene della pace. Il suo desiderio di recarsi a Kiev e a Mosca si è scontrato con la difficile situazione sul campo e con l’assenza delle condizioni per svolgere le due “missioni”. Ma la tenacia e la determinazione di Bergoglio sono due dei suoi tratti più caratteristici, e ha continuato a insistere su questo punto adesso che un dialogo tra le parti sembra finalmente possibile.
A riprova di quanto il tema sia stato al centro della sua azione, in occasione dell’ultima festa dell’Immacolata Concezione, l’abbiamo visto piangere ai piedi della Colonna mariana in Piazza di Spagna, pregando per la fine della guerra. Una guerra, tuttavia, che il Papa non circoscrive mai al solo Donbass, all’Est Europa,ma estende a tutto il mondo. Al conflitto in Medio Oriente tra Israele, Hamas e Hezbollah, prima di tutto. Ma anche alle decine di regioni e di popoli colpiti dalle guerre dimenticate: non è recente l’espressione, citata più volte, della “terza guerra mondiale a pezzetti” un conflitto generalizzato a cui manca soltanto l’ufficialità di un’attribuzione storiografica ma che, per il gran numero di nazioni e di popoli coinvolti è, di fatto, già mondiale.
Da infaticabile globetrotter e inguaribile ed eclettico estroverso (la sua anima latina), in questi anni Papa Francesco ha incontrato le più grandi personalità del mondo della politica, della scienza, della cultura, dello sport e dell’arte. In incontri ufficiali o in visite private, il Pontefice argentino è stato di volta in volta immortalato con capi di Stato e presidenti (da Obama aPutin, da Trump ad Angela Merkel), con presidenti e premier italiani (Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi, Meloni e Sergio Mattarella, con autorità religiose di altre fedi e confessioni (dal rabbino capo della comunità romana, Riccardo Di Segni, all’ayatollah sciita Al-Sistani, in Iraq). Sino ai momenti più intimi, privati, a volte anche in contesti istituzionali, con attori, attivisti, musicisti, uomini di cultura: da Greta Thunberga Bono Vox, da Roberto Benigni a Diego Armando Maradona.
Un’attività frenetica e instancabile, insomma, che però negli ultimi tempi ha dovuto subire un rallentamento. La prima causa è stato il dolore al ginocchio provocato da una pregressa gonalgia che, con l’avanzare dell’età, si eraandata accentuando. Negli ultimi tempi lo si è visto muoversi in sedia a rotelle o camminare con l’aiuto di un bastone. Del resto, Bergoglio era pur sempre un uomo di 88 anni, reduce da non pochi problemi di salute: quando era ragazzo, intorno ai 20 anni, soffrì di una seria forma di polmonite che rese necessario asportargli la parte superiore del polmone destro. E proprio dai polmoni è venuta l’ultima offesa alla sua salute. Nel tempo, una forma di artrosi dell’anca ha rallentato il suo passo: nel 1994 ha subito un intervento per l’applicazione di una protesi, che secondo il parere di alcuni ortopedici sarebbe all’origine dei problemi attuali al ginocchio. Infine, l’operazione eseguita nel luglio di due anni fa al Policlinico Gemelli per una stenosi diverticolare del sigma (intestino), che ha comportato la rimozione di una parte del colon.
Da qualche anno, ormai, ciclicamente era stataevocata l’ipotesi di possibili dimissioni: la rinuncia all’incarico sulla scia del suo predecessore, Joseph Ratzinger, che con un gesto eclatante aprì la strada alla sua ascesa al Soglio di Pietro. “Si governa con la testa, non con il ginocchio” ha sempre ribattuto Francesco, mettendo in chiaro che fin quando le forze glieloavrebbero consentito, lui sarebbe andato avanti senza eccessi e senza strappi, commisurando la sua azione di Papa alle sue forze. “Ho già firmato le mie dimissioni, in caso di impedimento medico”, aveva ribadito in un’intervista del dicembre 2022,
Il 31 dicembre di quell’anno era terminatal’insolita coabitazione tra i due Papi che si è dipanata nel segno della reciproca stima e della grande considerazione di Bergoglio per Ratzinger, indicato sempre come maestro di fede ed esempio di santità da seguire. Il tutto a dispetto delle voci malevole, dei semi di zizzania sparsi dentro e fuori il Vaticano da una supposta fazione “ratzingeriana” (considerata reazionaria) contro una altrettanto fantomatica fazione “bergogliana” (considerata progressista).
Niente di più falso: “La morte di Benedetto XVI è stata strumentalizzata”, ha detto chiaro e tondo Papa Francesco, ribadendo il suo sincero dispiacere per le dicerie circolate nelle ore immediatamente successive alla scomparsa del Papa Emerito. Ratzinger per anni è stato messo da una parte della Chiesa a fargli da contraltare. Bergoglio ha saputo gestire il passaggio evitando sia di farne subito un santo, sia di passare come il suo “liquidatore”. Bergoglio ha sempre manifestato un rispetto filiale per il predecessore, nonché una sincera vicinanza, con frequenti chiamate o visite. “È come avere il nonno saggio in casa”, ha detto più volte, per riconoscere il coraggio e il sostegno che gli dava poter avere vicino a sé la saggezza, l'esperienza, l’umiltà e la sterminata cultura teologica del Papa emerito. “Ho sentito – raccontò Francesco – che alcuni sono andati a lamentarsi da lui perché ‘Questo nuovo Papa...’. Lui li ha cacciati via. Con il migliore stile bavarese, educato, ma fermo. ‘C’è un solo Papa’, gli ha risposto”.
La vicinanza di Ratzinger, fin dal 2013, ha consentito a Bergoglio di proseguire lungo la via che era già stata tracciata da Benedetto XVI verso una completa riforma della Curia e della struttura di governo della Chiesa cattolica, riforme in parte suggerite, ispirate e avviate dal predecessore dopo lo scandalo Vatileaks, la fuga di notizie e il furto di documenti dalla scrivania del Pontefice. E così, Papa Francesco si è mosso verso una completa riorganizzazione della Congregazione per la dottrina della fede. Anche in funzione della lotta ai casi di pedofilia all’interno del clero, per rendere questa battaglia più incisiva. Qui si è sentita tutta la sua modernità: diverse Chiese nazionali – la polacca, la cilena, la francese e l'italiana, persino la statunitense – sono state costrette al mea culpa e, in alcuni casi, rivoltate come calzini. Vescovi rei di insabbiamento cacciati, cardinali colpevoli di abusi sessuali ridotti allo stato laicale. Efficienti gesuiti – proprio come lui – messi a capo di alcune commissioni per contrastare il fenomeno. Il Codice è stato cambiato: la pedofilia non viene più vista come mancanza contro la Chiesa ma come reato contro la persona. Tra i frenatori, il cardinale Marx, che ha chiesto di non fare nulla. Francesco gli ha ricordato che è di Pilato il lavarsene le mani.
Ma Bergoglio, seppur al termine di ripensamenti e discussioni, ha approvato e varato anche lariforma della Curia aprendo ai laici alcune cariche che prima erano appannaggio esclusivo dei religiosi. E ancora la riforma dello Ior, l’accorpamento di alcuni dicasteri, il progressivo riconoscimento del ruolo delle donne in posizioni chiave della struttura ecclesiastica. Se si guarda, poi, ai documenti che ha promulgato, si ritrova una fedele e corrispondente rappresentazione di quella che è la “firma” del suo Pontificato, caratterizzato da una spiccata attenzione alle questioni ricorrenti dell’ecologia, della cura del Creato, della Misericordia, della fratellanza.
Dalla Lumen Fidei (2013) alla Laudato sì (2015) sino alla Fratelli tutti (2020), le Encicliche di Francesco scandiscono i suoi anni da Pontefice all’insegna di precisi “fili conduttori”. Una delle idee più audaci e originali è quella di legare l'ecumenismo all'ambientalismo, proiettando la Chiesa in una nuova dimensione, una nuova missione, un nuovo ruolo guida per il mondo contemporaneo. Lo si è visto anche negli altri documenti pubblicati, oltre alle Encicliche: dalle Esortazioni apostoliche ai Motu Proprio.Su tutte, l’Evangelii Gaudium, sulla gioia di annunciare il Vangelo. Facendolo non come realtà distaccata e dottrinaria, che impartisce lezioni dall’alto della sua autorità. Ma come fatto umanissimo, come comunità che resta coinvolta, si mescola tra la gente, si sporca: la Chiesa come un “ospedale da campo dopo una battaglia”, immagine più volte evocata da Francesco.
Di quei fili conduttori, il più importante è sicuramente la Misericordia, fin dalla scelta del proprio motto “Miserando atque eligendo”. Proseguendo con l’invenzione di una speciale medicina, la “Misericordina”, suggerita nel corso dell’Angelus del 17 novembre 2013. Per continuare con il Giubileo straordinario della Misericordia, indetto sette anni fa. Nome e volto di Dio, la Misericordia è per Francesco il tratto più forte della sua Chiesa, il sentimento con cui il Papa ha sempre invitato ogni cristiano (e ogni singolo uomo) ad agire e operare nel mondo.Tema anche del Giubileo in corso che Francesco ha aperto già sofferente in carrozzella, prima del ricovero al Gemelli.
La Misericordia è riscontrabile anche nelle molteplici declinazioni che, per Francesco, si possono dare a questa virtù: dal bando mondiale della pena di morte all’accoglienza verso le persone omosessuali (celebre la sua frase “Se una persona è gay e cerca Dio, chi sono io per giudicarla?”). Le scelte del Papa si sono tradotte anche nei Concistori per la nomina di nuovi cardinali, con i quali ha ridisegnato il Collegio cardinalizio all’insegna di una “Chiesa francescana”, a immagine e somiglianza del suo Pastore, con tante “prime volte”: le prime porpore da Haiti, Birmania, Panama, Capo Verde, Tonga, Repubblica centrafricana, Bangladesh, Papua Nuova Guinea, Mali, Svezia, Laos, El Salvador, Lussemburgo, Brunei. E poi, ancora: la prima porpora afroamericana, oltre alla nomina di un cardinale di appena 48 anni (Giorgio Marengo).
E così, sono passati dodici anni. Un tempo lungo ma relativamente breve, durante il quale il primo Pontefice gesuita della bimillenaria storia della Chiesa ha plasmato di sé, delle sue scelte e del suo stile - tanto osteggiato quanto amato - l’intera comunità cristiana, un popolo immenso e variegato: due miliardi e mezzo di persone che dai più lontani confini della Terra guardano sempre alla propria guida, a quel Vicario di Cristo che papa Francesco ha interpretato conla gioia della fede anche nei giorni più difficiliche hanno preceduto la sua scomparsa.