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Israele: report di ottobre 2024

Il mese di ottobre è stato denso di avvenimenti, per lo stato ebraico. Ha avuto inizio con il secondo attacco dell’Iran ad Israele, nella tarda serata del 1° ottobre, quando dal territorio iraniano sono partiti tra i 180 e i 200 missili balistici contro lo stato ebraico. I danni sono stati di ridotta entità e gli iraniani ci hanno tenuto a far sapere che, per ora, non è loro intenzione coinvolgere civili. Come già accaduto per l’attacco in aprile, le intenzioni di Teheran erano state rese già note dai servizi statunitensi prima del bombardamento e Usa, Regno Unito, Francia e Giordania hanno contribuito alla difesa di Israele. Per la prima volta nella storia, Netanyahu si è rivolto direttamente al popolo iraniano, accennando ad un cambiamento di regime nel loro paese che potrebbe giungere presto. Per quanto riguarda il Libano, già prima dell’uccisione di Nasrallah il 27 settembre, Israele aveva dato inizio ad un serie ininterrotta di violenti bombardamenti, eliminando figure di spicco del movimento sciita e distruggendo centri militari nevralgici.

Gli Usa e la Francia, per evitare un’ulteriore escalation, avevano proposto a Netanyahu un cessate il fuoco con Hezbollah che il premier israeliano sembrava aver accettato per poi rimangiarsi la parola. E proprio a poche ore dal discorso di Netanyahu all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in cui ha ribadito che gli attacchi contro il Partito di Dio sarebbero continuati, un massiccio bombardamento delle forze aeree israeliano ha colpito il quartier generale di Hezbollah a Beirut e causato la morte di Nasrallah. Il Partito di Dio ha raggiunto il suo nadir, è stato profondamente umiliato e non può che essere preda della più grande confusione. Non è ancora stato sradicato del tutto, come non lo è Hamas a Gaza, ma per riorganizzarsi ci vorrà tempo. Israele, comunque, sembra deciso a risolvere il problema dei proxy iraniani una volta per tutte e ha bombardato violentemente anche il porto yemenita di Hodeidah. Intanto, truppe dell’IDF sono entrate nel Libano meridionale allo scopo di continuare a distruggere le infrastrutture di Hezbollah che, da parte sua, continua a lanciare razzi contro Israele. L’attacco al Libano ha anche lo scopo di riportare a casa i circa 70mila sfollati israeliani che hanno dovuto allontanarsi a causa dei continui scambi di fuoco al confine. Comunque, osservando le operazioni che Israele ha portato avanti in questo mese – Gaza, Libano, Yemen, Siria – si ha l’impressione che Tel Aviv voglia definitivamente liberarsi Del cosiddetto “anello di fuoco” di cui l’Iran ha voluto circondarlo.

Particolare scalpore ha destato il fuoco che le truppe israeliane nel Libano meridionale hanno aperto contro tre posizioni tenute dai peacekeepers delle Nazioni UniteIsraele aveva chiesto di ritirare le forze dell’ONU già la settimana scorsa, informando il comando della missione delle Nazioni Unite nel paese (UNIFIL) delle sue intenzioni di dare inizio a quelle che aveva definito “incursioni limitate” in territorio libanese. La risposta, però, era stata negativa. Il portavoce della missione Onu aveva dichiarato che i peacekeeper sarebbero rimasti nelle posizioni e la bandiera dell’ONU avrebbe continuato a sventolare.

In base alle notizie rilasciate dalle Nazioni Unite, due militari sono rimasti feriti nell’attacco, anche se in modo lieve. L’ONU fa anche notare che l’UNIFIL si trova in Libano “per contribuire al ritorno alla stabilità in base al mandato del Consiglio di sicurezza del 2006. Qualunque attacco deliberato contro peacekeepers è dunque “una grave violazione della legge internazionale umanitaria”. Gli attacchi, che sono continuati nei giorni successivi, hanno destato la collera del Segretario Generale Guterres e dei 40 paesi i cui uomini fanno parte delle forze di peacekeeping.. Anche il nostro premier, Giorgia Meloni, e il nostro ministro della Difesa Guido Crosetto, hanno vivamente protestato.

Intanto, Biden e Netanyahu hanno parlato al telefono per una cinquantina di minuti per coordinare la risposta di Israele all’attacco iraniano, che sarà colpire solo obiettivi militari e non pozzi petroliferi o centrali nucleari, come si era ventilato. E’ stato inoltre inviata dagli USA una Terminal High Altitude Area Defense battery (THAAD), insieme al personale necessario a manovrarl, per difendere Israele da eventuali attacchi balistici iraniani.

Nonostante l’invio del THAAD e il reiterato appoggio incondizionato di Washington a Tel Aviv, in una lettera privata l’Amministrazione USA ha avvisato lo stato ebraico che se, entro trenta giorni, non avesse di distribuire permesso a Gaza gli aiuti umanitari in attesa da settimane, la vendita di armi a Tel Aviv avrebbe potuto essere a rischio. Mercoledì,16 0ttobre, 50 camion sono finalmente entrati nella Striscia, le cui condizioni umanitarie non fanno che deteriorarsi e a Gaza City, nel nord, 400mila persone sono bloccate nonostante gli ordini di evacuazione da parte dell’IDF. Le recenti operazioni in Libano tendono a concentrare su di sé tutta l’attenzione, ma la guerra continua nella Striscia, né cessano i raid e gli attacchi dei coloni in Cisgiordana. Se non fosse per le continue manifestazioni dei parenti, anche gli ostaggi sembrerebbero ormai dimenticati.

Dopo un anno di ricerche, Yahya Sinwar, leader militare e politico di Hamas, l’architetto dei massacri del 7 ottobre 2023, è stato ucciso durante un normale pattugliamento dai soldati dell’IDF. Non è esagerato dire che è stato un caso. Insieme a lui sono rimasti uccisi altri due miliziani, ma non è stata trovata traccia degli ostaggi che, si era detto, lo circondavano per fargli da scudo. Il riconoscimento del cadavere è stato confermato grazie alle impronte dentarie e al DNA già in possesso degli israeliani e risalente al lungo periodo, 22 anni, che Sinwar aveva trascorso nelle loro prigioni.

Condannato all’ergastolo per l’uccisione di palestinesi considerati collaboratori di Israele, Sinwar fu rilasciato nel 2011 come parte dell’accordo per la liberazione di Gilad Shalit. Descritto come un uomo intelligente e razionale, ma anche sadico e inflessibile, era stato nominato capo politico di Hamas dopo l’assassinio di Ismail Haniyeh a Teheran, il 31 luglio, sempre per mano israeliana. La sua nomina, vista la fama che lo accompagnava da anni, aveva fatto temere in un irrigidimento del processo negoziale per il cessate il fuoco a Gaza e per la liberazione degli ostaggi.

La sua morte ha fatto sperare nella fine del conflitto nella Striscia, ma non è stato così. Israele sembra intenzionato a continuare gli attacchi, che ora si concentrano contro il campo profughi di Jabalya, nel nord della Striscia. Il Segretario di Stato USA Blinken, attualmente in visita nella regione, in un incontro con i familiari degli ostaggi americani, aveva parlato di un piano in cui, in una prima fase, sarebbe stato liberato un numero limitato di ostaggi in cambio di un cessate il fuoco temporaneo. La proposta era stata discussa anche dal capo dello Shin Bet, Ronen Bar, e dal nuovo capo dell’intelligence egiziana, Hassan Mahmoud Rashad, ricevendo però un convinto diniego sia da parte di Israele, sia da parte di Hamas, attualmente governato dei leader senior residenti a Gaza e all’estero.

Continuano intanto le operazioni dell’IDF in Libano e numerose sono state le perdite da una parte e dall’altra, mentre aumentano i profughi. Hezbollah risponde giornalmente agli attacchi israeliani in Libano con lanci di razzi e di droni. Uno di essi ha anche colpito la residenza privata del premier Netanyahu a Cesarea, causando solo danni minori. L’IDF ha, intanto, notificato di aver ucciso, tre settimane fa, Hashem Saffiedine, capo del Consiglio Esecutivo di Hezbollah, e successore designato di Hassan Nasrallah. Blinken, che nel suo viaggio, l’undicesimo nella regione, ha avuto una serie di colloqui con Netanyahu e altri alti funzionari, ha dichiarato che, ormai assicurato il successo su Hamas, è tempo di porre fine al conflitto. Il segretario USA ha invitato Israele a cogliere l’opportunità di una normalizzazione con l’Arabia Saudita. Proprio di questo discuterà a Riyad, dove è giunto ieri.

Le fonti definiscono il piano come “morto e sepolto”, dal momento che il regno saudita pretende, prima di ogni possibile azione, la creazione di uno stato palestinese che, per Tel Aviv, è del tutto fuori discussione. Tuttavia, porre fine ai conflitti in corso ed evitare un’escalation con l’Iran sarebbero un successo non da poco per il presidente uscente.

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