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Accordo tra UAE, Israele e Giordania per la costruzione di un impianto solare e di un impianto di desalinizzazione

Il 22 novembre è stata firmata ad Abu Dhabi una dichiarazione di intenti tra UAE, Israele e Giordania, mediata dagli USA, per la costruzione nel regno hashemita di un impianto solare che fornirà energia ad Israele. Da parte sua, Israele desalinizzerà l’acqua marina per fornire acqua dolce alla Giordania.

La stampa israeliana e araba confermano che il 22 novembre è stata firmata una dichiarazione di intenti tra Israele, la Giordania e gli Emirati Arabi Uniti, mediata dagli Stati Uniti, per la costruzione di un impianto solare in territorio giordano che genererà energia elettrica per Israele, e un impianto di desalinizzazione in territorio israeliano per fornire acqua alla Giordania.

La firma del documento da parte del ministro dei cambiamenti climatici emiratino, del ministro dell’acqua giordano e del ministro dell’energia israeliano è avvenuta a Dubai, nell’ambito dell’Expo 2020 . La ministra della protezione ambientale israeliana, Tamar Zandberg, ha ricordato che l’idea originaria è stata presentata, vari anni fa, da EcoPeace Middle East, una NGO costituita da ambientalisti giordani, palestinesi e israeliani che hanno operato “per l’attuazione e il compimento del progetto” e “lavorato a benefico dell’ambiente, della nostra regione e dei legami tra noi”.

In base al progetto, l’azienda statale emiratina “Masdar” (la città sorgente) costruirà una fattoria solare nel deserto giordano. Una volta che l’impianto sarà operativo, nel 2030, produrrà il 2% dell’energia di Israele, che pagherà $180 milioni all’anno al governo giordano e all’azienda emiratina.

SI tratta del più grande progetto di cooperazione a livello regionale intrapreso da Israele con i Paesi vicini, reso possibile dagli Accordi di Abramo. Il progetto servirà anche ad aumentare l’importanza strategica dei rapporti tra Israele e la Giordania, già notevolmente migliorati dopo la nomina di Naftali Bennet a primo Ministro.

Un aspetto interessante del piano, secondo alcuni analisti, è che prevede la cooperazione di due Paesi che sono in pace dal 1994 con uno dei partner degli Accordi di Abramo “fornendo un modello per future normalizzazioni”.

La dichiarazione dimostra anche che gli Accordi di Abramo possono essere utili in vari settori. Sino ad oggi, le mosse diplomatiche effettuate nel loro ambito hanno mirato, per lo più, a far aumentare il numero di Paesi che vi aderiscono e a migliorare le relazioni bilaterali tra Israele e gli Stati firmatari. Anche se l’impegno per raggiungere questi due obiettivi deve continuare, è chiaro che l’attuale progetto apre la strada al potenziamento delle relazioni con “la prima generazione dei pacificatori arabi”.

Il regno hashemita è considerato dagli Stati Uniti, dall’UAE e da Israele un alleato per il mantenimento della pace nella regione e la sua stabilità interna è considerata fondamentale. L’intenzione dei Paesi aderenti al progetto, facilitato dall’intervento statunitense, è dunque anche quella di non lasciare che la grave carenza d’acqua che colpisce la Giordania possa creare difficoltà a livello sociale e politico.

Vi è anche un altro fatto da tenere in considerazione. All’indomani della firma degli Accordi di Abramo, vari commentatori hanno notato che, mettendo in secondo piano la questione palestinese, avrebbero potuto causare reazioni violente e anche un maggiore avvicinamento tra i palestinesi e Teheran, entrambi rimasti sempre più isolati.

Forse, da questo punto di vista, il recente accordo potrebbe in qualche modo giocare a favore della distensione con i palestinesi. La Giordania è, da sempre, il più grande sostenitore della causa palestinese e, insieme all’Egitto, l’altro Paese appartenente alla prima generazione di pacificatori arabi, ha più volte fatto da mediatore nei conflitti tra Israele e i palestinesi. La normalizzazione dei rapporti tra Amman, il Cairo e Israele, definiti, sino a tempi molto recenti, una “pace fredda”, può essere facilitata dai Paesi che aderiscono agli Accordi di Abramo e, di conseguenza, facilitare anche la ripresa del dialogo sulla questione palestinese.

È evidente che l’attuale governo israeliano, la cui variegata composizione politica, che va dai partiti definiti di destra, favorevoli all’annessione della Cisgiordania, a quelli della sinistra favorevoli alla soluzione dei due stati, con la presenza di un partito arabo, potrebbe non essere in grado di promuovere o di facilitare tale dialogo. Non si può escludere, tuttavia, che, in un futuro non troppo lontano, la rinnovata e più profonda cooperazione tra Israele, Egitto e Giordania possa avere effetti positivi sulla situazione dei palestinesi. Con l’assistenza di qualche Paese arabo e quella degli Stati Uniti di Biden.

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