Cambiamenti climatici e agricoltura: l’importanza della ricerca e della cooperazione scientifica
Far fronte all’impatto dei cambiamenti climatici sull’agricoltura è una delle sfide più importanti per il futuro dei paesi del Mediterraneo. Quanto contano in questo settore ricerca e innovazione. L’analisi di Silvia Camisasca
WATDEV (Climate Smart WATer Management and Sustainable DEVelopment for Food and Agriculture in East Africa entre International de Hautes Etudes Agronomiques Méditerranéennes) rappresenta concretamente cosa significhi fare ‘cooperazione internazionale’. Qui, infatti, tutte le attività di ricerca sono sostenute e accompagnate da un approccio partecipativo, all’interno del quale le diverse ‘buone pratiche’ agricole di gestione delle risorse naturali vengono individuate e discusse con gli attori e le comunità locali, con le autorità competenti, tra cui i Ministeri delle Risorse Idriche e dell’Agricoltura, e, soprattutto, con gli operatori agricoli, beneficiari finali di questo progetto di cooperazione internazionale euro-africano rivolto alla gestione sostenibile di acqua e suolo in agricoltura in quattro paesi -Etiopia, Kenia, Sudan, Egitto- della regione nord-orientale dell’Africa. Grazie alla collaborazione tra il CIHEAM-Bari (Centre International de Hautes Etudes Agronomiques Méditerranéennes) e l’Agenzia Italiana di Cooperazione e Sviluppo (AICS) è stato possibile il finanziamento della Commissione Europea con il programma DeSIRA: l’AICS -nel ruolo di Executive Agency- ha rappresentato l’Italia nella negoziazione con la Commissione Europea, arrivando alla firma congiunta EU - AICS - CIHEAM Bari del contributo europeo; l’ufficio AICS del Cairo, diretto da Martino Melli, co-ordina il progetto con il CIHEAM Bari nel ruolo di responsabile scientifico, affidato a Claudio Bogliotti, a capo dell’Unità Progetti EU del CIHEAM-Bari. All’interno della virtuosa formula del partenariato allargato -che vede il coinvolgimento di organizzazioni di ricerca quali ASARECA (Strengthening Agricultural Research in Eastern and Central Africa), KALRO (Kenya Agricultural and Livestock Research Organization), WLRC (Water, Land Resources Centre, Ethiopia), WRC (Water Research Centre, Sudan) and HU (Heliopolis University, Egypt), CNR (Centro Nazionale per la Ricerca), SYKE (Finlandia), ISRIC (Olanda)- il ruolo leader, sul piano politico e scientifico, è esercitato dall’’Italia. “Affrontare problematiche legate alla scarsa produttività agricola del suolo, non solo in diverse regioni dell’Africa, ma anche in Europa, dovuta a erosione, siccità o pratiche agronomiche scarsamente sostenibili, implica lo studio di dinamiche particolarmente complesse e, proprio questa esigenza, è alla base del progetto” spiega Claudio Bogliotti. Inoltre, le attività agricole e, più in generale, quelle antropogenetiche, hanno drasticamente ridotto la disponibilità di risorse idriche, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo, determinando così importanti conseguenze sul degrado degli ecosistemi e sulla perdita di biodiversità, oltre ad impattare sulla produzione di cibo. “Si pensi che buona parte dei suoli delle zone rurali in Africa sta diventando improduttiva: un processo che trascina con sé una forma di ‘desertificazione sociale’ di queste stesse aree, fenomeno che non può che aumentare i flussi migratori verso le aree urbane” sottolinea il ricercatore. Tuttavia, le regioni del Nord ed Est Africa hanno un grande potenziale, non solo per la capacità di assicurare cibo alle comunità locali, ma anche nell’ottica di un ruolo strategico nell’ambito dei sistemi alimentari globali in un futuro ormai prossimo. “L’impiego sostenibile delle risorse naturali -suolo ed acqua- in agricoltura attrarrebbe investimenti, aumenterebbe la competitività, attiverebbe innovazione, innescando un circolo virtuoso con conseguenti benefici sull’assetto sociale -prosegue Bogliotti- alla condizione che i paesi africani migliorino le politiche di intervento, da un lato, e, dall’altro, elemento determinante, migliorino anche la capacità del sistema ricerca, rivolgendo tutti gli sforzi all’innovazione e ad un approccio ‘smart’ e sostenibile alle sfide in campo, ricordando che l’agricoltura consuma ben il 70% dell’intera risorsa idrica disponibile” conclude il coordinatore. Non solo: ad oggi, alla produzione di cibo fa capo circa il 30% del consumo complessivo di energia, con proiezioni al 2050 che si attestano al 60%. Definire, pertanto, un modello basato su innovazione, razionalizzazione e regionalizzazione di una gestione sostenibile delle risorse naturali, basterebbe ad interrompere l’attuale tendenza e a ridisegnare gli scenari dei prossimi anni. Ed in tale direzione procede WATDEV: “Ci siamo proposti, da un lato, di studiare interventi rivolti ad una gestione sostenibile di acqua e suolo in agricoltura, dall’altro, di fornire uno strumento informatico innovativo finalizzato proprio alla gestione sostenibile, ma anche ad implementare la capacità del sistema ricerca dei paesi africani di affrontare efficacemente ed autonomamente impegnative problematiche” spiega il coordinatore di un progetto innovativo anche nel metodo: una volta acquisito il quadro -il più completo possibile- della miriade di progetti di cooperazione internazionale già condotti nella regione africana, si selezionano le migliori pratiche agronomiche e di gestione delle risorse naturali, così da verificarne la replicabilità su larga scala. Infatti, ad oggi, non mancano esperienze di cooperazione: anzi numerose sono le iniziative intraprese, ma sono altrettanto frammentate ed implementate su piccola scala. “Quale sarebbe l’impatto su ambiente, sicurezza alimentare e desertificazione sociale di questi stessi progetti replicati su vasta scala? Perché, se è vero che è impossibile convogliare risorse economiche per interventi di cooperazione su scala regionale, possiamo, al contrario, simulare l’impatto di larga scala di piccoli interventi, sfruttando la modellistica numerica, fornendo così uno strumento importante per le politiche agricole, ambientali e socio-economiche” chiarisce Bogliotti, rimarcando la spinta innovativa di WATDEV: oltre a costituire una guida ed indicare un indirizzo alle agenzie di cooperazione internazionali e ai governi per uno sviluppo coerente e di maggior impatto, in WATDEV si sperimenta la scalabilità o regionalizzazione delle buone pratiche, attraverso l’adozione di un toolbox (modello idrologico integrato) innovativo. La piattaforma, che integra a livello informatico le funzioni di tre modelli già esistenti, consentirà di analizzare scenari multipli di impatto delle buone pratiche su risorsa idrica superficiale e sotterranea, suolo, produttività agricola, stress delle colture e aspetti socioeconomici, e lo farà su vasta scala e su medio-lungo termine (10-25 anni), considerando anche i trend climatici. Protezione delle acque sotterranee e riduzione della loro salinità, in modo da assicurare una produzione agricola sostenibile, nel caso dell’Egitto, o miglioramento della qualità e della resa del suolo, attraverso interventi di agro-eco forestazione, nel caso di Kenia ed Etiopa, o, ancora, trattamento genetico delle colture, così da renderle più resistenti allo stress idrico, climatico e biologico, nel caso del Sudan, sono solo alcuni esempi di buone pratiche individuate ed oggetto di modellizzazione di scenari di impatto grazie al toolbox. C’è poi il secondo risvolto, assai rilevante, del progetto, relativo alla capacity building del sistema ricerca in Egitto, Etiopia, Kenia, Sudan. “Qui ci si propone di formare giovani ricercatori nell’ambito della modellizzazione idrologica e di dotare i governi locali del necessario supporto ad intraprendere opportune ed adeguate politiche ambientali e di gestione delle risorse naturali, attraverso la possibilità di anticipare scenari futuri” conclude il ricercatore, rivelando che il prossimo dicembre 20 giovani ricercatori saranno ospiti al campus CIHEAM-Bari per un primo modulo di formazione, a cui seguiranno altri due nel 2024. Scopo di tali percorsi è favorire l’eccellenza del sistema ricerca nei diversi paesi africani. Nonostante WATDEV sia solo al secondo dei quattro anni previsti, ha già prodotto una banca dati di oltre 270 buone pratiche e condotto una serie di incontri con stakeholders e comunità locali per la selezione di 12 buone pratiche da sperimentare con il modello idrologico integrato. Un bilancio decisamente positivo.