Cambiamenti climatici e disastri naturali nella storia delle civiltà del Mediterraneo
Dalla rivoluzione neolitica fino ai nostri giorni, nei secoli i cambiamenti climatici hanno influito sull’evoluzione del genere umano, talvolta favorendone la crescita, altre con gravi conseguenze per la stabilità e la sicurezza delle comunità. Dalla fine dell’Impero accadico alla Piccola glaciazione dell’Età moderna, alcuni esempi storici provenienti dalla regione mediterranea *
La storia della vita sulla Terra è stata profondamente influenzata dalla continua variabilità di condizioni ambientali e climatiche. Riassumere questo lungo racconto, anche solo circoscrivendolo al periodo della presenza umana, può essere un processo particolarmente complesso probabilmente più adatto alla penna di antropologi, paleontologi o storici di professione. L’obiettivo più circoscritto di questo testo è quello, invece, di cercare di inquadrare l’importanza dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla sicurezza umana, anche quando collegati ad eventi drammatici come epidemie e grandi catastrofi naturali. Con una particolare attenzione alla regione geografica intorno al Mediterraneo, dall’Europa Occidentale al Medio Oriente, dal Nord Africa al Mar Rosso fino al Mar Nero. Una regione oggi, come in passato, molto esposta alle evoluzioni del clima, sia in termini positivi che negativi, ma in cui, fin dagli albori della storia umana, si sono sviluppate alcune delle prime forme di civiltà lungo il corso dei grandi fiumi della Mesopotamia e del Nilo. E che ha visto imperi e regni talvolta entrare in crisi o crollare anche per effetto di repentini cambiamenti ambientali, ondate di siccità o raffreddamento delle temperature, o a causa delle conseguenze di eventi disastrosi di origine naturale.
Clima, ambiente ed evoluzione umana
Il ruolo del clima, nella storia dell’uomo, è un tema di grande interesse che recentemente ha avuto ampia diffusione nei lavori di molti storici ed esperti delle scienze sociali. Numerosi studi sono stati realizzati soprattutto grazie all’uso dei nuovi dati forniti dalle moderne tecnologie, che hanno permesso di fare luce sulle cause dell’evoluzione climatica del pianeta e del suo possibile impatto sulla storia umana. Dalle analisi dei carotaggi dei ghiacci artici o montani, così come dai sedimenti marittimi o fluviali, ma anche attraverso lo studio dei fossili, dei resti umani ritrovati nei siti preistorici, fino alle analisi di pollini e vegetali o lo studio dei testi storici più antichi e dei siti archeologici, sono state possibili scoperte fino a pochi anni fa irrealizzabili. Vulcani, movimenti della crosta terrestre, mutazioni dell’asse del pianeta, fasi solari, correnti oceaniche hanno influenzato, e continuano a farlo, il clima del pianeta, favorendo, anche in maniera repentina, cambiamenti radicali nelle condizioni climatiche tali da mutare profondamente ecosistemi e territori, condizionando, di conseguenza, la vita degli esseri umani, come delle altre specie. L’espansione dei Sapiens, a partire dal 70000 a.C., venne, infatti, fortemente influenzata dalle condizioni ambientali delle diverse regioni del globo.
Gli uomini svilupparono in questo periodo della loro storia quella che gli esperti definiscono “rivoluzione cognitiva”, che permette loro non solo di progredire nei linguaggi e nelle comunicazioni, elaborando modi di pensare sempre più complessi, ma anche di migliorare la capacità di cooperazione tra simili e il proprio adattamento all’ambiente, permettendo così anche la conquista finale del pianeta da parte dei Sapiens, come racconta Harari in uno dei suoi più celebri lavori[1].
La fine dell’era delle grandi glaciazioni, con l’inizio dell’Olocene, ha permesso l’inizio della successiva, e fondamentale, rivoluzione neolitica, con la quale è iniziata la sedentarizzazione di numerosi gruppi umani, grazie alla scoperta dell’agricoltura, e la loro esplosione demografica. Il passaggio da una società di raccoglitori-cacciatori a una di agricoltori e di allevatori ha determinato probabilmente una delle più importanti rivoluzioni nella storia umana, che ha inciso, in maniera ineluttabile, anche nel rapporto tra uomo e Madre Natura. Un rapporto complesso, spesso conflittuale, di continua trasformazione, di sfruttamento, anche eccessivo, e di adattamento nei diversi ambienti e climi che nel pianeta si sono prodotti. Ma all’interno di questo rapporto, la razza umana ha potuto evolvere e progredire, sviluppando forme di organizzazione sociale sempre più articolate, in grado di fare fronte ai cambiamenti che via via venivano a prodursi, sia per sopravvivere ad essi sia, in altri casi, per sfruttarli al meglio. Tanto da riuscire a colonizzare progressivamente sempre più territori nel pianeta, anche in condizioni difficili, sfidando talvolta proprio l’asprezza delle condizioni ambientali, dai poli alle foreste equatoriali.
L’impatto delle attività umane sull’ambiente ha avuto un peso diverso nelle varie epoche storiche. L’uomo ha tratto dalla natura risorse preziose per la sua sopravvivenza: lo sfruttamento intensivo è andato via via crescendo con l’evoluzione delle società e la crescita demografica. L’impatto, ad esempio, delle prime civiltà agricole, o l’uso intensivo del legname delle foreste per la costruzione di navi, ha direttamente cambiato il paesaggio e le condizioni ambientali di intere regioni del globo. Lo sfruttamento dei cedri del Libano, già in epoca fenicia, fornisce un esempio chiaro.
Non sempre lo sfruttamento delle risorse naturali e del territorio è stato gestito dalle comunità umane con il necessario equilibrio, anzi. Non mancano fin dall’antichità, e in contesti tra loro molto diversi, esempi di culture e comunità collassate proprio a causa dei loro eccessi nello sfruttamento intensivo del suolo e delle risorse ambientali[2]. Ma è indubbio che l’impatto umano sull’ambiente abbia avuto letteralmente un’esplosione con l’inizio della rivoluzione industriale nel 1700. Tanto che, per alcuni studiosi, quell’evento, che ha radicalmente cambiato non solo il pianeta ma anche il corso della storia della civiltà umana, determinando il più repentino salto evolutivo tecnologico ed economico mai visto prima, ha dato avvio anche ad una nuova fase storica definita da alcuni studiosi “Antropocene”. La differenza, rispetto al passato, affermatasi negli ultimi trecento anni, sarebbe determinata dal fatto che più che nel corso di tutti gli altri millenni di storia, l’uomo oggi influisce direttamente da solo, attraverso le proprie attività, in particolare attraverso l’emissione di gas serra nell’atmosfera, sul clima, aggravando gli effetti o causando radicali cambiamenti in misura ben maggiore di quanto mai avvenuto in passato.
I recenti eventi cui al nostro tempo il pianeta è stato sottoposto, come il drammatico uragano Milton negli Stati Uniti e le alluvioni in Spagna o le ondate di siccità che da anni colpiscono l’Europa meridionale e il Nord Africa, ci spingono comunque a considerare quanto siano rilevanti le crisi prodotte, o aggravate, da cambiamenti climatici ed eventi naturali catastrofici. E quanto questi rappresentino e abbiano rappresentato una grave minaccia alla sicurezza umana attraverso le varie epoche storiche. In particolare, partendo dai numerosi esempi che la storia ci offre proprio nelle regioni più prossime a noi, in tutto il bacino del Mediterraneo.
Dalla rivoluzione neolitica alla crisi della civiltà del bronzo
Fin dall’inizio della rivoluzione neolitica e la successiva nascita delle prime città nelle regioni dei grandi fiumi, il clima è stato un fattore centrale per lo sviluppo socioeconomico, la sicurezza alimentare e la stabilità delle comunità umane. Il vincolo determinato dal rapporto di dipendenza dalla natura, condizionato fortemente dalla variabilità del clima e dai cicli delle stagioni, ma anche dal rischio di eventi calamitosi imprevisti e imprevedibili, determinava una elevata precarietà delle condizioni di vita e di pace sociale, riscontrabile anche in molti tratti della cultura, delle religioni, delle usanze del tempo. Dalla piovosità di una determinata stagione poteva dipendere la sopravvivenza di un’intera società. Così come dalla minaccia di un’inondazione o di un terremoto. Basti pensare al ruolo delle piene del Nilo nell’antico Egitto, dipendenti in larghissima parte dalle stagioni piovose sugli altopiani etiopi. La rilevanza del clima e delle sue variazioni è riscontrabile anche in manifestazioni evidenti come miti e leggende antiche, spesso aventi tratti simili tra regioni o culture diverse – come il celebre mito del diluvio universale –, ma anche nel ruolo che nelle religioni politeiste di molte civiltà antiche avevano le divinità collegate agli eventi atmosferici o alle calamità naturali. In assenza di conoscenze scientifiche moderne, quando una tempesta travolgeva un luogo causando danni, la responsabilità era spesso attribuita alla collera di un Dio verso gli uomini.
I mutamenti climatici e l’ambiente sono stati, dunque, uno dei grandi fattori di cambiamento politico e sociale. Condizionando talvolta le scelte di intere popolazioni, la loro collocazione geografica, la loro crescita o decrescita, al loro rapporto con gli altri gruppi umani. Non è stato un caso che nel corso dei millenni, come ci ricorda Peter Frankopan[3], migrazioni e clima sono state correlate tra loro. Lo spostamento di popolazioni e masse di uomini e donne è stato spesso condizionato dal mutare degli ambienti di origine e dal sorgere di condizioni proibitive per la vita, così come, al contrario, da una crescita numerica dei componenti di una data popolazione che ha spinto alla partenza di una parte di essa verso la ricerca di nuovi territori in cui insediarsi.
Il deterioramento delle condizioni ambientali originate da improvvisi cambi del clima o da grandi eventi naturali, in società dove la base dell’economia era fondata sull’agricoltura, poteva produrre problematiche gravi cui le popolazioni e le strutture politiche dell’epoca non riuscivano a fare fronte. Pena il rischio di soccombere ad esse. Un caso di studio recente è stato per esempio rappresentato dalle vicende dell’Impero di Akkad[4]. Recenti studi scientifici sui coralli del Golfo dell’Oman, ad esempio, avrebbero dimostrato che la misteriosa scomparsa di quello che viene definito il primo impero della storia, l'impero accadico in Mesopotamia, sarebbe imputabile ad un improvviso cambiamento climatico, intorno al 2200 a.C., in particolare da una fase prolungata di siccità estrema, aggravata da tempeste di sabbia e salinizzazione dei terreni irrigati, che avrebbe reso non coltivabili molte delle aree in cui sorgevano le città dell’impero, provocandone la crisi e poi la fine. Quegli stessi eventi climatici, che favorirono siccità e aridità in diverse regioni del globo, ebbero conseguenze simili anche in Egitto, dove nello stesso periodo entrò in crisi l’Antico Regno, e nell’area del basso Yangtze. Ma potrebbero averne avute anche in Europa e nella valle dell’Indo.
Spostandoci qualche secolo più avanti, anche l’improvvisa fine dell’età del bronzo e della sua evoluta civiltà sorta all’interno del bacino del mediterraneo orientale, potrebbe avere avuto, tra le diverse possibili cause, l’impatto dei cambiamenti climatici che alla fine del secondo millennio a.C. si verificarono in quelle regioni. La civiltà dell’età del bronzo raggiunse, al suo apice, un livello di interdipendenza economica e di connessione tra diversi attori presenti nella regione, da Creta all’Afghanistan, dall’Egitto alla Mesopotamia, unico nell’antichità, che il brusco crollo verificatosi a partire dal 1180 a.C. circa cancellò[5].
L’origine della fine dell’età del bronzo è da lungo tempo oggetto di acceso dibattito storiografico; ma è da tenere in considerazione l’ipotesi che alcuni importanti cambiamenti climatici, agendo in combinazione con altri fattori ed eventi, ad esempio anche eventi catastrofici avvenuti in quel periodo in alcuni territori, possano essere stati la causa della profonda crisi che sconvolse quel mondo. Da questo punto di vista, questo esempio è interessante per riflettere sul fatto che, in alcuni casi, i cambiamenti climatici possano agire in combinazione con altri fattori, causando conseguenze gravi sulle società umane. Fattori determinati non solo dalla natura, come eventi calamitosi, ma anche indotti dall’azione umana stessa, anche nello sfruttamento intensivo dell’ambiente. Può essere in questo caso emblematico l’esempio offerto dai recenti studi sulla fine della cultura Terramare[6], nella stessa epoca in cui collassavano le civiltà minoica e micenea. Terramare era una importante cultura europea, sviluppatasi nella pianura Padana, che rappresentava uno snodo tra civiltà del bronzo del Mediterraneo orientale e quelle dell’Europa continentale. Una cultura avanzata, fondata sull’agricoltura e su un avanzato sistema di sfruttamento delle risorse idriche della regione del Po. Intorno al 1200 a.C. questa cultura entrò in crisi e si estinse, probabilmente a causa dello sfruttamento intensivo del proprio territorio, e dell’impatto dei cambiamenti climatici che in quello stesso periodo colpirono quella regione e anche altre del mondo, rendendola più arida.
Nei secoli successivi, molto spesso, è stata proprio questa combinazione di diversi fattori, naturali e non, a determinare le conseguenze peggiori per le popolazioni umane. In particolare, gli esempi degli effetti dannosi prodotti da fasi di trasformazione del clima, associate anche ad altri eventi e fenomeni, provengono da tre diverse epoche storiche più recenti che hanno interessato la regione mediterranea: l’epoca romana, quella medioevale e l’età moderna. Esempi interessanti anche alla luce degli eventi odierni che viviamo.
L’epoca romana, tra ottimo climatico e prime pandemie
L’epoca romana attraversa più di mille anni di storia italiana e mediterranea. Un lungo periodo in cui Roma passò da un villaggio di pastori nel Lazio a una metropoli di un milione di abitanti che dominava tutto il bacino del Mediterraneo, l’Europa occidentale, il Vicino oriente fino alla Mesopotamia e il Mar Rosso. In questa lunga epopea storica è ormai nota l’importanza che potrebbe aver rivestito la fase climatica denominata Ottimo climatico romano nel facilitare l’affermazione della potenza di Roma. Si tratta di una fase intercorsa proprio nei secoli di maggiore sviluppo ed espansione geografica dell’Impero, il cui apice, in termini di migliori condizioni climatiche, si ebbe infatti tra il secondo secolo a.C. e il secondo secolo d.C., ossia quei secoli in cui Roma conquistò il suo impero, fino al massimo della sua espansione, e raggiunse anche il culmine della sua crescita economica, politica e demografica.
Come ricorda Kyle Harper nel suo recente e bellissimo saggio[7], che in parte contribuisce a fare chiarezza su molte delle possibili cause della crisi e del crollo dell’Impero Romano, questa fase climatica eccezionale, con stagioni tendenzialmente stabili, miti in inverno, calde e piovose in estate, avrebbe favorito lo sviluppo dei territori che componevano l’Impero. Colture come la vite e l’olivo erano diffuse ben oltre i limiti geografici odierni, mentre la diffusa piovosità nel bacino nel Mediterraneo resero terre come quelle del Nord Africa, non solo l’Egitto beneficiato dalle piene del Nilo, il granaio dell’Impero. Questa fase climatica positiva iniziò probabilmente a subire i primi cambiamenti durante il terzo secolo d.C., esaurendosi nei decenni successivi. Negli stessi anni in cui, forse non a caso, iniziò una stagione di instabilità e crisi dell’architettura statuale imperiale – la crisi del terzo secolo – che fu parzialmente arginata solo dalla parentesi offerta dagli imperatori balcanici, da Diocleziano a Costantino, prima del suo collasso finale.
L’epoca storica dell’Impero romano è interessante da analizzare anche per un’altra serie di eventi che, dalla seconda metà del secondo secolo d.C. in poi, iniziarono a fare la loro comparsa: le grandi epidemie. L’Impero, come ricorda Harper, fu per sua natura un crogiuolo di malattie, dove alcune in particolare, per esempio la Malaria, erano particolarmente endemiche. Ovviamente clima e rapporto dell’uomo con la natura, che durante l’epoca romana vide un forte sfruttamento delle risorse naturali e un profondo impatto delle attività umane sugli equilibri ecologici delle terre sottoposte al dominio imperiale, avevano un ruolo fondamentale anche nella diffusione delle malattie. Ad esse ovviamente andavano aggiunte le condizioni igienico-sanitarie del tempo, non solo nelle grandi realtà urbane come Roma, l’assenza degli strumenti di cura e prevenzione offerti dalla medicina e dalla scienza moderne, gli ambienti malsani. Fu in questo contesto che maturarono le condizioni per lo scoppio della prima grande pandemia globale, la celebre Peste Antonina.
La peste Antonina fu la prima forma di pandemia, in un mondo allora profondamente interdipendente come quello romano, dove virus e batteri potevano circolare lungo le fitte reti commerciali e mietere vittime grazie alle favorevoli condizioni ambientali, sanitarie e igieniche. Da allora l’umanità è stata più volte flagellata da grandi epidemie e pandemie su larga scala, maggiore rispetto anche a epidemie precedenti. Molte di esse, per motivi diversi, sono state favorite e condizionate anche da cause di ordine climatico. Sia per quanto ha riguardato, ad esempio, il salto di specie dei virus, o per la diffusione delle malattie stesse.
Le epidemie sono state in molti casi, prima dell’introduzione di antibiotici e farmaci moderni, talvolta anche in combinato con i cambiamenti climatici ed eventi disastrosi, autentiche mattanze. Che hanno contribuito ad avviare o accelerare crisi sociali, economiche, politiche, anche in sistemi di potere complessi e strutturati. Dopo la Peste Antonina, che a dispetto del nome potrebbe essersi trattata di un’epidemia di vaiolo, l’Impero romano subì un crollo demografico con pesanti ripercussioni a livello economico e politico. Il combinato di epidemie – superata quella Antonina arrivò alcuni decenni dopo quella di Cipriano –, spopolamento, crisi economica, povertà, favorirono probabilmente l’avvio di una progressiva instabilità a cui si aggiunse nei secoli successivi l’esaurimento dell’ottimo climatico. Nel terzo secolo, quando l’Impero entrò in crisi, iniziarono anche le prime manifestazioni di turbolenze climatiche, dopo la stabilità degli anni precedenti, con alcune stagioni di grave siccità che colpirono soprattutto il Nord Africa influendo sulle produzioni agricole di quelle terre, inaridite, e contribuendo ad aggravare la crisi economico e sociale già iniziata a causa delle epidemie. Ciò potrebbe anche aver favorito un indebolimento non solo politico dell’Impero, ma anche delle sue strutture militari.
Mentre nel quinto secolo l’occidente romano crollava, sotto il peso della crisi e delle invasioni dei Goti, spinte anche dall’arrivo da est delle masse di popolazioni delle steppe, in Oriente il mondo romano sopravviveva intorno ai regnanti di Costantinopoli e alle loro armate. Ma dalla metà del sesto secolo dovette fare i conti con una improvvisa stagione di brutali cambiamenti climatici che, probabilmente causati da una serie di eruzioni vulcaniche catastrofiche, di cui una ancora non ben definita nell’emisfero settentrionale e altre, tra cui probabilmente anche quella del vulcano Krakatoa in Indonesia, nell’anno 535, furono all’origine della piccola glaciazione tardoantica, una delle fasi di maggiore raffreddamento delle temperature degli ultimi duemila anni. Fu in questo contesto di rapido e radicale cambiamento delle condizioni climatiche, con un impatto pesante sulla vita e l’economia del tempo, che si affacciarono sulla scena del mondo mediterraneo anche nuove minacce sanitarie, facilitate nella loro diffusione dai traffici commerciali e dalle diffuse condizioni igieniche ed economiche, ma anche, probabilmente, dai cambiamenti in corso a livello climatico. Nel 542 esplose infatti la peste di Giustiniano: la prima grande epidemia causata dal temibile batterio della Yersinia Pestis, origine di alcune delle più grandi tragedie della nostra storia. Probabilmente giunto attraverso le rotte commerciali provenienti dall’oriente, trovò nelle pulci dei ratti europei un comodo strumento di diffusione[8].
Per duecento anni la peste flagellò le terre dell’impero d’oriente e le regioni limitrofe, sterminandone una porzione enorme della popolazione. I colpi della peste e del clima più rigido, con le crisi che seguirono, indebolirono la struttura dell’Impero, tanto da pregiudicarne la tenuta nei secoli seguenti, quando sul palcoscenico mediterraneo si affacciò in maniera roboante l’Islam e il suo impero che sottrassero rapidamente molti territori a Costantinopoli.
Dalla piccola glaciazione tardoantica a quella dell’età moderna
Nelle società preindustriali, per quanto evolute e ricche come quella romana, l’agricoltura impegnava la grande maggioranza della forza lavoro e costituiva la base fondamentale per la sicurezza sociale, l’economia e la sopravvivenza delle persone. Una crisi determinata a livello climatico e ambientale tale da pregiudicare i raccolti per più anni, poteva ovviamente portare non solo allo sviluppo di carestie gravi, ma anche a sovvertimenti di natura sociopolitica. Inoltre, poteva incidere sullo stato di salute delle persone, le cui diete erano già in condizioni normali spesso povere e ai limiti della sussistenza, indebolendole, ed esponendole maggiormente ai rischi collegati alla diffusione di virus e batteri. Questo tipo di rischi sono stati una costante in tutta la storia delle civiltà umane e sussistono ancora oggi nei paesi più poveri. Se il clima cambia le condizioni per produrre a livello agricolo le colture che sono alla base della sussistenza delle persone, è evidente che si genera un circolo vizioso di crisi, fame e indigenza da cui possono scaturire frustrazione, rabbia, forme di fanatismo e violenza, che poi posso sfociare in instabilità sociale e politica, rivolte, conflitti.
Fu quanto avvenne nel periodo tra il XIV e il XV secolo in Europa, Cina, India e Sud-est asiatico. Durante il Medioevo europeo il clima variò diverse volte, anche in maniera difforme da aree e paesi diversi. Ma nel complesso, superate le temperature fredde dei secoli VI, VII e VII, progressivamente si assistette ad un miglioramento delle condizioni climatiche, che favorì progressivamente lo sviluppo agricolo, la crescita demografica e una successiva rinascita delle comunità urbane. Intorno all’anno mille questo processo positivo fu sempre più evidente e durò altri due secoli: il clima meno rigido permise coltivazioni precedentemente impossibili nelle aree montane o nelle regioni nordiche; i ghiacci alpini si ridussero notevolmente, così come fu possibile colonizzare terre come l’Islanda o addirittura tentare di colonizzare anche la Groenlandia. La crescita demografica, favorita dalle buone condizioni climatiche e ambientali, favorì probabilmente la rinascita delle città, la formazione di nuove soggettività statuali più solide e l’inizio di nuove campagne di espansione, di cui le Crociate furono probabilmente il caso più evidente. Questo avvenne in Europa, ma non a caso nello stesso periodo storico, dal cuore dell’Asia, emerse la nuova potenza dei Mongoli. Con l’istaurazione dell’Impero mongolo, e l’inizio della pax mongolica lungo la tratta della via della seta, vi furono alcuni decenni di stabilità politica ed economica di cui beneficiarono molti territori e città, dall’Asia centrale al Mediterraneo. Ma nel XIV secolo una nuova stagione di crisi sconvolse il mondo e anche il Mediterraneo e l’Europa. Infatti, la crisi del Trecento fece cadere i suoi colpi di frusta non solo sul Vecchio Contenente, come talvolta siamo abituati da una lettura troppo eurocentrica della storia, bensì anche in Asia[9]. Il tutto ebbe inizio con alcuni cambiamenti climatici, radicali, che determinarono l’insorgere di condizioni di vita più difficili per le popolazioni urbane e rurali. Inverni più lunghi e stagioni sempre più piovose, continue, per alcuni anni consecutivi, unite a grandi eventi calamitosi, costituiti da grandi inondazioni e periodi di estrema siccità. I raccolti marcivano nei campi, il gelo stringeva con la sua morsa per mesi le città, rendeva i terreni incoltivabili, la siccità assetava terreni e mandrie, la fame divenne endemica, la crisi economica un flagello, la mortalità crebbe esponenzialmente. Il Trecento divenne, non a caso, un secolo di rivolte in Europa, nelle città e nelle campagne, di tensioni sociali, di carestie, e poi di guerre violente, di persecuzioni, di fanatismo religioso, di rabbia sociale. Ma in questo contesto già terribilmente precario, di privazioni, violenza e fame, a metà del secolo piombò inesorabile la falce della Morte nera. Forse la pandemia più celebre della storia, decantata nei racconti del tempo, che si abbatté senza pietà sul mondo con una ferocia mai vista, strappando milioni di vite e devastando la società dell’epoca. Una tragedia che lasciò segni profondi nella cultura e nella religione del tempo, con una raffigurazione di quell’evento che potremmo ritenere non dissimile da una sorta di “Giudizio universale”.
La peste del 1348 non fu un episodio circoscritto solo all’Europa. Vi furono più ondate e furono colpite anche altre regioni del mondo. Mentre l’Europa pagava il prezzo dello spopolamento, nella stessa epoca entrava in crisi, a causa anche di gravi carestie a cui fecero seguito rivolte e tensioni sociali, la dinastia Yuan in Cina, fondata dai Mongoli eredi di Gengis Khan. La celebre rivolta dei turbanti rossi esplosa all’interno dell’Impero in quel secolo portò al crollo del sistema di potere della dinastia Yuan e alla sua sostituzione con quella Ming. Un evento di portata epocale per la Cina. Parallelamente, il clima impazzito in quei decenni colpiva anche l’India o le terre dell’impero Kmer, che infatti crollò improvvisamente pochi decenni dopo.
In Europa la crisi del secolo XIV produsse notevoli trasformazioni di ordine politico e sociale, ma dopo una fase di quiete e stabilità climatica, che corrispose a una dinamicità delle società europee, intorno alla fine del XV secolo e l’inizio di quello successivo, iniziò invece uno dei più interessanti fenomeni climatici degli ultimi secoli, la celebre Piccola glaciazione dell’età moderna.
Non potrà certo essere un caso se la Piccola glaciazione dell’Età moderna corrisponde in Europa a una delle epoche più buie, violente, instabili e sanguinarie della sua storia. Caratterizzata dalle guerre religiose, le grandi guerre tra i nascenti stati moderni, le rivolte popolari, fino alle rivoluzioni del sei-settecento. Furono gli anni della caccia alle streghe e di un diffuso fanatismo religioso. Torture e violenze furono ben maggiori in questi anni rispetto alle epoche precedenti. Fenomeni che in parte potrebbero essere associati ad una visione più radicale della vita dovuta alle conseguenze determinate dalla asprezza delle condizioni materiali delle persone, alle privazioni, l’ignoranza, ma anche il clima ostile, la povertà e la fame, le malattie infettive endemiche. Le ricadute culturali, sociali, psicologiche di questa epoca sono ampiamente tratteggiate nel saggio di Wolfgang Behringer, “Storia culturale del clima”[10] e ne offrono ampie raffigurazioni le opere pittoriche del tempo, i resoconti dei testimoni dell’epoca, il racconto della storia di quegli anni terribili. Ma l’orgia di violenza che caratterizzò l’Europa, più fredda, inospitale, affamata, afflitta da epidemie di peste continue, in cui la vita era messa continuamente a repentaglio e la privazione era una condizione costante, quotidiana, per larghissime masse di persone, fu simile anche a quanto avvenne nuovamente in Cina nello stesso periodo. Alla grande crisi, climatica, politica e sociale, che soprattutto attanagliò il Seicento (non a caso la metà del secolo vide alcune delle estati più fredde degli ultimi seicento anni), dedica un accuratissimo libro il grande storico militare inglese Geoffrey Parker, che nel suo illuminante “Global Crisis. War, climate change e catastrophe in the seventeenh century”[11], tratteggia in maniera eccezionale gli elementi principali della grande crisi che, non solo in Europa, si sviluppò in quel periodo. Con stravolgimenti e reazioni che hanno poi condizionato gli anni successivi e contribuito a plasmare l’ordine mondiale anche nei secoli successivi. La piccola glaciazione andò esaurendosi nel corso del XIX secolo, quando conserviamo ancora oggi immagini di inverni straordinariamente freddi. Tra questi, è doveroso ricordare il 1816, l’anno senza estate, in cui le conseguenze climatiche globali della tremenda eruzione del monte Tambora, furono particolarmente estreme. Anche a ricordare quanto gli eventi catastrofici improvvisi abbiano, in più occasioni, contribuito a modificare l’ambiente e il clima, incidendo, al contempo, sulla nostra storia.
La lezione del passato per le sfide del futuro
Comprendere il ruolo avuto dal clima e da suoi cambiamenti in molte fasi critiche della nostra storia, ci può permettere di affrontare le moderne sfide alla nostra sopravvivenza con più consapevolezza. Anche avendo presente quanto, in molte delle crisi del passato, sono stati determinanti anche gli errori commessi dall’uomo, nella loro gestione o nel contribuire al loro avvio.
Gli esempi prima elencati, a cui si potrebbero in realtà aggiungere una miriade di altri casi storici anche più specifici in tutti i continenti del pianeta, possono aiutarci a capire perché questi temi sono così rilevanti per il futuro del genere umano. Non a caso oggi i cambiamenti climatici sono stati definiti “threath multiplier”, un agente moltiplicatore di minacce alla sicurezza. Nelle nostre moderne società, tecnologicamente evolute, la minaccia rappresentata dagli eventi catastrofali naturali e dal climate change può avere una portata enorme, non inferiore a quanto avvenuto nel passato nelle società preindustriali, tale da arrivare a mettere, a detta di alcuni, a repentaglio la presenza stessa dell’uomo in alcune regioni del globo particolarmente esposte. Varie esperienze recenti hanno dimostrato quanto questo tipo di eventi, magari combinati tra loro, possano avere ricadute globali, oltre le stesse regioni colpite. Migrazioni, conflitti, crisi economiche, carestie, sono i possibili effetti, oggi come nell’antichità. Ma ad essi possono sommarsi molti altri tipi di conseguenze gravi sulle attività umane, ad esempio sui trasporti, le comunicazioni, l'industria, le infrastrutture.
Da questi punti di vista la regione del Mediterraneo, su cui si sono focalizzati i principali esempi riportati, è per sue caratteristiche un’area del globo particolarmente esposta ai rischi derivanti dai cambiamenti climatici attuali, così come nella sua storia, è stata più volte colpita da eventi catastrofici naturali di grave impatto sulle comunità. Basti solo ricordare terremoti o eruzioni vulcaniche.
La velocità con cui oggi la terra è sottoposta agli effetti dei cambiamenti climatici è certamente un elemento da tenere in considerazione, nel momento in cui la riflessione si sposta su un piano di natura strategica e geopolitica. I cambiamenti in corso, come la storia ci ha dimostrato, producono effetti a livello securitario, militare, economico, diplomatico e politico che nei prossimi anni potranno solo aumentare. È evidente che, quale sia l’origine dei cambiamenti in corso, a questi dovremo fare fronte, cercando di proteggere la pace sociale e la sicurezza delle nostre società. Grazie alle moderne tecnologie di cui l’umanità oggi è fornita, e all’esperienza acquisita in millenni di storia, anche dai casi in cui le comunità non sono riuscite ad adattarsi e sono collassate, è necessario sviluppare strumenti sempre più efficaci e rapidi di previsione e contrasto degli effetti più pericolosi dei cambiamenti climatici. Il nostro mondo, per quanto tecnologicamente evoluto, rimane vulnerabile ed esposto a continue minacce, come le recenti esperienze della pandemia globale e i conflitti odierni ci hanno dimostrato. Per la dimensione globale di questi rischi, dipenderà molto dalla nostra capacità di cooperazione e di collaborazione, tra stati come tra individui, la possibilità di superare le sfide che sul piano ambientale saremo chiamati ad affrontare nei prossimi decenni.
[1] Y. N. Harari, Sapiens. Breve storia dell’umanità, Bompiani, Milano, 2018
[2] J. Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi, Milano, 2008
[3] P. Frankopan, Tra la Terra e il cielo. L’uomo e la natura, una storia millenaria, Mondadori, Milano, 2023
[4] Oman corals suggest that a stronger winter shamal season caused the Akkadian Empire (Mesopotamia) collapse | Geology | GeoScienceWorld
[5] E. H. Cline, 1177 a.c. Il collasso della civiltà, Bollati Boringhieri, Torino, 2021
[6] I cambiamenti climatici e l'ipersfruttamento del territorio distrussero la civiltà delle terramare | Il Bo Live UniPD
[7] K. Harper, Il destino di Roma. Clima, epidemie e la fine di un impero, Einaudi, Milano, 2019
[8] K. Harper, Il destino di Roma, op cit
[9] A. Feniello, Demoni, venti e draghi, Laterza, Roma-Bari, 2021
[10] W. Behringer, Storia culturale del clima, Bollati Boringhieri, Torino, 2013
[11] G. Parker, Global Crisis. War, climate change e catastrophe in the seventeenh century, Yale University Press, 2013
*Questo elaborato è il primo di una serie di articoli di Med-Or dedicati al legame tra il clima e la storia, l'economia, la politica, la società e la sicurezza del Mediterraneo Allargato.