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Che succede in Pakistan?

In Pakistan, mentre politici e militari continuano a regolare i loro conti interni, la situazione rischia di precipitare. L’analisi di Guido Bolaffi

Che succede in Pakistan? Domanda non solo legittima ma doverosa. Visto che di questo paese, il secondo più potente e popoloso dell’Asia meridionale dopo l’India, da tempo si parla poco e male.

Sono mesi, infatti, che Islamabad fa notizia soprattutto per i suoi guai. E per i singolari bizantinismi di una classe politica tanto litigiosa quanto debole rispetto allo strapotere dei militari. Come testimoniano due recenti South Asia Brief pubblicati da Foreign Policy rispettivamente il 30 agosto ed il 13 settembre scorsi.

Il primo, titolato Pakistan’s electricity potests, segnalava che “Tens of thausands of Pakistanis took to the streets when electricity bills rose significantly [...] While the caretaker government sees few short-term solutions, aside from delayng payment deadlines or setting up an installment plan, an influencial religious political party, Jamaat-e-Islami Pakistan ordered a nationwide strike”.

Ed il secondo, Nawaz Sharif to return to Pakistan?, rendeva noto che “The Pakistan Muslim League-Nawaz (PML-N) announced that the party’s chairman, former Pakistani Prime Minister Nawaz Sharif - whose brother Shehbaz led the government that handed over power to a caretaker administration few days ago - will return to Pakistan on Oct. 21. Nawaz Sharif, who exiled himself to London, previously served three terms as PM when in 2017 was disqualified from politics on corruption charges. His trajectory resembles that of former Pakistani Prime Minister Imran Khan (ousted in April 2022) and other Pakistani leaders. He rose to the pinnacle of power thanks to strong relations with military, and he lost it after he fell out with generals”.

Vale forse la pena rammentare che Imran Khan, leader del potentissimo Tehreek-e-Insaf (il Partito della Giustizia del Pakistan), spodestato nel 2022 da Primo Ministro per i suoi colossali errori politici - tra tutti quello di aver pubblicamente gioito per la sconfitta afghana degli americani ed il ritorno al potere dei Talebani -, lo scorso agosto, con il sospetto beneplacito del nuovo Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale Asim Munir, è stato condannato a tre anni di carcere per essersi fraudolentemente impossessato di beni appartenenti allo stato e rinchiuso nel penitenziario di Attock.

Mentre politici e militari regolano i loro conti interni facendosi la guerra, il Pakistan rischia di sgretolarsi. Nel vero e proprio senso della parola.

Lunedì 11 settembre, infatti, quando il governo provvisorio di Anwaar ul Haq Kakar, venendo meno alle ragioni del suo precipitoso insediamento perseverava, in aperta violazione del dettato costituzionale, a fare la “manfrina” sulla data delle nuove elezioni, e in molte città si moltiplicavano le proteste di piazza contro il rincaro delle bollette, il quotidiano South & Central Asia VoA riferiva che “In Northwestern Pakistan a bomb explosion killed at least one soldier and wounded several people [...] The Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP) claimed responsibility for the attack [...] The group has routinely plotted bombings and other separatist attacks in districts close to or the nearby 2.600-kilometer with Afghanistan killing hundreds of people, mostly security forces”.

In aggiunta, scriveva Nikkei nel reportage Pakistan shuts Afghanistan crossing as deadly clashes raises tensions: Pakistan closed key northwestern border crossing with Afghanistan after border guards from the two sides exchanged fire, while elsewhere near the border in northern Pakistan clashes killed four Pakistani soldiers and 12 militants [...] The border closure came two days after caretaker Pakistani Prime Minister said U.S. military equipment left behind during the American withdrawal from Pakistan had fallen into militant hands and made its way to the Pakistani Taliban who are allied with the Taliban in Afghanistan”.

Affermazioni confermate da Muhammad Amir Rana nel pezzo edito da Dawn con il titolo Presence of militants: “The recent cross-border infiltrations and operational strikes by terrorists’ networks operating from Afghanistan have raised concerns about the Afghan Taliban’s direct involvement in these attacks. A terrorist group cannot launch massive cross-border attacks involving a significant number of terrorists inside Pakistan without the support and approval of the Taliban regime”.

Sullo stesso giornale, a distanza di 24 ore, Mohiuddin Aazim nell’editoriale Actions against wrongdoers annunciava, quasi con sollievo, che “The caretaker government’s crackdown across Pakistan against illegal foreign currency transactions, electricity and gas pilferage and hoarding of sugar - all at the same time - has delivered some initial results”.

Il tutto, dulcis in fundo, con il Fondo Monetario Internazionale che di fronte all’inerzia delle autorità di Islamabad rispetto agli impegni sottoscritti nell’intesa del giugno scorso con un comunicato ripreso da molti organi di stampa pakistani, tornava ad ammonire “that Pakistan’s economic challenges were complex and multifaceted and risks were exceptionally high”.

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