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Cina e Africa. Xi Jinping cerca slancio nel continente del futuro

Il FOCAC 2024 ha confermato che la Cina rimane un attore centrale in Africa, ma ha anche evidenziato i limiti e le sfide di questa cooperazione. L’analisi di Emanuele Rossi

Il Forum on China-Africa Cooperation (FOCAC), evento triennale tenutosi all’inizio di settembre, ha fornito un quadro aggiornato delle relazioni sino-africane, offrendo importanti spunti sulle dinamiche che caratterizzano questa cooperazione strategica. Sebbene meno imponente rispetto alle edizioni precedenti, il FOCAC ha confermato il ruolo chiave della Cina nel continente africano, come dimostra la partecipazione di 51 capi di Stato e di Governo. L’incontro ha però evidenziato una crescente cautela da parte dei leader africani, i quali stanno ridefinendo i confini della loro collaborazione con Pechino, consapevoli delle sfide economiche globali e delle accuse legate alla sostenibilità del debito.

Xi Jinping ha ribadito l’importanza di costruire una “comunità sino-africana per tutte le stagioni con un futuro condiviso nella nuova era”, proponendo un modello di sviluppo alternativo a quello occidentale. Ha anche annunciato un pacchetto di supporto finanziario di 50 miliardi di dollari per l’Africa, includendo un impegno a triplicare le linee di credito cinesi verso il continente, portandole a 30 miliardi di dollari. Questo rappresenta un aumento del 25% rispetto all’ultimo forum, nonostante il rallentamento economico interno in Cina, segnalando la volontà di Pechino di mantenere il proprio impegno verso l’Africa.

Il debito resta uno dei temi centrali nel dialogo tra Cina e Africa. Molti paesi africani, gravati da un debito crescente, stanno cercando di ristrutturarlo per evitare crisi di sostenibilità. Tuttavia, Pechino ha mostrato riluttanza nel concedere cancellazioni radicali. Questo è dovuto anche alle difficoltà finanziarie della Cina, che non riesce a spingere i consumi interni e fatica a crescere in un contesto globale caratterizzato da sempre maggiori incertezze geoeconomiche. I prestiti cinesi all’Africa dovrebbero tornare a circa 10 miliardi di dollari annui, segnalando un rinnovato impegno finanziario nonostante le preoccupazioni sul debito africano. La strategia cinese in Africa sembra ora focalizzarsi su prestiti più selettivi e relazioni commerciali più pragmatiche, spostando l’attenzione da progetti infrastrutturali monumentali a un modello di cooperazione basato sul business, con un’attenzione crescente verso i “nuovi tre settori” – energia solare, batterie e veicoli elettrici.

Lo spostamento verso un approccio più focalizzato sul commercio e lo sviluppo aziendale serve dunque anche a livello di narrazione strategica per sfuggire alle critiche – che sintetizzano l’approccio cinese all’Africa come predatorio, tramite il debito, frutto di una sorta di “colonialismo con caratteristiche cinesi”. Nonostante ciò, i progetti infrastrutturali rimangono comunque un elemento cardine del coinvolgimento cinese in Africa. Pechino continua a esercitare un'influenza significativa, soprattutto attraverso i progetti infrastrutturali legati alla Belt and Road Initiative (BRI), che rimangono centrali nella sua strategia per l’Africa. Nei prossimi tre anni, la Cina fornirà 360 miliardi di yuan (circa 50,6 miliardi di dollari) in supporto finanziario all’Africa, inclusi 210 miliardi in linee di credito e 70 miliardi in investimenti aziendali.

Il piano d’azione cinese per il FOCAC 2024 include dieci settori prioritari, tra cui la modernizzazione agricola, la cooperazione digitale, la costruzione di infrastrutture mirate e la sicurezza comune, evidenziando un approccio strategico in linea con gli interessi nazionali cinesi. Al FOCAC 2024, Pechino ha annunciato 30 nuovi progetti infrastrutturali che integreranno ulteriormente le economie africane nei mercati e nelle catene di approvvigionamento globale .Questi progetti, inclusi nell’ambito della BRI, rafforzano l’influenza a lungo termine della Cina nel continente, consolidando legami strategici e commerciali. In sostanza, la costruzione di strade, ponti, porti e infrastrutture digitali contribuisce effettivamente allo sviluppo economico africano, ma sta già generando dipendenza dalle tecnologie e dagli investimenti cinesi.

Un aspetto emerso con forza durante il FOCAC è la crescente competizione tra Cina e Occidente per l’influenza in Africa. Fattore chiave, anche considerando il potenziale futuribile del continente – demograficamente in crescita, pronto allo sviluppo tecnologico ed economico. Xi ha criticato le nazioni occidentali per aver inflitto “immense sofferenze” ai paesi in via di sviluppo, proponendo la Cina come un partner alternativo che non impone condizioni gravose. Ha anche promesso di esentare 33 paesi africani a basso reddito dai dazi doganali, un passo volto a bilanciare il surplus commerciale cinese con il continente, che ha raggiunto un record di 64 miliardi di dollari.

Questa influenza però non si gioca solo su linee di cooperazione visibile, come le infrastrutture appunto, sebbene le infrastrutture stesse ne sono a tratti fattore ponte. Per esempio, nove anni fa, il leader cinese Xi promise ai capi di Stato presenti al Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC) a Johannesburg che la Cina avrebbe fornito a oltre 10.000 villaggi remoti, distribuiti tra 23 paesi africani, accesso alla TV digitale. Con oltre 9.600 villaggi che hanno ricevuto infrastrutture satellitari, il progetto è ora vicino al completamento. I canali statali cinesi vengono trasmessi in Africa in lingue locali e internazionali, così come sono tradotti film e le telecronache delle partite di calcio, con un servizio a basso costo garantito dall’azienda cinese fornitrice.

Sempre nell’ambito del soft power, Pechino ha anche esteso i suoi programmi di borse di studio e formazione per funzionari africani, con un forte accento su settori come la governance di partito e l’amministrazione statale. Le scuole politiche cinesi in Africa stanno crescendo, ed è riscontrabile un tentativo di Pechino di plasmare leadership che usino una grammatica simile a quella del socialismo con caratteristiche cinesi utilizzata allo Zhongnanhai. La Cina ha annunciato 1 miliardo di yuan in assistenza militare, inclusi programmi di formazione per 6.000 membri delle forze armate e 1.000 agenti di polizia africani, oltre alla creazione di un’accademia di peacekeeping. Inoltre, Pechino ha invitato 1.000 membri dei partiti politici africani a visitare la Cina per “approfondire gli scambi di esperienze nella governance di partito e dello stato”

Questo tipo di cooperazione non solo economico sfocia nel più articolato e complesso settore politico, promuovendo un modello di governance alternativo alla trama di valori, diritti, ideali democratici occidentali. Per molti stati africani, la Cina rappresenta un’alternativa interessante perché la cooperazione con l’Occidente è spesso condizionata a requisiti di governance democratica e rispetto dei diritti umani che in determinati contesti del continente sono distanti dall’interesse delle leadership (e a volte non propriamente dalle pretese delle collettività).

Dietro all’apparente “mano tesa” di Pechino si cela una volontà geostrategica più complessa. Gli incontri tra Xi Jinping e i leader militari di Mali e Sudan, ad esempio, sono andati contro le norme dell’Unione Africana e dell’ECOWAS, che non riconoscono governi nati da colpi di stato. Pechino, pur presentandosi come un partner per lo sviluppo, cerca anche alleanze con paesi che condividono la sua posizione anti-occidentale (anche con il rischio di compromettere le relazioni con stati africani che non appoggiano governi golpisti.). Questo dimostra un tentativo della Cina di costruire alleanze che potrebbero non essere sempre in linea con gli interessi africani o con le norme regionali. Si tratta di un allontanamento de facto dalla narrazione strategica del win-win a vantaggio di un singolo win”, quello cinese (anti-occidentale).

Di fronte a questa crescente competizione tra Cina e Occidente, i leader africani stanno però adottando un approccio pragmatico, cercando di mantenere relazioni bilaterali vantaggiose con entrambe le parti. Piuttosto che essere costretti a scegliere tra Pechino e Washington, molti paesi africani stanno diversificando le loro relazioni internazionali, sfruttando la presenza di nuovi attori globali come India, Turchia, Federazione Russa ed Unione Europea. Questa strategia permette loro di massimizzare i benefici economici e politici derivanti dai loro legami con potenze globali. Evitano le dinamiche a somma zero inserendo altri fattori nell’equazione del multi-allineamento.

In sostanza, il FOCAC 2024 ha confermato che la Cina rimane un attore centrale in Africa, ma ha anche evidenziato i limiti e le sfide di questa cooperazione. La sostenibilità del debito, la competizione con l’Occidente e le diatribe geopolitiche interne al continente sono tutti fattori che influenzeranno le relazioni sino-africane nei prossimi anni. La Cina, per esempio, potrebbe essere portata a prendere posizioni più nette sui temi destabilizzanti come le questioni nel Western Sahara o nel Corno d’Africa, o ancora il contrasto alle evoluzioni delle organizzazioni terroristiche. Argomenti su cui Pechino di solito evita coinvolgimenti.

La capacità dell’Africa di navigare tra più potenze globali e di sfruttare al meglio le opportunità offerte da ciascuna rappresenta una dinamica fondamentale nel nuovo ordine mondiale multipolare. Per Pechino – come già per Washington – potrebbe essere arrivato il momento di bilanciare le ambizioni geopolitiche con la necessità di rispettare le esigenze e le aspirazioni di un’Africa in rapida ascesa.

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