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Cina, India, Pakistan e Afghanistan: cosa può cambiare nella regione?

Se è vero che il ritiro militare statunitense dall’ Afghanistan ha chiuso quello che Michael Hirsh ha definito su Foreign Policy “ America’s greatest strategic disaster” è altresì vero che ha scoperchiato una sorta di gigantesco vaso di Pandora geo-politico-diplomatico tra le grandi nazioni di quell’inquieta area del Pianeta: India, Cina e Pakistan in testa.

Se è vero che il ritiro militare statunitense dall’ Afghanistan ha chiuso quello che Michael Hirsh ha definito su Foreign Policy “ America’s greatest strategic disaster” è altresì vero che ha scoperchiato una sorta di gigantesco vaso di Pandora geo-politico-diplomatico tra le grandi nazioni di quell’inquieta area del Pianeta: India, Cina e Pakistan in testa.

Chiamate a decidere se limitarsi a contenere, e nel caso trarre profitto, dal caos della polveriera afghana. O, invece, scendere in campo per tentarne una stabilizzazione. Difficilissima sul piano politico e assai poco remunerativa su quello economico: “No immediate bonanza awaits Afghanistan’s propsective partners. It remains one of the poorest countries in the world, with a now-enhanced reputation for humbling great powers. A country that relies on international aid for 80% of its budget is unlikely to have much to trade with, and dreams of unlocking Afghanistan’s rare-earth deposits will depend heavily on stabilizing the war-torn nation” (Foreign Policy 18 Aug. 2021).

Un dilemma emblematicamente fotografato dalle aspre, rumorose contrapposizioni ideologiche esplose ai piani alti dell’establishment pakistano. Infatti, spiega Abubakar Siddique nell’articolo pubblicato da Gandare.r.forf.org con il titolo Pakistan Divided Over Taliban Victories in Afghanistan: he Taliban’s rapid victories in neighboring Afghanistan have once again highlighted deep divisions within Pakistan, where some are celebrating the hard-line Islamists’ expanding territorial control while others warn of increasing homegrown violence and extremism. The public rift heralds a future wherein the Taliban’s return to power and the gloating of Pakistani supporters are stoking fears of a subsequent rise in extremism. Many in Pakistan blame its own rulers and terrorist groups for bringing the Afghan war into their country”. Un timore niente affatto condiviso dal governo di Islamabad. Che per bocca del suo ambasciatore a Washington Asad Majeed Khan in un’intervista del 18 agosto ha duramente contestato le voci messe in circolazione dai media internazionali sulle presunte atrocità commesse dai Talebani visto che “they seem to be listening to the counsel of international community”.

Ma la vera novità politica del terremoto afghano, sostiene Abdul Basif sulle pagine di Al Jazeera, viene da New Dehli. Il cui governo, dopo aver a lungo rifiutato, in nome dell’amicizia con quello ufficiale di Kabul, di instaurare rapporti diretti con i ribelli talebani “in a crucial policy shift, … acknowledged that it entered into backchannel communications with the Taliban in Afghanistan. In early June, the Indian media reported that New Delhi has started talking to certain factions and leaders of the armed group against the backdrop of the withdrawal of the United States forces from Afghanistan. A few days later, India’s Minister of External Affairs all but confirmed these reports, stating that we are in touch with various stakeholders…in pursuance of our long-term commitment towards development and reconstruction of Afghanistan”. Un cambio di linea non solo confermato dallo stesso plenipotenziario indiano nell’incontro di Mosca con il suo omologo russo ed a seguire a Teheran con quello iraniano. Ma suggellato, con grande enfasi, prima dalla inusuale partecipazione della marina indiana, insieme a quelle pakistana ed iraniana, al Russia’s Navy Day celebrato a San Pietroburgo sotto gli occhi di un soddisfattissimo Vladimir Putin. E poi dalla presenza di una delegazione al massimo livello del governo di Narendra Modi all’insediamento del nuovo Presidente iraniano Ebrahim Raisi. A conferma del fatto che: “As Afghanistan descends into abis following the withdrawl of U.S. forces, New Delhi’s long-term calculus on the regional balance power is nudging it toward stronger cooperation with Yehran” (Foreign Policy 4 agosto 2021).

E’ però sul ruolo che a Kabul potrebbe giocare la Cina che si interrogano e si dividono gli analisti di mezzo mondo. Infatti, spiega il direttore dell’Istitute of South Asian Studies di Singapore C. Raja Mohan: “many would be willing to bet that a combination of Chinese economy power and Pakistan army’s mentorship of Taliban provides a solid basis for the deliverance of Afghanistan from four-and-a-half decades of conflict”. Una possibilità che però, per quello che è dato capire, si scontra con almeno due rilevanti controdeduzioni.

La prima, rappresentata dall’estrema prudenza politica dell’establishment cinese ben consapevole che “neither the prospect of mining Afghanistan’s natural resources nor the vanity of being the newest super power will compel China to rush into the Afghan vacuum”. Una prudente incertezza di cui ha dato recente testimonianza il ministro degli esteri Wang Yi. Che intervenendo sulla situazione afghana anziché dare conto delle reali intenzioni del suo governo ha preferito, come si dice, menar il can per l’aia ammonendo gli eredi del Mullah Omar: “as a major military force in Afghanistan should recognise its responsability toward the country and the nation …and return to Afghanistan’s political mainsteam with a sense of rsponsability”.

La seconda, per molti aspetti forse ancor più rilevante della prima, segnalata nell’articolo Explainer: Why Is China Talking To the Taliban? da Reid Standish. Secondo il quale i governanti di Pechino e quelli di Kabul “are strange bedfellows…China is an atheistic, communist state that is running an internal camp system in its western Xinjiang Province that is belived to have detained more than 1 million Uyghurus and other Muslim minorities. The Taliban, meanwhile, is a fundamentalist militant group that previously governed Afghanistan as an Islamic caliphate….So what’s driving the two sides toghether?”.

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