Coalizioni e network in Yemen: l’impatto della politica interna sulla regione del Mar Rosso
La guerra civile yemenita, ormai decennale, è profondamente influenzata dagli equilibri regionali. All'interno del Paese, le varie fazioni politiche e militari continuano a negoziare e ridefinire le proprie posizioni, in un contesto di grande instabilità.
Dopo dieci anni di guerra civile, il destino politico dello Yemen rimane sospeso, mentre i principali attori politico-militari del paese tessono nuove alleanze dentro e fuori i confini nazionali. La crisi e le guerre in Medio Oriente stanno impattando sugli equilibri yemeniti, spingendo gli attori del variegato fronte che si oppone agli houthi a convergenze tattiche, favorite dal sostegno esterno di Emirati Arabi Uniti (EAU) e Arabia Saudita. Allo stesso tempo, gli houthi (Ansar Allah) diversificano le alleanze oltre “l’asse della resistenza” guidato dall’Iran, cooperando con attori armati sunniti attivi nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico.
La tregua nazionale, tecnicamente scaduta dall’ottobre 2022, viene ancora osservata sul campo, anche se combattimenti si registrano su alcune linee del fronte. I colloqui tra l’Arabia Saudita e gli houthi sono bloccati dal 7 ottobre 2023: la crisi nel Mar Rosso, con gli attacchi del movimento armato sciita zaidita (sostenuto dall’Iran) contro le navi commerciali e Israele, allontana le possibilità di un cessate il fuoco. Nonché l’attuazione della roadmap delle Nazioni Unite per il cessate il fuoco https://osesgy.unmissions.org/update-efforts-secure-un-roadmap-end-war-yemen (dicembre 2023) che le parti si sono impegnate a rispettare.
Nel frammentato campo che si oppone agli houthi, il governo internazionalmente riconosciuto (basato ad Aden) sostenuto dall’Arabia Saudita, e i secessionisti meridionali del Consiglio di Transizione del Sud (STC, formalmente parte del governo), appoggiati dagli Emirati Arabi, sono stati fin qui esclusi dai colloqui tra sauditi e houthi. Fin qui non invitati anche i rappresentanti del Consiglio della Leadership Presidenziale (PLC), l’organismo di otto membri guidato da Rashad Al Alimi e che dal 2022 svolge le funzioni di presidenza.
Le incognite generate dalla crisi nel Mar Rosso si sono pertanto sommate ai calcoli politici degli attori yemeniti esclusi dai colloqui bilaterali, favorendo così un riassetto di alleanze e allineamenti, con implicazioni regionali.
Il coordinamento tra le forze filo-emiratine
Gli attori politici e armati yemeniti informalmente sostenuti dagli Emirati Arabi stanno dando vita a convergenze tattiche dopo anni di aperta competizione, o si stanno gradualmente raggruppando sotto l’insegna dell’STC. Da una prospettiva strategica, tale dinamica è rilevante perché queste forze controllano gran parte delle coste e isole meridionali (Mar Arabico) e sud-occidentali (Bab el-Mandeb; Golfo di Aden) del paese.
Nell’agosto 2024, il presidente dell’STC Aydarous Al Zubaidi ha nominato il comandante delle Giants Brigades Abdulrahman Al Muharrami (conosciuto anche come Abu Zaara), come responsabile delle forze di sicurezza e di contrasto al terrorismo nei governatorati del sud. Al Muharrami è stato altresì incaricato di riorganizzare le forze di sicurezza nelle medesime aree https://en.stcaden.com/posts/11969. Le Giants Brigades sono milizie composte soprattutto da salafiti (come Al Muharrami) dei governatorati sud-occidentali (come Lahj, Abyan e Al-Dhalea), spesso dispiegate contro gli houthi e al di fuori dei territori d’origine date le loro capacità militari. Queste milizie appartengono alle Joint Western Forces, coalizione di forze dell’ovest che fa capo a Tareq Saleh, nipote dell’ex presidente yemenita. Al Muharrami era stato nominato vicepresidente dell’STC nel 2022.
L’incontro tra Al Zubaidi e Tareq Saleh, avvenuto in settembre probabilmente ad Abu Dhabi, ha segnato un’altra tappa significativa nel percorso di coordinamento tra le forze filo-emiratine presenti in Yemen, facilitato anche dal nuovo ruolo di Al Muharrami. Il leader dei secessionisti dell’STC (Al Zubaidi) e il leader dei nazionalisti delle National Resistance Forces (Saleh, il cui gruppo appartiene alle Joint Western Forces), entrambi membri del PLC, hanno concordato la necessità di coordinarsi, formando un comitato congiunto, per contrastare gli houthi e i gruppi estremisti https://en.stcaden.com/posts/11995. Il disgelo fra i due leader yemeniti, che mantengono però visioni molto diverse sul futuro istituzionale dello Yemen, è stato ulteriormente ribadito con la visita che Al Zubaidi ha fatto a Saleh nel novembre 2024, mentre quest’ultimo si trovava ricoverato ad Abu Dhabi dopo un leggero incidente d’auto.
Il blocco nazionale degli attori filo-sauditi
La tendenza al coordinamento investe anche gli attori sostenuti dall’Arabia Saudita. Nel novembre 2024, ventidue partiti politici riunitisi nella capitale provvisoria Aden hanno costituito il Blocco nazionale, sotto la leadership di Ahmed bin Dagher (già primo ministro), per “restaurare lo stato e preservare la sovranità https://south24.net/news/newse.php?nid=4293” della repubblica. Il Blocco è stato supportato dal National Democratic Institute (NDI) americano e dalla US Agency for International Development (USAID) https://ye.usembassy.gov/yemeni-national-political-bloc-of-22-political-parties-and-groups-launched-in-aden/.
La rilevanza politica del Blocco nazionale è data dall’adesione di Islah e del General People’s Congress (GPC), i principali partiti politici yemeniti. Il partito Islah (the Yemeni Congregation for Reform) raccoglie la Fratellanza Musulmana locale e una parte dei salafiti e per lungo tempo è stato il principale partito d’opposizione alla presidenza di Ali Abdullah Saleh (1990-2011) pur partecipando, in molte fasi, al sistema di potere modellato da Saleh. Islah, che dopo la rivolta del 2011 ha visto diminuire la sua influenza, è infatti un partito tradizionalmente nordista e sostenitore dell’unità nazionale.
L’altro perno del Blocco nazionale è il GPC, il partito-ombrello che fu di Saleh nonché, per decenni, il primo strumento di cooptazione e di redistribuzione delle risorse della sua presidenza. Dopo il colpo di stato degli houthi nel 2015 -possibile anche grazie all’alleanza di convenienza con le componenti politiche, militari e tribali che ancora sostenevano l’ex presidente- il GPC si è frammentato in diversi gruppi. L’uccisione di Saleh da parte degli houthi, alla fine del 2017, ha poi segnato la definitiva frantumazione del partito, i cui quadri e affiliati sono stati in gran parte assorbiti dal movimento guidato da Abdel Malek Al Houthi. Del Blocco nazionale appena fondato fa parte anche il partito salafita Rashad Union, mentre le National Resistance Forces di Tareq Saleh non vi hanno aderito, optando invece per un coordinamento con i secessionisti meridionali dell’STC.
Le alleanze degli houthi con altri attori armati nel Mar Rosso e Golfo di Aden
Anche gli houthi stanno disegnando nuove alleanze, coltivando un network di partner che va al di là del cosiddetto asse della resistenza a guida iraniana. Oltre al coordinamento con Resistenza Islamica in Iraq (IRI) e ai crescenti contatti con la Russia https://www.med-or.org/news/oltre-lasse-gli-houthi-e-la-diversificazione-strategica-delle-alleanze, gli houthi stanno rafforzando le alleanze nell’area del Golfo di Aden e del Mar Arabico.
Secondo il report https://documents.un.org/doc/undoc/gen/n24/259/53/pdf/n2425953.pdf degli esperti delle Nazioni Unite sullo Yemen, pubblicato nel novembre 2024, gli houthi hanno “aumentato le attività di contrabbando” di armi leggere e di piccolo calibro (SALW) con Al Shabaab, il gruppo terroristico somalo affiliato di al Qaeda. Già nel 2023, le Nazioni Unite affermavano “l’esistenza di un network strettamente coordinato e operante fra Yemen e Somalia, che riceve armi da una fonte comune https://www.securitycouncilreport.org/un-documents/document/s-2023-833.php”, ovvero l’Iran.
Il report sottolinea inoltre “l’alleanza di opportunità” che gli houthi stanno forgiando con al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), ovvero la branca yemenita della formazione terroristica, attiva in alcune regioni meridionali dello Yemen, quindi non nel territorio di nord-ovest controllato dagli houthi. I due movimenti armati hanno interrotto i combattimenti diretti e scambiato dei prigionieri; l’utilizzo di droni da parte di AQAP suggerisce che gli houthi abbiano iniziato a trasferire armi, sancendo una “crescente collaborazione https://documents.un.org/doc/undoc/gen/n24/259/53/pdf/n2425953.pdf” contro ciò che resta dell’esercito yemenita e le milizie filo-emiratine del sud.
Implicazioni regionali
La formazione di nuove coalizioni (Blocco nazionale) e la creazione di raggruppamenti e forme di coordinamento (le forze del sud e del sud-ovest) tra attori politico-militari in Yemen evidenziano la pragmatica flessibilità delle alleanze, come nella tradizione yemenita.
Queste convergenze appaiono, tuttavia, mosse tattiche e non strategiche. Le differenti prospettive sul futuro politico-istituzionale dello Yemen permangono: gli attori politici coinvolti nei nuovi rassemblement perseguono ancora agende politiche diverse e spesso confliggenti a livello locale, ma hanno valutato che dare priorità a tali obiettivi comporterebbe, al momento, più costi che benefici.
Infatti, il riassetto di allineamenti e alleanze tra gruppi enfatizza quanto la crisi e le guerre in Medio Oriente stiano ridefinendo il panorama politico yemenita. La crisi nel Mar Rosso e gli attacchi degli houthi contro le navi commerciali e contro Israele stanno spingendo gli attori del campo opposto, fin qui estremamente diviso, a cercare forme di cooperazione, che possono tornare utili per qualunque scenario: dalla prospettiva (ora più lontana) di un cessate il fuoco, fino alla ripresa dei combattimenti contro gli houthi.
Il risultato è allora la creazione di due ´aree` politico-militari, sostenute rispettivamente dagli Emirati Arabi e dall’Arabia Saudita, quindi di una geografia interna meno frammentata. Tale dinamica permette inoltre alle forze che compongono le istituzioni internazionalmente riconosciute dello Yemen di presentarsi come interlocutori più credibili nei confronti degli alleati internazionali, a cominciare dagli Stati Uniti. Non a caso, dopo l’apertura del fronte del Mar Rosso da parte degli houthi, esponenti delle istituzioni riconosciute hanno più volte chiesto agli Stati Uniti https://www.mei.edu/publications/western-options-narrow-yemens-anti-houthi-forces-vie-us-military-support -anche pubblicamente- sostegno militare a possibili operazioni di terra contro gli houthi, provando a capitalizzare la frustrazione occidentale di fronte alla perdurante instabilità marittima.
Inoltre, la strategia di diversificazione delle alleanze inaugurata dagli houthi aggiunge ulteriore complessità al quadrante del Mar Rosso e Bab el-Mandeb. La cooperazione emergente degli houthi con gli Shabaab somali e la yemenita AQAP trascende infatti le differenze confessionali esistenti, privilegiando vantaggi militari-economici e il contrasto a nemici comuni (Stati Uniti, Israele, il governo yemenita). Il consolidamento di questo network a guida houthi potrebbe espandere il rischio marittimo al Mar Arabico meridionale, e accrescere l’instabilità nel Golfo di Aden.
A dieci anni dall’inizio del conflitto in Yemen, la politica sembra riprendersi parte della scena -con esiti ancora incerti- mentre la trasformazione della tregua ormai scaduta in un cessate il fuoco si complica, sotto gli attacchi degli houthi nel Mar Rosso e contro Israele.