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Così la crisi a Seul supera i confini sudcoreani

La crisi istituzionale in Corea del Sud ha una matrice: la polarizzazione politica interna. Ma i suoi effetti si estendono a livello internazionale. Il punto di Emanuele Rossi

Quando il presidente Yoon Suk Yeol ha dichiarato la legge marziale, la Corea del Sud è piombata indietro di circa quattro decenni, prima della democratizzazione. Il tutto è durato soltanto poche ore, ma i riflessi del gesto – di cui Yoon si è dichiarato parzialmente pentito, confermando comunque di aver agito, a suo avviso, nell’interesse nazionale e di voler “lottare fino alla fine” – hanno superato rapidamente i confini del paese. L’effetto internazionale è una diretta conseguenza dello standing globale che Seul ha ormai assunto, e anche per questo la continuazione della crisi politica interna diventa un elemento di interesse generale.

L’approvazione di una mozione di impeachment da parte dell’Assemblea Nazionale, arrivata nel secondo tentativo sabato 14 dicembre, testimonia una chiara volontà del paese di proseguire sul solco democratico, oltre a rappresentare una rassicurazione sia ai cittadini sudcoreani (che credono profondamente nella democrazia e nei suoi sistemi) che al resto del mondo. Quanto accaduto ha, infatti, rischiato di indebolire la democrazia sudcoreana in un momento in cui il paese è sempre più coinvolto in dinamiche geopolitiche regionali e globali: strategicamente non era possibile lasciare spazio alle divisioni politiche, superarle davanti all’emergenza era diventata una questione, questa sì, di interesse nazionale.

La politica interna: frammentazione e conflitto istituzionale

Ciò non toglie che il sistema politico sudcoreano è dominato da una contrapposizione sempre più polarizzata tra il partito conservatore al governo, il People Power Party (PPP), e il Democratic Party (DP), che detiene la maggioranza parlamentare. La decisione dell’opposizione di procedere con l’impeachment, approvato con 204 voti contro 85, è stata resa possibile grazie al sostegno di alcuni parlamentari del PPP, segno di una volontà di mostrarsi responsabili anche tra le file conservatrici, dopo che il presidente del partito (che Yoon avrebbe arrestato se la legge marziale fosse andata in porto) aveva lascito libertà di coscienza in questo secondo voto – mentre nel primo aveva chiesto compattezza.

Il problema interno è presto riassumibile: l’Assemblea Nazionale è dominata dall’opposizione del Democratic Party (definito “leftist” dai think tanker anglosassoni), che ostacola ogni mossa del governo conservatore. L’inazione sostanziale, prodotta anche dalle difficoltà istituzionali, ha portato Yoon a un record negativo di approval: meno del 20% secondo il dato di fine novembre (piombato al 13% dopo la mossa politicamente avventata, segnando il peggiore record negativo di tutti i tempi). Una frustrazione che – insieme a timori per procedimenti giudiziari che lo coinvolgono con la moglie – avrebbe portato il leader alla scelta estrema della legge marziale. È stato lo stesso presidente a parlare di “disperazione” come la motivazione che lo ha spinto a quella scelta anacronistica e radicale, aprendo anche considerazioni sullo stato della sua salute mentale.

La legge marziale, giustificata come un mezzo per “proteggere l’interesse nazionale” contro presunte influenze pro-Nord Corea, è stata vista da molti come un tentativo disperato di consolidare il potere da parte di Yoon. La sua sospensione dalla carica, con il trasferimento dei poteri al primo ministro Han Duck-soo, rappresenta adesso un momento critico. Han, un tecnocrate con una lunga carriera, si trova ora in una posizione delicata, soprattutto a causa della sua presenza nella riunione (durata a quanto pare poco più di cinque minuti) con cui Yoon ha comunicato di aver deciso sulla legge marziale. È un neo che potrebbe minare la credibilità di colui che ora gestirà ad interim gli affari correnti di un paese che si proietta tra i grandi del mondo.

Un ulteriore elemento di instabilità è rappresentato dalla Corte Costituzionale, chiamata a esprimere la decisione definitiva sulla validità dell’impeachment. La situazione è complicata dal fatto che la corte ha attualmente solo sei giudici su nove, poiché tre posti rimangono vacanti dopo il pensionamento degli ex giudici in ottobre. Anche se l'Assemblea avrebbe dovuto nominare i sostituti, finora non è stata in grado di farlo. La nomina dei due giudici mancanti potrebbe diventare terreno di scontro tra il governo ad interim e l’opposizione, prolungando la crisi istituzionale.

Le implicazioni internazionali: sicurezza regionale e percezione globale

Ma l’impatto della crisi politica in Corea del Sud non si limita ai suoi confini, bensì comporta significative ripercussioni sul piano internazionale. La dichiarazione della legge marziale ha immediatamente retrocesso di quarant’anni la credibilità di Seul, offrendo a Pyongyang l’opportunità di rafforzare la sua posizione propagandistica. La Corea del Nord ha rapidamente colto l’occasione per presentarsi come la parte razionale nella Penisola Coreana – un’immagine amplificata dalle accuse secondo cui Yoon avrebbe cercato provocazioni contro Pyongyang per giustificare la sua mossa. Per questo la risposta istituzionale, secondo l’ordinato processo di rimozione del presidente attraverso l’impeachment, è stata considerata la decisione più solida. E in effetti, a Seul la democrazia ha retto: proteggerla sarà il compito più duro adesso.

La collaborazione tra Corea del Nord e Russia aggiunge in questo un’ulteriore complessità. Pyongyang sta intensificando il suo supporto militare a Mosca nel contesto della guerra in Ucraina, fornendo artiglieria e sistemi d’arma avanzati. Questo asse, già pericoloso, potrebbe portare a una maggiore militarizzazione nella regione, spingendo la Corea del Sud a rivalutare le sue politiche di difesa. Tuttavia, con un governo ad interim e un presidente sospeso, Seul potrebbe trovarsi in una posizione di debolezza strategica, incapace di rispondere in modo efficace alle minacce crescenti. A maggior ragione se le capacità di infowar russe e nordcoreane dovessero unirsi per compagne di disinformazione e psy-ops spinte, per esempio, tramite cooperazioni nel contesto cyber.

L’instabilità politica sudcoreana ha anche implicazioni dirette sulle sue relazioni con i principali alleati e partner regionali. Il riavvicinamento con il Giappone, una delle priorità strategiche, potrebbe subire complicazioni. L’annuncio del Giappone di voler raddoppiare la propria spesa militare entro il 2025 pone ulteriore pressione su Seul, che rischia di essere percepita come un partner meno affidabile in un momento di crescente competizione strategica con la Cina.

Le relazioni con gli Stati Uniti, già caratterizzate da un forte allineamento strategico, potrebbero complicarsi ulteriormente. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca potrebbe portare a un differente approccio nelle relazioni bilaterali rispetto al passato, esigendo un maggiore contributo sudcoreano in termini di spese militari e impegno regionale. In questo contesto, la crisi politica interna rischia di minare la capacità della Corea del Sud di rispondere con coerenza alle richieste di Washington. Se da un successivo voto a valle dell’intero processo dovesse uscire un presidente democratico, continuerà sulla scia delle visioni di Yoon, oppure anche nella politica estera modificherà il senso di alcune visioni? Trump, durante il suo primo mandato, non aveva avuto un rapporto fluido con il democratico Moon Jae-in, per esempio.

La crisi politica sudcoreana evidenzia, dunque, le sensibilità di un sistema democratico altamente polarizzato ma, al tempo stesso, sottolinea la resilienza delle sue istituzioni. La rapidità con cui il Parlamento ha reagito e il rispetto delle procedure costituzionali offrono una dimostrazione di maturità democratica. Tuttavia, le implicazioni a lungo termine di questa crisi – sia sul fronte interno che internazionale – richiederanno a Seul (e ai partner) un’attenta gestione per evitare ulteriori danni alla posizione della Corea del Sud come attore regionale e globale.

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