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Cosa ci racconta l’ultima riunione della SCO

La Shanghai Cooperation Organization, pur avendo le sue diverse sensibilità interne, anche con l’ultima riunione ha dimostrato l’interesse a diventare un blocco sempre più antioccidentale. L’analisi di Emanuele Rossi

Il valore della Shanghai Cooperation Organization (SCO) nelle dinamiche geopolitiche globali sta diventando sempre più significativo, almeno sulla carta. La recente riunione dei leader dei paesi membri ha, ad esempio, evidenziato come Cina e Russia cerchino di sfruttare l’organizzazione per proporre un’alternativa all’ordine internazionale, che i due leader del fronte dei revisionisti considerano troppo influenzato dalle visioni occidentali. L’incontro, ospitato ad Astana (con il Kazakistan presidente di turno che in futuro potrebbe essere parte del sistema Brics+), è più o meno coinciso in termini temporali con il vertice NATO di Washington e ha lanciato un messaggio chiaro riguardo alle nuove dinamiche di potere emergenti su scala globale.

Fondata nel 2001, la SCO ha visto un’evoluzione notevole nel corso degli anni, passando da un focus iniziale sulla sicurezza regionale (essenzialmente legata a necessità di counter-terrorism nell’Asia Centrale, per altro rimaste pressoché immutate) a una piattaforma più ampia che copre questioni economiche, politiche e strategiche. Originariamente formata da Cina, Russia e quattro repubbliche dell’Asia centrale (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan), l’organizzazione si è ampliata per includere India e Pakistan nel 2017 e, più recentemente, l’Iran. Con l’adesione prevista quest’anno della Bielorussia, la SCO rappresenta attualmente circa la metà della popolazione mondiale e un terzo del PIL globale.

E questo incide sulla sua rilevanza, anche perché quei paesi hanno tendenzialmente visioni non troppo discordi dall’interpretazione antioccidentale che Mosca e Pechino dipingono nelle proprie narrazioni strategiche, sebbene tra i due attori vi siano alcuni interessi divergenti. Per esempio, mentre all’inizio la Russia ha guidato l’agenda setting dell’organizzazione, l’influenza della Cina è ormai cresciuta esponenzialmente – in modo direttamente proporzionale alla sua rilevanza globale. Pechino ha sfruttato la piattaforma della SCO per promuovere la sua Belt and Road Initiative (BRI), integrando infrastrutture e investimenti economici nei paesi membri. Questo ha rafforzato la posizione di Pechino come leader economico e strategico del gruppo, e di una regione di cui è quasi superfluo ricordare l’importanza geostrategica.

Inizialmente, la Russia ha guardato alla SCO come ad un baluardo contro l’espansione dell’influenza occidentale nello spazio ex-sovietico. Tuttavia, ormai percepisce che l’organizzazione ha mire sempre più globali (anche grazie alla volontà cinese) e in questi ultimi due anni – in cui l’Occidente ha provato a isolare Mosca dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina – l’evoluzione dell’organizzazione è stata individuata dal Cremlino come una delle vie per evitare la sua marginalizzazione. La sfida, sempre più evidente anche nell’ultima riunione kazaka, per Vladimir Putin sta nel riuscire a difendere questa sua identità – e strategia – davanti alla crescente influenza cinese; anche su questo si basa lo scetticismo di parte dei pensatori strategici russi (e dell’opinione pubblica) nell’approfondimento delle relazioni con Pechino. Tanto per fare un esempio: l’accoglienza che gli è stata riservata ha avuto protocolli e pomposità minore di quella predisposta per il leader cinese.

La riunione della SCO ha messo in luce questa e altre sfide che l’organizzazione deve affrontare. La sicurezza rimane una priorità, con particolare attenzione alla lotta contro il terrorismo, l’estremismo e il separatismo. La regione dell’Asia centrale, che costituisce ancora il cuore geografico della SCO, è particolarmente vulnerabile a queste minacce. Il ritiro delle truppe occidentali dall’Afghanistan ha ulteriormente complicato il quadro securitario della regione, rendendo la cooperazione tra i membri della SCO ancora più cruciale, soprattutto considerando la scarsa capacità di gestione del territorio da parte dei Talebani – che stanno permettendo la formazione di un safe haven terroristico in Afghanistan, senza riuscire ad intervenire contro gruppi come l’IS-K che li combattono.

Oltre agli aspetti di sicurezza, la SCO sta cercando di rafforzare la cooperazione economica tra i suoi membri. La creazione di corridoi commerciali (come quello pakistano in/out dalla BRI), l’incremento degli scambi e degli investimenti, e lo sviluppo di infrastrutture sono tra le priorità dell’agenda. La Cina sta giocando un ruolo di primo piano anche in questo contesto, promuovendo progetti che mirano, attraverso l’integrazione geoeconomica regionale, alla creazione di nuove rotte commerciali per collegare l’Asia all’Europa.

La recente adesione dell’Iran alla SCO e l’imminente ingresso della Bielorussia rafforzano, inoltre, la connotazione geopolitica dell’organizzazione come un blocco alternativo all’Occidente. Infatti, la SCO cercando di promuovere con insistenza, almeno a parole, un modello di governance internazionale basato su principi di uguaglianza, rispetto della sovranità e, soprattutto, non ingerenza negli affari interni, contrasta nei fatti con questo approccio l’ordine globale liberale promosso dall'Occidente, che ha elevato gli standard democratici e i diritti umani come vettore di politica internazionale. Ed è infatti questo uno dei punti di interesse di un’organizzazione all’interno della quale si muovono sistemi e regimi autoritari di vario genere.

È chiaro che tale modello sollevi diverse preoccupazioni. La mancanza di un chiaro impegno verso i diritti umani e la democrazia all’interno della SCO è vista con sospetto, perché sembra garantire ai membri (sotto il faro di quella non-ingerenza) di potersi muovere a proprio vantaggio, anche con la forza, senza suscitare reazioni degli altri – al netto di sovrapposizioni e incroci di interessi.

In quest’ottica, l’assenza del primo ministro indiano Narendra Modi al vertice, nonostante fosse giustificata dai primi impegni parlamentari del terzo, storico mandato, ha sollevato speculazioni sul posizionamento strategico dell’India. New Delhi, membro sia della SCO che del Quad (Quadrilateral Security Dialogue con Stati Uniti, Giappone e Australia) e partner sempre più orientato verso l’Occidente, cerca di mantenere un equilibrio, proteggendo le sue sfere di influenza in Asia Centrale ed evitando di compromettere i propri interessi strategici in un ambiente contaminato da Pechino (rivale) e Mosca (partner e fornitore, con cui Modi deve mantenere le relazioni, almeno per il momento).

In definitiva, la SCO rappresenta una piattaforma unica, che potrebbe ridefinire le dinamiche di potere globali, offrendo una visione del futuro in cui l’Asia gioca un ruolo centrale e soprattutto creando una base di lavoro comune per tutti coloro che intendono rivedere il cosiddetto “ordine internazionale basato sulle regole”, perché lo ritengono eccessivamente occidente-centrico. La riunione di Astana conferma che questo sembra essere il punto di arrivo. Tuttavia, restano sempre più evidenti le divisioni interne – per esempio la posizione indiana – e un senso di sfiducia profonda tra i vari componenti. Da ricordare che due anni fa toccò al leader Xi Jinping fornire garanzie ai membri centro-asiatici sul rispetto della loro “integrità territoriale”, dopo che un altro membro (la Russia) aveva invaso un paese in tempo di pace, con un crescente senso di irrequietezza del Kazakistan, perché sa di godere di una considerazione simile a quella che il circolo del pensiero putiniano riserva all’Ucraina.

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