Così l’India, e non solo, tiene vivo l’IMEC
Nonostante le difficoltà del contesto internazionale, il progetto del Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa va avanti. Il punto di vista di Emanuele Rossi
Il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (noto con l’acronimo IMEC) – lanciato durante il vertice del G-20 nel settembre 2023, ma in fase di stallo a causa del conflitto tra Israele e Hamas – potrebbe avere una nuova spinta organizzativa questo mese, grazie a due distinti appuntamenti: il viaggio in India del premier greco, Kyriakos Mitsotakis, e la visita ad Abu Dhabi del primo ministro indiano, Narendra Modi.
Mitsotakis, che dal 21 al 23 febbraio sarà ospite principale del Raisina Dialogue (organizzato dal Ministero degli Affari Esteri indiano con l’Observer Research Foundation), aveva già avuto le prime discussioni sul posizionamento della Grecia come hub regionale per lo scorrimento dell’IMEC verso l’Europa, quando Modi si era recato ad Atene nell’agosto 2023. Oltre ai colloqui bilaterali con la delegazione greca, i funzionari indiani puntano a istruire il discorso IMEC anche negli incontri ad alto livello programmati a margine dei Raisina Dialogue con il consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan, e con il segretario generale del Servizio europeo per l’Azione Esterna, Stefano Sannino – che per altro arriverà a New Delhi dopo aver svolto un tour negli USA.
Contemporaneamente, durante la visita mediorientale (13-14 febbraio), il premier indiano ha stretto un accordo quadro intergovernativo sulla cooperazione per l’empowerment e il funzionamento del corridoio economico – accordo, questo, che si basa su precedenti intese e cooperazioni in materia e mira a favorire la coesione tra New Delhi e Abu Dhabi, promuovendo la connettività regionale nell’Indo-Mediterraneo.
Da segnalare, inoltre, come anche la Francia abbia nominato un inviato speciale che si occuperà del progetto: l’Eliseo ha scelto infatti Gérard Mestrallet, figura di esperienza consolidata su questi temi.
L’IMEC, dunque, si muove. La guerra nella Striscia di Gaza è stata certamente un elemento di complicazione, ma si sta dimostrando più una deviazione tattica che uno sconvolgimento strategico. La crisi mediorientale ha in effetti complicato uno degli elementi cruciali per IMEC, la normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, perché il collegamento che apre la connessione di India e Medio Oriente all’Europa dovrebbe proprio essere garantito dal passaggio terrestre tra il territorio saudita, quello giordano e quello israeliano, e da lì prendere il Mediterraneo verso l’Europa. Il peso geopolitico sulla situazione appare evidente, e con Riad che evidenzia come quella normalizzazione con Israele sarà possibile solo dopo la soluzione “a due stati” con la Palestina, gli sviluppi nel breve periodo potrebbero diventare complicati.
Eppur si muove. La visita indiana di Mitsotakis potrebbe dare il via ai colloqui sui prossimi passi. Le otto parti che hanno firmato il Memorandum d’Intesa (MoU) a latere del recente G20 di Nuova Delhi – Unione Europea, Francia, Germania, India, Italia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti – dovrebbero avviare i primi passi concreti, seguendo quanto previsto dal MoU, ossia incontrarsi “per sviluppare e impegnarsi in un piano d’azione con i relativi calendari”. Gli indiani sono fortemente interessati allo sviluppo intermodale e vogliono un ruolo centrale, scommettendo su IMEC al punto che nel suo recente discorso sul bilancio, la ministra delle Finanze, Nirmala Sitharaman, lo ha definito un “punto di svolta strategico”.
“Si tratta di uno sforzo in cui sono coinvolti molti paesi, i cui progressi [sull’IMEC] sono finora molto buoni”, ha recentemente dichiarato il ministro delle Ferrovie indiano, Ashwini Vaishnaw: “È chiaro che si tratta di una grande assicurazione contro qualsiasi interruzione delle rotte commerciali”, ha aggiunto. E qui sta il punto: se è vero che la guerra a Gaza ha rallentato i tempi su IMEC, gli effetti che potrebbe produrre a livello regionale ne confermano il valore – probabilmente al punto da renderlo per alcuni degli attori coinvolti indispensabile e da realizzare il prima possibile.
L’avvio da parte degli Houthi della destabilizzazione delle rotte che collegano Europa e Asia tramite il corridoio Suez-Bab el Mandeb, conferma infatti l’importanza di un’alternativa. Il gruppo terroristico yemenita afferma di lanciare missili contro le porta container collegate a Israele (ma non solo) per rappresaglia contro l’invasione della Striscia, ma in realtà vuole dare una dimostrazione di forza da giocare ai tavoli negoziali sulla guerra civile in Yemen. Soprattutto, i loro attacchi dimostrano che le rotte tra il Mar Rosso e l’Oceano Indiano occidentale sono eccessivamente sensibili e che i due chokepoint sul Sinai e sul Corno d’Africa sono pericolosi, al punto che degli attori non statali possono arrecare un serio danno alla geoeconomia globale. IMEC è da molti percepito come un’alternativa efficace per modificare parte dei traffici lungo tali direttive commerciali e, dunque, degradare i rischi.
È per tale ragione che il progetto deve proseguire celermente. Il forte impegno di tutte le altre parti coinvolte, in particolare gli Stati Uniti e l’Unione Europea – che finanzieranno le iniziative attraverso il Partenariato per le Infrastrutture e gli Investimenti Globali (PGII) guidato dal G7 (dunque quest’anno sotto la direzione italiana) – diventa quasi una necessità. IMEC viene definito “intergenerazionale”, tale da non poter essere deviato da un evento come un conflitto singolo – per quanto esso possa complicarne situazioni di sicurezza e contesto politico. Il progetto in questione non è, infatti, solo un corridoio in cui muovere le merci, ma un elemento utile per cementare le relazioni, elargendo al tempo stesso lavoro e prosperità lungo il suo tragitto. L’India, paese in ascesa globale, spinge e trova sponda in quegli attori che stanno sfruttando la propria connotazione di nodo geostrategico tra Asia, Europa e Africa per accrescere il proprio standing internazionale – Italia in primis.