Elezioni in India: le incognite per Modi
Le elezioni indiane sono al via, ma nelle urne si possono nascondere alcuni rischi per il Primo ministro in carica. Il punto di vista di Guido Bolaffi
Nelle elezioni indiane chi rischia è Modi. Il superfavorito, che tanti danno già con la vittoria in tasca, dimenticando o fingendo di dimenticare che le urne possono talvolta riservare sorprese, anche tali da smentire pronostici di vittorie elettorali considerate come strasicure.
Senza inoltre considerare che questa volta in India la vera posta in gioco nelle urne non è se ma con quanti voti e in quanti Stati il Bharatiya Janata Party-led-National Democratic Alliance (BJP-NDA) -il raggruppamento elettorale trainato dal partito del Premier- riuscirà a vincere. E se sarà capace di confermare lo “stratosferico” consenso elettorale del 2019, quando il BJP-NDA si assicurò ben 353 dei 520 seggi del Lok Sabha (la Camera più importante del Parlamento di Delhi).
Non è un segreto, infatti, che se dalle urne Modi uscisse vincente ma con un consenso elettorale in calo rispetto al passato i suoi tanti nemici vivrebbero la loro sconfitta come e più di una vittoria. In primis quelli dei partiti confluiti nell’Indian National Development Inclusive Alliance (INDIA).
Un cartello elettorale, che gli inglesi definirebbero del tipo hodgepodge-party, raccoglie tutto ed il contrario di tutto: dai conservatori ipernazionalisti ai centristi moderati fino ai comunisti. Per la semplice ragione, notava con malcelata ironia Saroi Giri sul quotidiano The Print del 4 aprile scorso: “The anti-Modi camp cannot survive without the looming imagined figure of Modi, ever-winning and all-powerful, the Great Dictator[...] Opposition has no agenda of its own and survives purely on opposing Modi “.
E con loro canterebbero certamente vittoria anche i non pochi membri dell’intellighenzia e dell’accademica i quali, forse nostalgici dell’India che fu, non vedono di buon occhio il futuro del loro paese nelle mani di un ultrà induista. Come, ad esempio, lo storico dell’Università di Delhi Mukul Kesavan secondo cui: “BJP’ majoritarism just needs a minority to mobilize against - a hatred of internal other [...] India is at the vanguard of this. There is no else doing what we are doing. I am continually astonished that the West doesn’t see this”. Oppure Ramachandra Guha, noto studioso assurto alla gloria come autore di una eccezionale biografia di Gandhi. Il quale, di recente, sulle blasonate pagine di Foreign Affairs nell’articolo India's Feet Clay ha senza mezzi termini affermato: “Modi, a leader of enormous charisma from a modest background, has erected a facade of triumph and power that obscures a more fundamental truth: that a principal source of India’s survival as a democratic country, and of its recent economic success has been its political and cultural pluralism, precisely those qualities that the prime minister and his party now seek to extinguish”.
Per Modi, però, ci sono anche altri rischi in agguato.
Tipo quello della sua longevità di Primo Ministro. Un brend non proprio di moda nel subcontinente asiatico. Visto che, ricordava Michael Kugelman nella sua preziosa rubrica South Asia Brief : “Then there is the longevity factor. In South Asia few elected leaders or parties have held power as long as Modi and the BJP. [ In fact] only Bangladesh’s prime minister Sheikh Hasina has held office longer than Modi”. Oppure quella, assai intelligente, esposta da Milan Vaishnav - direttore del South Asia Program at the Carnegie Endowment for International Peace di Washington - nel paper Decoding India’s 2024 Election Contest : “Elections are popular demonstration of the will of the electorate; they are not preordained coronation. Past experience suggests that Indian voters do not thoughtlessly conform to the conventional wisdom du jour”
In tutto ciò c’è anche da tener presente che nell’India di oggi, differentemente da quella del passato, la vittoria nelle elezioni locali - come nel caso di quelle che a dicembre scorso hanno premiato il partito di Modi nei potenti e popolatissimi stati della cosiddetta Hindi Belt – influenza poco o nulla quelle nazionali: “As the road to 2024 elections begins [...] The first issue to keep in mind is the limited predictive power of recent Hindi Belt’s states polls. While it would be churlish to deny the Bharatiya Janata Party (BJP) celebration, it would be shotsighted for the party to believe that these results mechanically predict how voters these five states will behave in next year’s general elections.In an earlier era of Indian politics, scholars detected an unmistakable relationship between state and national elections.[...] This correlation has broken down in recent years”.
Una verità resa ancor più pregnante dall’imprevedibilità del voto dell’enorme ma assai eterogenea galassia dei giovani (il 46% della popolazione indiana ha meno di 26 anni). Ed in particolare di quelli che il giornalista Snigdha Poonam definisce India’s Generation Z :“The people who will shape the country’s next decade came of age during the Modi era [...] Between 10 million and 15 million people work as freelancers for Indian stat-ups serving the needs of the country’s urban elite: commuting, delivering food and online shopping”.