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Fermento nell’Indo-Pacifico

L’Indo-Pacifico si trova in una fase di concitazione in seguito allo scoppio della crisi nello Sri Lanka e all’accavallarsi di eventi e incontri diplomatici di rilievo. L’analisi di Guido Bolaffi

Per la politica dell’Indo-Pacifico le ultime due settimane sono state di grande fermento. Non solo per le gravi turbolenze provocate dalla drammatica, esplosiva situazione dello Sri Lanka, ma anche per il significativo accavallarsi di eventi e summit diplomatici che, in parallelo alle ricorrenti voci sulla possibile sostituzione del ministero degli Esteri cinese Wang Yi con il suo vice ed ex ambasciatore in India Le Yucheng, hanno coinvolto a vario titolo i responsabili di governo dei principali paesi della regione.

Ad iniziare da lunedì 16 maggio, giorno in cui, per la prima volta nella storia, un premier indiano, nella persona di Narendra Modi, è volato a Lumbini in Nepal per rendere omaggio al luogo di nascita di Buddha ed inaugurare l’India International Center for Buddhist Culture and Heritage. Una visita che, secondo l’inviato di The Print Jyoti Malhotra, dimostra che Modi “Understands the power of symbolism like few other leaders, travelled to Shakyamuni’s home in the colours of an ordinary monk. But, of course, there is much more [...] than a PM temporarily turning into a Buddhist disciple on Buddha Purnima [...] The PM’s trip to Nepal signals [...] in the wake of India reaching out to Sri Lanka and helping it out in its hours of economic and political crisis, New Delhi is now demonstrating its ambition in its neighbourhood in the north that it will not allow China to expand its sphere of influence in a region it calls its own”.

Erano passati solo pochi giorni, che sabato 21 maggio l’Australia, prendendo in contropiede molti - compreso lo stesso Joe Biden in procinto di imbarcarsi sull’Air Force One diretto a Tokyo -, annunciava la sconfitta elettorale del Premier Scott Morrison e l’elezione a Primo Ministro del leader laburista Anthony Albanese. Una novità che oltre a complicare la vita ai responsabili del protocollo diplomatico giapponese - (domenica 22 sugli inviti del Vertice Quad previsto a Tokyo per il martedì successivo risultava ancora stampato sotto la voce “Primo Ministro d’Australia” il nome di Scott Morrison) - è stata letta da alcuni analisti, forse affrettatamente, come prodromica di una futura, possibile distensione nei rapporti, fino ad oggi non facili, tra il governo di Canberra e quello di Pechino. Soprattutto dopo la firma nel settembre 2021 dell’accordo AUKUS, che tanto aveva irritato il governo di Parigi, tra USA, Australia e Gran Bretagna per la produzione congiunta di una nuova, potente flotta di sottomarini nucleari.

È in questo scenario che lunedì 23 maggio prendeva il via - preceduto da un incontro, il primo a quattr’occhi, tra Biden ed il neo Premier giapponese Fumio Kishida - il gran tour dell’Indo-Pacifico ideato dal vecchio senatore del Delaware fin dal momento del suo insediamento alla Casa Bianca. Con il duplice obiettivo di confermare e rafforzare, a distanza di pochi mesi dall’ultimo incontro dello scorso settembre a Washington, la cooperazione in seno al QUAD tra i governi di Usa, India, Australia e Giappone, e di lanciare, in parallelo, dopo il ritiro degli Stati Uniti dal Trans-Pacific Partnership deciso a suo tempo da Trump, un nuovo accordo commerciale nell’Indo-Pacifico tra gli Usa e dodici nazioni della regione: Australia, Brunei, India, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Malesia, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Tailandia e Vietnam.

Una proposta che ha avuto la meglio sulle resistenze e le perplessità di molti - come ad esempio quelle del Premier di Singapore Lee Hsien Loong che, stando a quanto riferiva un servizio del 23 maggio di NIKKEI-Asia, “Intends to join the new US-led Indo-Pacific Economic Framework while also supporting China’s entry into a multilateral free trade pact that does not currently include America” - soprattutto grazie alle strabilianti novità segnalate dall’ultimo, recentissimo rapporto di previsione sulle tendenze dell’economia mondiale pubblicato dall’agenzia Bloomberg Economics, secondo cui: “Projecting U.S. GDP growth at about 2.8% in 2022 compared to 2% for China which has been trying to contain the coronavirus through strict lockdowns while also dealing with a property bust. The slowdown has undermined assumptions that China would automatically supplant the U.S. as the world’s leading economy”.

Ragione per la quale, commentava d’acchito l’acuto Consigliere per la Sicurezza americana Jake Sullivan, “The fact that the United States will grow faster than China this year, for the first time since 1976, is a quite striking example of how countries in this region should be looking at the question of trends and trajectories”.

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