Gli ebrei russi, la “mobilitazione parziale” e l’Agenzia ebraica
La guerra in Ucraina e le recenti decisioni del Cremlino hanno avuto in questi mesi ricadute anche nelle relazioni tra Russia ed Israele. L’analisi di Anna Cossiga e Giovanni Caprara
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Non si può negare che, all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’atteggiamento di Israele verso la Russia sia stato, come minimo, ambiguo. Lo Stato ebraico ha votato in favore della risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU che ha condannato l’invasione, ma non ha imposto sanzioni e, almeno nel primo periodo del conflitto, l’allora premier Naftali Bennett si è anche offerto come mediatore tra Putin e Zelensky, preoccupandosi di mantenere un rapporto equidistante.
Il favore nei confronti dell’Ucraina, però, è cresciuto con il tempo. Bennet è scomparso dalla lista dei possibili paceri e, più il sostegno verbale a Kiev aumentava, più le relazioni con Mosca si deterioravano. Il primo segnale è stato la minaccia russa di cessare il coordinamento militare in Siria. Sono arrivati poi i commenti del ministro degli esteri di Mosca, Sergej Lavrov, sulle possibili ascendenze ebraiche di Hitler, per terminare con la volontà espressa dal ministero della giustizia russo di sospendere le attività all’Agenzia ebraica di Mosca. Un duro colpo per Israele.
L’Agenzia è nata nel 1929 non solo per favorire l’aliyah, l’immigrazione nello stato di Israele degli ebrei della diaspora[1], ma anche per aiutarli ad inserirsi nella nuova società ed iniziare una nuova vita. La politica migratoria israeliana, che sostiene e favorisce il “ritorno” degli ebrei nella “terra dei padri”, è chiaramente definita nella Dichiarazione d’indipendenza del 1948, che afferma: “Lo Stato di Israele è aperto all’immigrazione ebraica e al raduno degli esuli” e “favorirà lo sviluppo del paese a beneficio di tutti i suoi abitanti[2]”.
La già numerosa comunità russa in Israele è aumentata dopo lo scoppio del conflitto ucraino. Proprio in base ai dati forniti dall’Agenzia ebraica, delle circa 40.000 persone immigrate in Israele, 26.000 provengono dalla Russia, mentre lo scorso anno erano circa 7000[3]. La mobilitazione parziale alle armi, annunciata da Putin a fine settembre, potrebbe far salire ulteriormente il numero di immigrati. 55.000 russi di origine ebraica sarebbero pronti a trasferirsi e, a tale proposito, il ministro dell’immigrazione israeliano, Tamano-Shata, ha annunciato che Tel Aviv “si sta preparando per un’ondata migratoria su vasta scala”[4]. Per aiutare i possibili immigrati a lasciare la Federazione Russa, il primo ministro ad interim Lapid ha chiesto alla compagnia aerea El Al di incrementare le tratte[5]. Vista la complessità della situazione, il governo israeliano ha anche autorizzato l’Agenzia Ebraica ad istituire sezioni temporanee in Finlandia ed Azerbaijan, in modo da assistere gli ebrei russi fuggiti in quei paesi e in attesa di potersi trasferire in Israele.[6]
È dunque evidente l’importanza che l’Agenzia riveste per Israele e la sua “missione” di riportare in patria tutti gli ebrei dispersi per il mondo. Alla fine di luglio, una delegazione dello Stato ebraico si è recata in Russia per mediare sulla chiusura e, per adesso, la decisione dei tribunali di Mosca è congelata. Tuttavia, la soppressione delle attività dell’Agenzia ebraica nella Federazione Russa non solo potrebbe condurre ad un ulteriore peggioramento delle relazioni tra Tel Aviv e Mosca, ma potrebbe rendere più difficile la vita dei numerosi ebrei russi che vorrebbero ricostruirsi una vita in Israele.
[1] https://www.treccani.it/enciclopedia/aliyah_%28Dizionario-di-Storia%29/
[2] Provisional government of Israel, Declaration of Independence, Official Gazete, maggio 1948, https://m.knesset.gov.il/en/about/pages/declaration.aspx
[3] https://www.jewishagency.org/jewish-population-rises-to-15-3-million-worldwide-with-over-7-million-residing-in-israel/
[4]https://www.al-monitor.com/originals/2022/09/israel-keeps-flights-coming-jews-flee-russia