Hakan Fidan e Mehmet Şimşek: due nomine significative per il nuovo governo di Erdoğan
Il 2 giugno è stato nominato il Gabinetto del nuovo Governo turco guidato da Erdogan. Hakan Fidan sarà il responsabile della politica estera mentre Mehmet Şimşek avrà la responsabilità della guida del Ministero del Tesoro.
Il 2 giugno è stato nominato il Gabinetto del nuovo governo guidato da Erdoğan. Tra le cariche più rilevanti vi sono quella del nuovo ministro degli Esteri, Hakan Fidan, e del ministro del Tesoro, Mehmet Şimşek. Entrambi godono di un’ottima reputazione all’estero e possono rafforzare la posizione della Turchia sul piano internazionale.
Hakan Fidan è stato capo del servizio segreto turco, il MIT, dal 2010 e con la formazione del nuovo esecutivo ha sostituito il ministro degli Esteri uscente, Mevlüt Çavuşoğlu. Uomo di fiducia di Erdoğan e parlamentare dell’AKP sin dai primi anni 2000, per oltre un decennio ha gestito i dossier più delicati sia della politica interna che di quella estera turca. Con la nomina di Fidan, presumibilmente aumenterà la già solida cooperazione tra il MIT e il Ministero degli Esteri, un aspetto che potrebbe ampliare la dimensione securitaria della politica estera del paese e aprire a nuovi scenari.
Il processo di normalizzazione dei rapporti tra Turchia e Siria, già avviato lo scorso anno con i colloqui di Astana, potrebbe giungere a compimento. Fidan, che durante il suo mandato al MIT conduceva una diplomazia parallela rispetto a quella del Ministero degli Esteri, ha avuto un ruolo centrale anche in merito al dossier curdo. È infatti nota la sua mediazione con il PKK a Oslo, e prim’ancora con il suo fondatore Abdullah Öcalan, dal 1999 detenuto nel carcere dell’isola di Imralı.
L’esperienza acquisita da Fidan sulla questione curda potrebbe quindi rivelarsi fondamentale per una distensione dei rapporti con il Kurdistan siriano e con il governo di Damasco. Egli, infatti, è un profondo conoscitore della realtà curda, comunità dislocata tra Siria, Iraq e Iran e i contatti stabiliti con i leader locali durante la sua permanenza al MIT gli hanno attribuito il ruolo di mediatore tra il governo di Ankara e i paesi dell’area.
In politica estera, la ricerca di un compromesso tra gli interessi turchi-russi e iraniani in Siria è indispensabile per garantire la stabilità regionale. Da questo dipende, infatti, la definitiva interruzione del flusso di migranti diretti in Turchia, un tema di fondamentale importanza per l’establishment turco. Ciò sarebbe dimostrato dalle recenti dichiarazioni del presidente al-Assad, in base alle quali avrebbe acconsentito a incontrare Erdoğan solo a seguito di un ritiro delle truppe turche dal nord della Siria, ponendo fine a quella che i siriani, e non solo, definiscono una “occupazione illegale”. Occupazione definita tale anche dalle Forze democratiche siriane (FDS) che l’11 giugno hanno attaccato due avamposti militari turchi situati nel Kurdistan siriano. La risposta delle FDS potrebbe essere letta come un segnale di opposizione sia nei confronti di Fidan, che ha precedentemente avviato il processo di normalizzazione con la leadership siriana, sia verso İbrahim Kalın, nuovo capo del MIT e interlocutore delle FDS. Tuttavia, il rimpatrio dei 3,6 milioni di siriani attualmente presenti in Turchia, dipenderebbe dalle capacità di raggiungere un accordo con al-Assad per garantire l’incolumità dei rifugiati.
Fidan, che ha avuto un ruolo centrale nella prima fase di distensione dei rapporti anche con Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto, potrebbe continuare il processo di normalizzazione con questi paesi, precedentemente compromesso dal sostegno turco ai Fratelli Musulmani. La distensione con gli stati arabi si prospetta, quindi, un primo banco di prova per il neo ministro degli Esteri: gli investimenti promessi dai paesi del Golfo risulteranno vitali per la stabilizzazione dell’economia turca e per la ricostruzione delle aree terremotate.
Parallelamente, la conclusione dell’accordo con l’Egitto e con il Governo di Unità Nazionale libico sulla delimitazione delle rispettive ZEE nel Mediterraneo dipenderanno soprattutto dalle capacità diplomatiche di Fidan. Infatti, tra le prime azioni di governo intraprese dal nuovo ministro degli Esteri, vi è stato un colloquio telefonico con la sua controparte egiziana, Sameh Shoukry, per discutere dell’ampliamento delle relazioni bilaterali. Tuttavia, l’accordo turco-libico per la creazione di un corridoio marittimo nel Mediterraneo, nonché la rivendicazione unilaterale di una propria ZEE da parte dell’Egitto, potrebbero compromettere l’attività diplomatica di Fidan e innalzare nuovamente le tensioni nel quadrante.
La nomina del nuovo ministro non mancherà d’influenzare, inoltre, le relazioni tra Ankara e i paesi eurasiatici. Secondo Fidan, la Turchia, intesa come comunità identitaria e politica, si espande dal Mar Adriatico fino al cuore dell’Asia centrale. Il territorio, che conserva forti legami etnico-politico-linguistici con la Turchia Anatolica (che parte dai Balcani Occidentali e passa per l’Asia Minore e il Caucaso), proietta la Turchia direttamente nella regione dell’Asia centrale. A tal proposito, Fidan è stato al vertice della TIKA (Agenzia turca per la cooperazione e il coordinamento), grazie alla quale ha potuto ampliare l’influenza politica ed economica turca in Asia centrale. Il concetto strategico dell’Eurasia per il paese anatolico affonda le sue radici nell’idea di Afro-eurasia di Ahmet Davutoğlu, probabile mentore del giovane ministro. Secondo l’ex ministro degli Esteri, la posizione geografica della Turchia le conferisce un primato unico: “in termini di influenza, la Turchia è un paese del Medio oriente, dei Balcani, del Caucaso, dell’Asia centrale, del Mediterraneo, del Golfo Persico e del Mar Nero”. Così, la Turchia viene posta al centro della massa afro-euro-asiatica e, nonostante sia un paese di medie dimensioni, deve ambire al ruolo di potenza nella regione. Davutoğlu, che ha fatto della “Profondità Strategica” il manifesto della politica estera turca nei primi mandati di Erdoğan (Primo ministro dal 2003 al 2014) sembrerebbe, quindi, aver ispirato la visione geopolitica di Fidan.
Alla luce di quanto detto finora, è possibile affermare che sotto la guida di Fidan la politica estera turca potrebbe diventare maggiormente assertiva. Da capo dell’intelligence, si è distinto per la capacità di trattare relazioni complesse in diverse aree geografiche, un elemento che ha accresciuto il peso strategico di Ankara.
Parallelamente alla politica estera, non si può non considerare lo stato di difficoltà dell’economia turca. La nomina di Mehmet Şimşek al Tesoro può rappresentare una concreta novità nell’indirizzo economico di Ankara. Durante la campagna elettorale il dibattito pubblico si era concentrato sulla necessità di affidare il ministero dell’Economia ad un tecnico che avesse lavorato nelle principali istituzioni finanziarie internazionali. Şimşek, che in un primo momento aveva rifiutato l’incarico a causa della scarsa autonomia decisionale di cui dispongono le istituzioni economiche in Turchia, ha successivamente accettato la nomina dichiarando che la politica economica ha bisogno di tornare su un terreno razionale, ma che non esistono rimedi rapidi per la congiuntura economica turca. L’obiettivo di Şimşek è quello di stabilizzare l’inflazione sul medio-lungo periodo alzando i tassi di interesse, una misura di cui si vedranno gli effetti solo tra 12-18 mesi.
Oltre alle difficoltà interne, la scelta di Şimşek da parte di Erdoğan è dovuta alla necessità di restituire fiducia ai mercati internazionali. A tal riguardo, merita una menzione il ruolo da lui ricoperto nella ripresa dell’economia turca dopo la crisi finanziaria globale del 2008; un percorso che potrebbe essere intrapreso nuovamente nel ciclo economico odierno. Il ritorno a un approccio economico classico sarebbe evidente anche dalla nomina di Hafize Gaye Erkan come Governatrice della Banca centrale turca. Erkan, fortemente sostenuta da Şimşek, è il più giovane vertice della Banca centrale; vanta una formazione accademica nelle principali università americane e ha lavorato presso Goldman Sachs.
Nonostante questi segnali incoraggianti, i timori evidenziati dagli analisti economici riguardano la possibilità che un’inversione di tendenza possa essere operata solo nel breve periodo, un’opportunità politica in vista delle elezioni amministrative del 2024. L’autonomia chiesta da Şimşek e da Erkan rischia però di essere compromessa dall’accentramento di potere da parte del presidente, elemento che porterebbe ad un peggioramento dell’attuale crisi economica, sia per quanto riguarda la spirale inflattiva, che il rapido deprezzamento della lira turca, già peraltro in corso dal 2021. La prima riunione del Comitato esecutivo della Banca centrale, in programma il 22 giugno, ci darà un’indicazione sulla futura politica monetaria di Ankara.
Se per l’operato di Fidan le prospettive sul breve periodo sono complessivamente positive, lo stesso non si può affermare per Şimşek, che rischia di avere un margine di manovra limitato.