Approfondimenti

Il conflitto russo-ucraino si espande in Africa

Dinamiche e conseguenze alla luce della battaglia in Mali. L’analisi di Giorgio Cella

Come molte locuzioni latine, anche la celebre repetita juvant torna sovente comoda, e ciò si applica sicuramente nel contesto che stiamo vivendo e che andiamo ad analizzare in questo approfondimento. In questo caso, il riferimento alla repetita è il concetto espresso all’inizio dell’esplosione della guerra in Ucraina da Marco Minniti: un filo rosso lega l’Ucraina al Mediterraneo. Una frase, e l’implicito monito che contiene, che conviene tenere a mente, poiché non sarà certo l’ultima volta che le irradiazioni che si propagano dal teatro bellico russo-ucraino raggiungono contesti geografici e latitudini radicalmente diverse ed estranee al contesto europeo centro-orientale o eurasiatico. Proprio dal quadrante centro-orientale europeo, infatti, le conseguenze di oltre due anni e mezzo di conflitto si irradiano financo nelle più remote linee di confine di quel Mediterraneo allargato al centro dell’attenzione e analisi geopolitica dell’ex ministro degli Interni.

Il riferimento specifico, nella presente trattazione, riguarda le violenze scoppiate nel Sahel il 27 luglio scorso, che hanno visto le truppe mercenarie russe Africa Corps subire perdite in Mali, nei pressi del distretto di Tinzaouaten, in prossimità dei confini meridionali dell’Algeria. Si parla di decine di morti tra i paramilitari dell’Africa Corps (alcune fonti parlano di oltre cinquanta morti, oltre alle oltre quaranta vittime tra i soldati dell’esercito del Mali) risultato di tre giorni di scontri armati con i ribelli maliani Tuareg (Permanent Strategic Framework for the Defense of the People of Azawad) alleati con le milizie jihadiste regionali loro alleate (Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin). Oltre alle ingenti perdite di uomini, i ribelli hanno affermato di aver catturato vari armamenti e un numero imprecisato di prigionieri. Per dare la misura delle perdite, si aggiunga come stime degli esperti di questioni militari e specificamente dell’Africa Corps, parlano di circa mille effettivi dispiegati nei vari Stati del continente africano. Dal canto loro, le autorità del Mali hanno affermato che non si trattava di mercenari Africa Corps bensì di consiglieri militari russi in aiuto del governo. Si consideri come, dopo la morte del famigerato ex leader Yevgeny Prigozhin, la PMC (private military company) sia stata messa sotto l’egida del Ministero della Difesa russo.

Ad ogni modo, sta di fatto che l’episodio segna una falla in quella che per Mosca appariva come una traiettoria geopolitica portatrice esclusivamente di vantaggi strategici, di successi di immagine globale e di un teatro di fattibile gestione: traiettoria resa sinora possibile in seguito all’uscita di scena delle truppe francesi nel 2022 (fine dell’Operazione Barkhane). Un evento, quest’ultimo, di grande magnitudo nelle dinamiche di potenza globali del Ventunesimo secolo sul quale si è data sinora troppa poca importanza e insufficiente riflessione strategica. La sostituzione della presenza francese nel Sahel (e dei contingenti delle Nazioni Unite) con quella russa (e cinese, sul piano sia geopolitico ma soprattutto di penetrazione economica e infrastrutturale) ha segnato un punto di svolta che porta con sé implicazioni che interessano oltre all’area del Sahel stesso, tutto il nord Africa e il Mediterraneo allargato, con paesi europei rivieraschi come Italia e Spagna in primis. Oltre alla nota instabilità interna agli Stati e alle popolazioni dell’area, si è così aggiunta anche una serrata competizione di politica di potenza tra i vari attori geopolitici: una sorta di nuovo great game in salsa sahariana. La presenza di forze russe nell’area è ivi presente da anni, e il Cremlino ha lavorato per sfruttare il malcontento crescente e il rancore dei popoli locali contro la presenza di Parigi nell’area, considerata da una buona percentuale dei governi e delle genti locali come una anacronistica realtà post-coloniale, ormai sostanzialmente nociva agli interessi africani. A seguito di una serie di colpi di Stato (Mali, Guinea, Burkina Faso, Sudan, Niger e Gabon) che ha interessato il Sahel, l’Africa centrale e occidentale – al punto di essere financo rinominata in termini giornalistici Coup Belt (la Cintura dei Golpe) – si è avuta dal 2020 in poi la sostituzione di vari governi filofrancesi (e filoccidentali) della regione. Il Cremlino, dopo aver riformattato la Wagner alla luce della morte del loro capo Prigozhin e alla drastica diminuzione della loro presenza sul fronte ucraino, ha inviato nell’area gli operativi del gruppo mercenario per saldare la propria influenza nell’area, fornendo ai governi locali, in una dinamica transazionale, sicurezza contro i vari gruppi jihadisti – antigovernativi, in cambio di concessioni per lo sfruttamento di risorse minerali e i proventi dell’estrazione di gas e petrolio.

L’episodio della pesante imboscata subita dall’Africa Corps a Tinzaouaten getta un’ombra di insicurezza sul futuro della presenza russa (sia PMC che truppe russe ufficiali) nel Sahel, dimostrando come la volatilità ormai radicata nella regione la renda irta di rischi e di difficile gestione per qualsiasi attore esterno. Ciò è verosimile se si considera altresì che le truppe di Parigi ammontavano a circa 2400 soldati, mentre l’Africa Corps ne ha apparentemente 1000 sul campo saheliano. Tale instabilità mette quindi a rischio i tre principali obiettivi strategici che i russi si erano prefissati e per cui hanno lavorato nell’ultimo decennio in Africa: espandere la propria influenza e la loro proiezione militare nell’area; acquisire risorse e minare la presenza occidentale nella vasta quanto strategica regione saheliana. A questa complicata congiuntura geopolitica macroregionale, e all’imboscata in Mali di cui abbiamo parlato, si aggiunga il coinvolgimento dell’Ucraina, che proprio tramite il portavoce del proprio servizio di intelligence militare, ha palesato pubblicamente l’aiuto dato ai ribelli maliani nell’imboscata letale ai danni dei miliziani russi a Tinzaouaten. Alla luce del coinvolgimento ucraino nella battaglia avvenuta ai confini settentrionali del Mali, è il caso di tracciare un bilancio (sebbene provvisorio) in termini delle potenziali conseguenze generali che ciò potrebbe innescare, così come degli effetti che tale dinamica potrebbe ingenerare in termini di esternalità positive e negative per Kiev.

  • Tra le conseguenze generali non si può che constatare l’ovvio: l’espansione della conflittualità in essere tra Russia e Ucraina è violentemente quanto concretamente approdata anche nel Sahel (la questione dell’embargo del grano russo aveva già interessato l’Africa, ma non in modo così diretto e tangibile), e non stupirebbe nel futuro prossimo la replica di casi simili in altri Stati limitrofi dove operano i russi (uno di queste potrebbe ben essere il Sudan, dove secondo varie fonti di intelligence è stata già rilevata una presenza sia russa che ucraina, ciascuna a supporto delle due principali fazioni rivali)
  • Alla macroregione del Sahel, area come noto già particolarmente complessa e soggetta a una crescente quanto diffusa instabilità, si aggiunge ordunque un altro tassello di scontro e destabilizzazione con la traslazione dello scontro bilaterale tra russi e ucraini
  • Per quanto concerne i plausibili benefici per Kiev invece, c’è il danno di immagine per Mosca nella sua macro-strategia africana (che però non muterà certo drasticamente a seguito di tale evento, in specie se si rammenta dei legami piuttosto solidi che Mosca ha costruito nei decenni, dalla Guerra Fredda a oggi, con varie realtà africane). Inoltre, l’implicita dimensione psicologica di vulnerabilità: gli ucraini vogliono mostrare come i russi possano essere colpiti anche nei più remoti teatri esteri
  • Per quanto concerne i plausibili svantaggi e problemi per gli ucraini non è necessario predire i possibili futuri geopolitici, in quanto c’è già un dato fattuale, ossia le rimostranze e reazioni di taluni governi del Sahel, come quelli dello stesso Mali e dell’alleato Niger, che hanno interrotto le relazioni diplomatiche con Kiev a seguito della battaglia di Tinzaouaten, esprimendo disappunto riguardo l’interferenza di uno Stato straniero che ha portato alla perdita di vite di soldati maliani e al rischio di una aumentata instabilità regionale. Il diniego sopraggiunto da parte del governo ucraino di qualsiasi coinvolgimento non ha per ora convinto i governi in questione. Le autorità maliane lamentano infatti il mancato rispetto della sovranità del loro Stato. Simili dichiarazioni sono giunte anche da Ecowas, tradizionalmente più vicino all’occidente, che ha in questo caso espresso ferme parole di contrarietà per il supporto ucraino alle operazioni militari dei ribelli maliani, anche memori dei drammi vissuti da vari paesi africani con le varie proxy wars nei decenni di Guerra Fredda. Oltre a negare la veridicità di quanto dichiarato dal proprio servizio di intelligence militare, il governo ucraino dovrà ora evidentemente lavorare per continuare quel lavorio diplomatico che aveva iniziato al fine di stingere legami più forti con il continente africano. Vedremo se la programmata apertura di dieci nuove sedi diplomatiche in varie capitali africane e il viaggio ufficiale che il presidente ucraino Zelensky ha in programma per i prossimi mesi riusciranno a fare dimenticare queste frizioni e ad aumentare la propria influenza nel continente africano.
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