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Il doppio volto del Sahel, tra Algeria e Russia

Il ruolo algerino nel Sahel, tra Russia e relazioni con gli altri paesi della regione. L’analisi di Alessandro Giuli

Archiviata la visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella in Algeria, i media locali rilanciano la “questione Sahel” – con particolare riferimento al dossier riguardante il Mali – non senza calcare la mano, tuttavia, sulle tensioni con il Marocco che si accompagnano a un peggioramento delle relazioni con la Francia.

Pochi giorni fa, l’agenzia governativa Algérie Presse Service (APS) sottolineava l’importanza dell’accelerazione in corso sull’Accordo di pace e di riconciliazione per la stabilizzazione del Mali, avvenuta in seguito a una riunione internazionale tra le parti in causa tenutasi il 25 novembre sotto la guida dell’inviato speciale di Algeri, l’ambasciatore per il Sahel e l’Africa Boudjemaa Delmi. Obiettivo generico: esaminare la situazione della sicurezza a Bamako e aggirare gli ostacoli persistenti lungo il sentiero del cosiddetto DDR, ovvero Désarmement, Démobilisation, Réinsertion (Disarmo, Smobilitazione, Reintegrazione dei combattenti). Al colloquio hanno partecipato i rappresentanti di Burkina Faso, Maurtitania, Niger, Nigeria e Ciad; oltre a quelli degli Stati membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Stati Uniti, Cina, Francia, Russia, Regno Unito).

Di là dalle formule di circostanza, per Algeri si è trattato di un tentativo per riconfermare una centralità strategica sullo scacchiere africano nel momento in cui le relazioni con Rabat e Parigi toccano i minimi storici e a fronte di un consolidamento dei rapporti con Mosca. Basti pensare che, all’indomani della recentissima firma del memorandum d’intesa tra Marocco e Israele in materia di difesa, il quotidiano algerino L’Expression ha riassunto lo stato d’animo prevalente con il titolo: "Il Mossad ai nostri confini". Difficile non pensare a un tentativo del governo per legittimarsi agli occhi di un’opinione pubblica fredda e critica verso il blocco di potere nazionale al potere da diversi decenni. Altrettanto conosciuto è il motivo principale della contesa con il Marocco sul Sahara, che si dispiega attraverso i sostegni incrociati ai gruppi indipendentisti locali (Fronte Polisario e Movimento per l’autodeterminazione della Kabylia). Più rarefatto, nel discorso pubblico, ma non per questo meno rilevante, è invece il grado d’interdipendenza militare e politica tra Algeria e Russia sul dossier saheliano.

Premesso che l’Algeria è ancora lo Stato del continente africano che impegna maggiori risorse economiche per armamenti militari (secondo gli ultimi dati raggiungibili, il budget stanziato nel 2020 ha raggiunto i 9,7 miliardi di dollari), è bene ricordare che ad oggi il 69 per cento dell’arsenale disponibile proviene dalla Russia. E proprio nella sfera d’influenza putiniana, in Ossezia del nord, è da poco andata in scena una rimarchevole esercitazione militare congiunta alla quale hanno partecipato seicento soldati di Algeri. La circostanza, sopraggiunta proprio nel momento in cui la Francia di Emmanuel Macron procede alla revisione della missione militare “Barkhane”, acquisisce un valore più che simbolico alla luce della possibile presenza dei “mercenari” russi del Gruppo Wagner (GW), nel teatro maliano.

I rapporti tra Mosca, Algeri e Bamako al momento sembrano calibrati lungo una prospettiva di medio-lungo periodo, naturale proseguimento di un certo attivismo da parte russa che risale almeno al 2006, quando Mosca ha concesso una prima tranche di sostegno al debito sovrano algerino pari a circa 4,7 miliardi di dollari. Da allora, complice una certa distrazione occidentale, l’intensificarsi della collaborazione fra i due Stati ha prodotto fra l’altro il progetto di realizzare in Algeria entro il 2025-2030 la prima centrale nucleare basata sulla tecnologia russa. Un accordo che, giova ricordarlo, si focalizza sul settore dell’energia civile ma che per la sua natura intrinseca viene guardato con sospetto dall’asse Euro-Atlantico. Paradosso: sessant’anni fa, la Francia gollista effettuava il suo primo test atomico proprio nel deserto algerino; oggi in Maghreb e Sahel conflitti di più bassa intensità, ma non per questo più facilmente gestibili, dettano l’ordine del discorso.

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