Il fragile mosaico libico, tra incertezza interna e pressioni esterne
La situazione richiede una strategia attenta e dinamica, per evitare che il paese diventi nuovamente un epicentro di instabilità incontrollata nel Mediterraneo. Il punto di Daniele Ruvinetti

In Libia continua la fase di crescente instabilità politica, con dinamiche che ricordano lo scenario del 2014, quando il paese si divise tra due poli di potere contrapposti. Oggi la situazione appare altrettanto frammentata, con un governo a Tripoli, guidato da Abdelhamid Dabaiba, e un Parlamento basato attualmente a Bengasi, che non riconosce più l’autorità dell’esecutivo tripolino. Questa spaccatura ha ripercussioni dirette sulla capacità della Libia di uscire dal limbo istituzionale in cui si trova da anni e pone rischi significativi per la sicurezza interna e regionale, con conseguenze dirette per l’Italia e il Mediterraneo.
Il governo di Dabaiba è di fatto sostenuto da un mosaico di milizie, il cui unico legame con il potere centrale è di natura finanziaria (e simile al ricatto). Il sistema su cui si regge l’ordine a Tripoli non è basato su una struttura statale efficace, bensì su un delicato equilibrio tra gruppi armati, che ricevono pagamenti per garantire la sicurezza e mantenere il controllo del territorio. Tuttavia, la crisi finanziaria che colpisce il paese sta erodendo questa stabilità precaria.
Il nodo centrale è il controllo delle risorse finanziarie. Dabaiba ha macchinato per rimuovere il governatore della Banca Centrale Libica (CBL), Sadiq El Kabir, una figura che nel tempo era diventata essenziale, per mantenere una sorta di equilibrio tra le diverse fazioni. L’obiettivo del premier era sbloccare le pratiche per ottenere maggiori finanziamenti. Tuttavia, nonostante il tentativo di sostituirlo sia andato a buon fine, la CBL continua a limitare il flusso di fondi destinati al governo. Questo blocco non è solo economico, ma sfocia nel campo politico, giuridico, istituzionale: il Parlamento deve approvare le spese governative, e non riconoscendo Dabaiba, impedisce di fatto lo stanziamento di nuovi finanziamenti per il budget del governo di Tripoli.
L’assenza di fondi colpisce direttamente le milizie, che non ricevendo i pagamenti a cui erano abituate, iniziano a manifestare segnali di insofferenza. La tensione si è già tradotta in episodi di violenza, come l’attentato del 12 febbraio contro Adel Jouma, ministro per i Cabinet Affairs e figura chiave nell’amministrazione Dabaiba. Questo episodio dimostra che lo scontento tra le milizie non è solo latente, ma può trasformarsi rapidamente in azioni armate contro lo stesso governo che dovrebbero proteggere.
In questo contesto, cresce il rischio che gruppi esterni – sia estremisti sia attori stranieri – approfittino della situazione per inserirsi nelle dinamiche libiche. Il rischio di infiltrazioni da parte di gruppi jihadisti non è trascurabile, soprattutto ai livelli più bassi delle milizie, dove la lealtà può facilmente essere comprata. Allo stesso tempo, potenze straniere potrebbero sostenere economicamente gruppi armati per orientare gli equilibri di potere nel paese a proprio vantaggio.
Oltre alla frammentazione militare, la Libia è anche bloccata da una paralisi istituzionale. L’Alto Consiglio di Stato, che dovrebbe rappresentare un’istituzione di raccordo nel processo politico, è diviso tra due fazioni: una guidata da Khaled Mishri, vicino alla Fratellanza musulmana, e l’altra da Mohammed Takala, uomo di Dabaiba. La competizione tra i due si è trasformata in un braccio di ferro che impedisce qualsiasi progresso nel processo decisionale, con ricorsi e contro-ricorsi che bloccano l’attività del Consiglio.
Questa impasse ha conseguenze dirette sugli equilibri interni al paese, poiché le diverse fazioni politiche si appoggiano a gruppi armati per rafforzare la propria posizione. Il risultato è un ciclo di instabilità che alimenta ulteriormente il caos e rende impossibile ogni tentativo di normalizzazione politica.
Anche Misurata, storicamente una delle città più influenti della Libia, è attraversata da tensioni crescenti. Un tempo alleata di Dabaiba, la leadership locale sta ora prendendo le distanze dal governo di Tripoli – un ulteriore segnale della perdita di consenso del premier. Questo indebolimento potrebbe aprire la strada a nuove iniziative da parte delle forze rivali, come quelle guidate da Khalifa Haftar.
Il generale Haftar, leader militare della Cirenaica, continua a esercitare una forte influenza sulla scena libica. La sua principale richiesta è quella di ottenere un posto in un nuovo governo nazionale, ma la sua figura resta altamente divisiva. Da un lato, è sostenuto da attori internazionali come Mosca, che mantiene una presenza militare in Cirenaica attraverso l'ex Wagner Group e altri assetti russi – apparentemente in espansione, a detrimento del ruolo e dell’interesse italiano ed europeo. Dall’altro, è visto con ostilità dalle milizie tripoline, che non hanno dimenticato il suo tentativo di conquistare la capitale con la forza nel 2019-2020.
Recentemente, Haftar ha dimostrato di avere ancora la capacità di destabilizzare il paese, bloccando temporaneamente la produzione petrolifera per aumentare la pressione su Tripoli. Questa mossa ha un impatto non solo sulla Libia, ma anche sulle economie europee che dipendono dalle forniture energetiche libiche.
Nel frattempo, l’ONU sta cercando di mediare attraverso la missione guidata da Stephanie Koury, che ha l’obiettivo di elaborare una nuova legge elettorale. Tuttavia, il vero scopo dell’iniziativa sembra essere la creazione di un governo più rappresentativo dell’intero paese: un’impresa complessa, che dovrà fare i conti con la riluttanza degli attori locali a cedere potere.
Sulla costa occidentale, il governo di Dabaiba ha avviato operazioni per contrastare i traffici di migranti e carburante, ma si è scontrato con milizie ben organizzate che controllano queste attività. Le tensioni tra gruppi criminali e forze governative sono sfociate in scontri armati, seppur mitigati dall’intervento dei capi tribali locali. Tuttavia, la situazione rimane volatile e potrebbe deteriorarsi rapidamente.
Il traffico di migranti rimane una fonte di pressione per l’Italia, che si trova ad affrontare ondate migratorie incontrollate provenienti dalle coste libiche, anche se negli ultimi periodi le azioni messe in campo dal Governo italiano insieme al Governo di Tripoli sembrano aver limitato molto il flusso di migranti verso le coste italiane.
La Libia si conferma un dossier cruciale per la sicurezza dell’Italia e del Mediterraneo. La frammentazione politica, la dipendenza delle istituzioni dalle milizie, il ruolo ambiguo di attori internazionali e la pressione migratoria rendono il paese un campo di battaglia geopolitico con implicazioni dirette per Roma. La situazione richiede una strategia attenta e dinamica, per evitare che diventi nuovamente un epicentro di instabilità incontrollata.