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Il Global South guarda all’India

Il Global South è destinato ad essere un attore dei futuri equilibri economici mondiali e della grande trasformazione che sta ridisegnando la geografia politica internazionale. Il punto di Guido Bolaffi

Mulyani Indrawati, ministro delle finanze indonesiano, nell’intervista “Indonesia seeks closer India ties to strengthen Global South”, concessa a metà febbraio al quotidiano in lingua inglese Nikkei, ha affermato: “We will work very closely with India [...] India and Indonesia are among a few big emerging countries who are performing very well on the economy, so that’s where the relationship provides us with more gravitas, more influence and more respect globally”.

Parole importanti per almeno tre fondamentali ragioni.

La prima: se il paese con la più numerosa popolazione musulmana del mondo decide di allearsi con quello leader dell’induismo planetario significa che i governi (anche se non tutti) delle nazioni sommariamente catalogate in passato come “Terzo Mondo” devono accantonare, per aver voce in capitolo nel complesso ma veloce cambiamento degli equilibri geopolitici internazionali, le loro storiche distruttive guerre di religione.

La seconda: mentre cala, dal 63% del 1990 al 43% di oggi, la partecipazione al Prodotto Lordo Globale delle ricche nazioni del G7 (Stati Uniti, Germania, Francia, Italia,Regno Unito, Giappone, Canada e Unione Europea), invece cresce quella delle regioni del Global South. Ad esempio, dopo aver scavalcato il GDP del Regno Unito oggi, scrive Kiran Sharma nell’articolo “India GDP outpaces China despite slowdown to 4,4% last quarter, “India remains one of the world’s better-performing economies [...] a basic calculation of its quarterly results in 2022 shows average growth of 7% far out outpacing the 3% China reported”. E secondo le previsioni economiche del Japan Center for Economic Research: “India’s gross domestic product will continue to grow and account for 16% of the global GDP in 2060. It is as if the South Asian nation is regaining the economic muscle it had in the 16th century, when it accounted for nearly a quarter of the world economy”.

La terza: lo sviluppo del Global South deve oggi aprirsi un varco nel dominio economico sino-americano, come testimoniano le recenti rilevazioni dell’U.S Bureau of Economics Analysis. Secondo le quali nel 2022 l’interscambio commerciale tra l’America e la Cina - nonostante le crescenti tensioni tra Pechino e Washington - è stato con i suoi $690 miliardi il più alto di sempre.

Ecco perché, spiega lo studioso Asheley J. Tellis nel suo ultimo lavoro intitolato “Grasping Greatness: Making India a Leading Power, “It is in the Indo-Pacific region that India can make the most dramatic difference to the continental balance. If India partners with the United States and Japan, the resulting 29 per cent of the global product will easily exceed China’s 20 per cent in contrast to only the marginal advantage the two democracies will enjoy if India sits out. Against China and Russia together (a total of 23 per cent), India’s contribution will become even more valuable because it will erase the slight inferiority that will otherwise mark the collective US-Japanese product”.

Il Global South è dunque destinato ad essere non una comparsa ma un attore dei futuri equilibri economici mondiali e della grande trasformazione che sta ridisegnando la geografia politica internazionale. Ecco perché è riduttivo, se non addirittura sbagliato, sostenere, come è capitato di leggere in un passo dell’editoriale di Le Monde dello scorso 24 febbraio, “le Sud Global qui definit surtout par défault les pays réticents à prendre parti dans le conflit ukrainienne”.

Ha dunque ragione C. Raja Mohan quando sostiene nell’articolo “Why Non-Alignment Is Dead and Won’t Return”, “Developing countries have much more political agency today than they did when nonalignment was a last topic during the Cold War. Their wealth, institutions and confidence have grown, and many of their elites have learned the art of geopolitical bargaining between competing great powers. Western leaders should ignore the widespread rhetoric about a Global South unwilling to choose and focus instead on the individual concerns, vulnerabilities and interests of key states in the developing world”.

Parole che richiamano alla mente il preoccupato ma preveggente ammonimento formulato nel 1996 da Samuel P. Huntington in un passaggio del suo straordinario “The Clash of Civilizations and the Remaking of Global Order”: “East Asians attribute their dramatic economic development not to their import of Western culture but rather to their adherence to their own culture”.

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