Approfondimenti

Il Levante ha sete

Cambiamenti climatici e siccità flagellano i Paesi del Levante. La scorretta gestione delle risorse idriche può contribuire all’insorgere di conflitti. Il caso della Siria offre uno spunto di riflessione.

La Cop26 si è conclusa con risultati non da tutti considerati positivi. Qualcosa, tuttavia, si è ottenuto, come l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5 gradi rispetto ai livelli pre-industriali. Un esito positivo anche per quanto riguarda le problematiche direttamente collegate alla carenza d’acqua in numerosissimi Paesi del mondo.

L’obiettivo 6 dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è quello di “garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie”[1]. Tuttavia, la situazione in numerose parti del globo sembra rendere piuttosto difficile il conseguimento di questo obiettivo ma anche degli altri 16 dell’Agenda. Come osservato nell’ultimo rapporto del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change - IPCCT) delle Nazioni Unite, “le alterazioni del ciclo idrico causate dal cambiamento climatico non avranno conseguenze soltanto sulla qualità e sulla quantità dell’acqua, ma metteranno anche a rischio la produzione energetica, la sicurezza alimentare, la salute, lo sviluppo economico e la riduzione della povertà”[2].

Il Medioriente, è una delle aree più colpite dalla carenza d’acqua e la gestione poco attenta delle risorse disponibili non ha fatto che aggravare la situazione. Per ora soltanto Israele è riuscito a risolvere il problema idrico grazie alle moderne tecnologie di irrigazione, il riuso delle acque reflue e la desalinizzazione su larga scala. Il Paese ha così la possibilità di vendere l’acqua e desalinizzare quella marina per conto di altri. A questo riguardo, sono stati firmati di recente due accordi con la Giordania: nel primo, Israele si impegna a raddoppiare la fornitura idrica al regno hashemita; nel secondo, mediato da Stati Uniti ed Emirati, un impianto israeliano desalinizzerà l’acqua del Mediterraneo per la Giordania.

È proprio la Giordania lo stato mediorientale maggiormente colpito dalla siccità. Alla scarsità di piogge e all’aridità del terreno, si è aggiunto l’aumento della popolazione, raddoppiata negli ultimi vent’anni, e le ondate di profughi, palestinesi prima e siriani dopo. Questo ha causato una crescita della domanda e un maggiore sfruttamento delle poche risorse idriche a disposizione. Secondo gli esperti, le condizioni attuali, in peggioramento, causeranno “migrazioni forzate, instabilità socio-economica e politica, e sete”. Insomma “un buio scenario”[3].

Un altro Paese del Levante particolarmente colpito dai cambiamenti climatici è la Siria, alla cui situazione già critica si aggiunge il controllo, da parte della Turchia, del flusso di acqua della diga di Ataturk e le difficoltà di una guerra decennale.

Diversi studi analizzano il collegamento fra cambiamenti climatici e conflitti, e l’argomento è stato nuovamente trattato anche dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Secondo il Rapporto di quest’anno, sarebbe necessario aumentare il numero di ricerche che approfondiscano la questione, anche se la maggior parte delle analisi condotte concorda sul fatto che i cambiamenti climatici sono un moltiplicatore di rischio. Tra gli effetti negativi, osserva ancora il Rapporto, il cambiamento climatico può “aumentare la domanda di risorse, accrescere il degrado ambientale e lo sviluppo irregolare ed esacerbare l’esistente fragilità e i rischi di conflitto”. Anche se “i cambiamenti climatici sono raramente la causa diretta del conflitto esistono numerose prove che i suoi effetti intensificano cause già esistenti e fattori contestuali di conflitto e fragilità, mettendo a rischio la stabilità degli stati e delle società”.[4]

Per quanto riguarda la Siria, vari studi hanno segnalato un legame tra le proteste scoppiate nel Paese nel 2011 e la scarsità, o la cattiva gestione statale, delle risorse idriche. In quella data, la Siria cominciava a riprendersi da 5 anni di una delle più gravi siccità degli ultimi 500 anni. Secondo i dati dell’ONU, circa 800 mila persone avevano perso i mezzi di sostentamento, ricevendo un’assistenza solo minima da parte dello Stato[5]. La siccità ha causato un massiccio trasferimento di agricoltori e allevatori verso le città, dove questi ultimi si sono ritrovati a competere per le risorse con la popolazione urbana, già povera.[6] Certamente, non si può affermare che la siccità sia stata la causa scatenante delle proteste ma, come ha commentato Staffan de Mistura, inviato speciale per la Siria delle Nazioni Unite dal 2014 al 2018, "l’inasprimento delle condizioni climatiche ha fatto da amplificatore e da moltiplicatore alla crisi politica che stava montando in Siria"[7].

I rischi che corre la Giordania e quanto accaduto in Siria, oltre che in numerosi altri Paesi del mondo dove la crisi climatica e la conseguente scarsità d’acqua sono particolarmente gravi, sino ad ora hanno portato gli esperti e le organizzazioni internazionali ad affermare che “dal momento che gli sforzi di mitigazione non sono ancora riusciti a limitare il riscaldamento globale, è chiaro che, in futuro, i cambiamenti climatici diventeranno un fattore di rischio maggiore per i conflitti”[8].

Le decisioni prese dalla Cop26 miglioreranno, si spera, la situazione climatica mondiale; o, almeno, non la faranno peggiorare. Anche nella condizione attuale, tuttavia, la scarsità di acqua in molti Paesi ha già causato, o è probabile che causi, in un futuro non troppo lontano, conflitti di diversa intensità. Come nota ormai da anni l’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’ONU, è necessario che chi si occupa di pace e di sicurezza si unisca ai diplomatici, agli scienziati, agli attivisti e ad altri “per affrontare la sfida con serietà”[9].


[1] https://unric.org/it/agenda-2030/

[2] https://unfccc.int/news/water-at-the-heart-of-climate-action

[3] https://www.reuters.com/world/middle-east/jordans-water-crisis-deepens-climate-changes-population-grows-2021-09-02/

[4] https://www.securitycouncilreport.org/atf/cf/%7B65BFCF9B-6D27-4E9C-8CD3-CF6E4FF96FF9%7D/climate_security_2021.pdf

[5] https://www.dw.com/en/how-climate-change-paved-the-way-to-war-in-syria/a-56711650

[6] https://climate-diplomacy.org/case-studies/syrian-civil-war-role-climate-change

[7] https://www.dw.com/en/how-climate-change-paved-the-way-to-war-in-syria/a-56711650

[8] https://www.securitycouncilreport.org/atf/cf/%7B65BFCF9B-6D27-4E9C-8CD3-CF6E4FF96FF9%7D/climate_security_2021.pdf

[9] https://www.crisisgroup.org/global/climate-change-shaping-future-conflict

Approfondimenti

La Siria e il nodo internazionale dopo Assad

La caduta del regime di Assad riorganizza gli equilibri geopolitici tra Siria, Libia e Medio Oriente, aprendo spazi per nuove influenze regionali e globali. L’analisi di Daniele Ruvinetti

Leggi l'approfondimento
Notizie

“Maritime Security and Freedom of Navigation: Challenges and Perspectives from Italy and UAE”. Il seminario di Med-Or al Villaggio Italia di Nave Amerigo Vespucci ad Abu Dhabi.

La Fondazione Med-Or organizzerà un seminario dedicato al tema della sicurezza marittima in occasione della tappa ad Abu Dhabi del Tour Mondiale di Nave Amerigo Vespucci.

Leggi la notizia
Approfondimenti

L'ultimo "grande gioco". Tutti gli scenari che avvelenano la Siria

L'ipotesi peggiore è ripetere le situazioni che si sono venute a creare in Iraq nel 2003 e in Libia nel 2011. Il ruolo strategico degli Stati del Golfo. Articolo realizzato da Umberto Tavolato pubblicato su Il Giornale il 12 Dicembre 2024.

Leggi l'approfondimento