Il Montenegro fra equilibrio interetnico e integrazione europea
Il Parlamento del Montenegro ha espresso un governo di minoranza il cui programma mira ad accelerare le riforme utili a favorire l'integrazione nell'UE e il rafforzamento della cooperazione internazionale. Il punto di Antonio Stango.
Un governo di minoranza che guarda verso Occidente
Il 28 aprile il Parlamento del Montenegro ha approvato, con 46 voti su 81, un governo di minoranza: i partiti che lo costituiscono dispongono infatti soltanto di 16 deputati, e i 30 del Partito Democratico dei Socialisti del presidente montenegrino Milo Djukanović (DPS – successore della Lega dei Comunisti) assicurano il solo sostegno esterno. Si è posta così fine alla crisi iniziata il 4 febbraio con la mozione di sfiducia al governo di Zdravko Krivokapić, in carica dal dicembre 2020. Il nuovo Primo Ministro – che aveva presentato quella mozione accusando Krivokapić di eccessiva lentezza nelle riforme e nel percorso di adesione all’UE – è il trentaseienne Dritan Abazović, di etnia albanese, leader del gruppo “Nero su Bianco” (Crno na bijelo), e del suo governo fanno parte anche esponenti del Partito Popolare Socialista (SNP), del Partito Socialista Democratico (SDP), del Partito Bosgnacco (BS) e di una coalizione rappresentativa della minoranza albanese. Hanno votato contro i deputati del partito dei Social Democratici (SD, nato da una scissione dell’SDP nel 2015), mentre i due maggiori blocchi di opposizione, i filoserbi “Per il futuro del Montenegro” (Za budućnost Crne Gore) e “La Pace è la nostra nazione” (Mir je naša nacija) hanno boicottato il voto accusando Abazović di tradire l'esito delle elezioni dell'agosto 2020.
Lo schieramento che sostiene il nuovo governo è piuttosto disomogeneo e le sue componenti hanno una movimentata storia di scissioni e raggruppamenti, ma dovrebbe riuscire a mantenere una certa coesione fino alle elezioni parlamentari anticipate previste per la primavera del 2023, in concomitanza con le presidenziali. Il programma di Abazović, che è stato definito filoccidentale in contrasto con le tendenze filoserbe e filorusse di alcuni partiti che sostenevano il precedente esecutivo, include l’accelerazione delle riforme che potranno favorire l'integrazione nell'UE, la riduzione della polarizzazione del Paese, la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione diffusa e il rafforzamento della cooperazione internazionale.
Politologo, autore di una tesi di dottorato su politica globale e aspetti etici della globalizzazione, Abazović parla correntemente sia l’albanese che il serbo-croato (oltre che l’inglese) e nel 2017 è stato fra i firmatari della Dichiarazione sulla lingua comune di montenegrini, croati, serbi e bosniaci. Il Montenegro, del resto, è l’unico Paese dei Balcani occidentali in cui non c’è un gruppo etnico che costituisca la maggioranza assoluta dei circa 620.000 cittadini. Secondo il censimento del 2011, i montenegrini erano il 45% della popolazione, i serbi il 29%, i bosgnacchi l’8,6%, gli albanesi il 5%, i ‘musulmani’ il 3,3% (ma sono generalmente di religione musulmana anche gli albanesi e i bosgnacchi), i rom l’1%, i croati lo 0,9%.
Aspetti problematici presenta il ruolo della Chiesa Ortodossa Serba, che sostiene di rappresentare il 72% dei cittadini. A un articolo della legge sulla libertà religiosa approvata nel dicembre 2019, secondo il quale le comunità religiose avrebbero dovuto dimostrare che i numerosi beni immobili di cui sono in possesso fossero di loro proprietà da prima del 1918 (anno in cui il Montenegro si unì al “Regno dei Serbi, Croati e Sloveni”), la Chiesa rispose promuovendo un’ampia mobilitazione – con episodi anche violenti – che favorì la vittoria elettorale di Krivokapić, suo sostenitore, e un periodo di avvicinamento di Podgorica a Belgrado. L’ipotesi che la legge potesse portare alla confisca di beni della Chiesa Ortodossa Serba e favorire la piccola Chiesa Ortodossa Montenegrina (disciolta nel 1920 e rifondata nel 1993), la cui autocefalia non è riconosciuta né dal patriarca di Belgrado né da quello di Costantinopoli, era stata smentita dal governo di allora; ma la maggioranza parlamentare di Krivokapić emendò un anno dopo la legge secondo quanto proposto dalla Chiesa Ortodossa Serba, provocando un’ondata di manifestazioni di segno opposto.
Indipendenza, prospettive di adesione all’UE e appartenenza alla NATO
Il referendum sull'indipendenza del Paese dalla “Unione di Serbia e Montenegro”, svoltosi il 21 maggio 2006, vide la vittoria del sì con il 55,5% dei voti – appena superiore alla maggioranza qualificata del 55% che era stata stabilita. Benché la minoranza serba avesse votato prevalentemente per il no, la Serbia – che rimase lo Stato successore dell’Unione in tutti i rapporti internazionali – accettò la decisione. Nei mesi successivi, il Montenegro poté aderire alle Nazioni Unite, all’OSCE, al Consiglio d’Europa e ad altre organizzazioni internazionali e nel 2007 firmò un Accordo di Stabilizzazione e Associazione (ASA) con l’UE, entrato in vigore tre anni dopo. Nel dicembre del 2010 ha ottenuto lo status di Paese candidato all’adesione e nel giugno 2012 sono stati avviati i relativi negoziati.
L’ultimo rapporto in proposito presentato dalla Commissione Europea, nell’ottobre 2021, evidenzia che tutti i 33 capitoli negoziali sono stati aperti, tre dei quali (Scienza e ricerca, Educazione e cultura, Relazioni esterne) sono stati provvisoriamente chiusi. Maggiori difficoltà vengono rilevate nei capitoli 23 e 24, sullo Stato di diritto. Pur notando che il Montenegro rispetta gli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, si segnalano limiti nell’attuazione della legislazione nazionale in materia, carenze nel sistema processuale penale e insufficienti garanzie per la libertà dei media. Inoltre, continuano a costituire ostacoli la corruzione diffusa, il crimine organizzato (in particolare, nel riciclaggio di denaro e nel contrabbando di tabacco) e la scarsa salute dell'economia.
Un punto sul quale il Montenegro appare bene avviato è invece quello del capitolo 31, sulla politica estera, di sicurezza e di difesa comune, in base al quale gli Stati che aspirano all’adesione devono allinearsi alle dichiarazioni dell'UE, prendere parte alle sue azioni e applicare sanzioni e misure restrittive concordate. Fra l’altro, il Montenegro – la cui costa adriatica è stata a lungo una meta rilevante per il turismo russo – ha sostenuto le sanzioni contro la Federazione Russa in vigore dal 2014 e si è unito a quelle stabilite nell’attuale fase del conflitto russo-ucraino. L’armonizzazione sulla politica estera, di sicurezza e di difesa, insieme al fatto che non sussistano particolari problematiche rispetto a confini o rivendicazioni territoriali, consente al Montenegro di avere maggiori probabilità di completare in pochi anni il processo di adesione all’UE rispetto ad altri Stati dei Balcani occidentali. Occorre tuttavia considerare le resistenze all’allargamento espresse da alcuni Stati membri e in particolare dalla Francia. A questo sembra collegarsi indirettamente il discorso pronunciato dal presidente Macron il 9 maggio davanti al Parlamento Europeo riunito a Strasburgo, con l’accenno a una “comunità politica europea” cui potrebbero partecipare Stati democratici che ne condividano i valori per costituire “un nuovo spazio di cooperazione politica, di sicurezza e di cooperazione” – senza i tempi necessariamente lunghi, ma anche senza molti dei vantaggi di una vera adesione all’Unione.
Intanto grazie agli Strumenti di Assistenza Preadesione (IPA nell’acronimo inglese) l’UE ha stanziato per il Montenegro fra il 2007 e il 2020 circa 880 milioni di euro di aiuti non rimborsabili e nuovi stanziamenti sono previsti per il periodo 2021-2027. I programmi finanziati degli IPA riguardano il rafforzamento dello Stato di diritto, della democrazia, dei diritti umani e delle libertà fondamentali, l’efficienza della pubblica amministrazione, lo sviluppo economico, la coesione sociale, la tutela dell’ambiente e la cooperazione transfrontaliera. Da notare che il Montenegro non dispone di una valuta propria e usa ufficialmente l’euro, pur non essendo parte dell’eurozona.
L'economia del Paese dipende fortemente dal turismo, tanto che le restrizioni di viaggio legate al coronavirus hanno contribuito a una contrazione del 15% nel 2020, quando il debito estero ha raggiunto il 91,6% del PIL. Mentre il 51,56% di tale debito è in eurobond, il 16,7% è con la Cina. La Export-Import Bank of China ha finanziato con circa 1 miliardo di dollari infrastrutture autostradali ed è stato ipotizzato il rischio che la Cina possa esigere, a fronte di un mancato pagamento, il controllo del porto adriatico di Bar attraverso sue società a partecipazione statale.
Oltre che nell’aspirazione all’ingresso nell’Unione Europea, il posizionamento internazionale del Montenegro – nonostante la tradizionale vicinanza alla Serbia e alla Russia – si basa sulla scelta euroatlantica. Dopo avere aderito al programma Partnership for Peace nel dicembre 2006 (sei mesi dopo la proclamazione dell’indipendenza), il Montenegro ha completato rapidamente il percorso di adesione alla NATO, divenendone membro a pieno titolo nel giugno 2017. Secondo un sondaggio del CEDEM (Centro per la Democrazia e i Diritti Umani) di quell’anno, il 51 per cento degli intervistati era allora contrario; proteste contro la NATO furono organizzate da partiti della minoranza serba e dalla Chiesa Ortodossa Serba. Nell’ottobre 2016 era stato sventato un tentativo di colpo di Stato, finalizzato a bloccare l’adesione, da parte di un gruppo infiltrato da agenti russi. Tuttavia, i successivi governi sono rimasti leali all’alleanza, ritenendola in grado di favorire la sicurezza e la stabilità del Paese.
Le forze armate montenegrine – che attraverso la NATO possono usufruire di tecnologia e formazione professionale avanzate – contano solo circa 2.400 effettivi tra Esercito, Marina e Aeronautica e un numero analogo di riservisti, ma hanno partecipato a diverse esercitazioni militari e di gestione delle crisi e contribuito alla International Assistance Force
in Afghanistan. Altre aree di collaborazione includono lo sminamento, la difesa informatica e il Building Integrity Programme per rafforzare la corretta gestione e la trasparenza amministrativa nel settore.