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Il nuovo governo libanese: opportunità e sfide per la stabilizzazione nazionale e regionale

Aoun e Salam dovranno ristabilire l’autorità dello Stato, affrontare la grave crisi economica e contrastare l’influenza nel paese di attori come Hezbollah. Il punto di Emanuele Rossi.

L’elezione del generale-politico Joseph Aoun alla presidenza del Libano e la nomina di Nawaf Salam, ex presidente della Corte di giustizia internazionale, come primo ministro segnano un potenziale punto di svolta per un Paese che, da anni, è intrappolato in una spirale di crisi economica, instabilità politica e tensioni regionali.

Innanzitutto, per le due personalità dei soggetti coinvolti, figure di caratura internazionali sia Aoun che Salam rappresentano un allontanamento dalla politica tradizionale libanese. Aoun, con la sua carriera militare e la reputazione di neutralità, è visto come una figura in grado di unificare il Libano. Salam, con la sua esperienza diplomatica e il suo impegno per le riforme, è considerato una forza nuova nella politica libanese. La loro elezione e nomina rappresentano una speranza di cambiamento per il Libano – ma dovranno affrontare numerose sfide, tra cui per primo proprio la resistenza da parte di attori consolidati nel sistema politico, e più nel concreto l’incertezza sulla stabilità economica e sulla sicurezza del paese.

Il nuovo corso ha davanti a sé un compito monumentale: ristabilire l’autorità dello Stato, affrontare la grave crisi che attanaglia la quotidianità dei libanesi e ridurre l’influenza di attori non statali come Hezbollah, fattore centrale nelle dinamiche interne ed esterne del Paese per decenni.

Non c’è dubbio che la crisi economica è il problema più urgente del dedalo di questioni sul tavolo. Il Libano sta attraversando una delle peggiori condizioni economiche globali degli ultimi due secoli, caratterizzata dalla svalutazione della sterlina locale, un’inflazione galoppante, disoccupazione record e un collasso quasi totale dei servizi pubblici. La necessità di riforme è critica: il nuovo governo dovrà implementare misure di austerità richieste da organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale per sbloccare gli aiuti. Tuttavia, considerando il livello di malcontento diffuso nella popolazione, tali misure potrebbero incontrare resistenze sociali.

Da qui si apre l’altro aspetto cruciale e immediato: la stabilità politica. Il Libano opera all’interno di un sistema politico settario che ha storicamente alimentato divisioni e paralisi istituzionali. La promessa di Aoun di riformare l’architettura dello stato e combattere corruzione e clientelismo rappresenta un segnale positivo, ma sarà necessario costruire un consenso tra le varie fazioni politiche per evitare nuovi stalli.

Il Libano, infatti, è un paese fortemente influenzato dalle sue contraddizioni religiose, che si riflettono profondamente nel sistema politico. In particolare, all’interno della comunità cristiana, emergono tensioni tra le diverse fazioni. Un esempio significativo è il ruolo del partito di Michel Aoun, ex presidente e figura di spicco che, avversario dell’attuale presidente Joseph Aoun, ha governato in passato con il sostegno di Hezbollah. Questa complessa rete di alleanze e rivalità rende ancor più difficile per il nuovo governo attuare le riforme necessarie senza incontrare resistenze interne legate alle storiche divisioni confessionali.

Ma la ricostruzione della fiducia nelle istituzioni statali, considerate tra le meno affidabili della regione, sarà inoltre fondamentale. Emerge allora la questione del rapporto con Hezbollah. L’organizzazione è una forza politica e militare dominante, opera come “uno stato nello stato”, si muove come una mafia spesso ottemperando a vuoti lasciati dalle istituzioni (manchevoli anche per volontà strategica di Hezbollah stessa, che avrebbe così trovato maggiore capacità di attecchimento sociale). È possibile che la sua influenza sia stata ridotta con l’elezione di Aoun e la nomina di Salam, che non erano tra i candidati preferiti dal gruppo. Le dichiarazioni del presidente Aoun, che sottolineano la necessità del monopolio statale sulle armi, suggeriscono un intento di limitare la presenza armata di Hezbollah, in particolare nel sud del Libano – dove recentemente è stato protagonista di mesi di conflitto a media e media-alta intensità con Israele. Tuttavia, un confronto diretto con il gruppo potrebbe destabilizzare ulteriormente il Paese. La strategia del nuovo governo dovrà bilanciare dunque l’esigenza di riaffermare l’autorità dello Stato, ma nel farlo correrà il rischio di provocare reazioni violente da parte di Hezbollah.

Qui sarà fondamentale il ruolo delle forze armate regolari. L’élite politica libanese sembra aver trovato nell’esercito (noto con l’acronimo inglese LAF) un elemento cruciale per il mantenimento della stabilità interna e per la gestione delle tensioni lungo il confine con Israele. Con il supporto di attori internazionali come Stati Uniti e Francia, e soprattutto l’Italia, il rafforzamento delle LAF è visto come un mezzo per ridurre la dipendenza dalle milizie armate e per garantire il rispetto della Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. L’esercito sta già collaborando attivamente alla missione onusiana UNIFIL nel pattugliamento delle aree di confine e nella rimozione di ordigni inesplosi, ma le sfide sono molteplici: dalla necessità di risorse finanziarie per mantenere un esercito professionale alla gestione delle tensioni con Hezbollah, che considera la propria presenza armata una garanzia contro Israele.

La missione UNIFIL, dal canto suo, rappresenta un elemento stabilizzatore importante, ma la sua efficacia dipende dalla capacità di mantenere un equilibrio tra le parti. Il ritiro completo delle truppe israeliane dal sud del Libano, previsto per il 26 gennaio, potrebbe offrire un’opportunità per consolidare la presenza statale nella regione, ma le violazioni del cessate il fuoco e la demolizione di infrastrutture da parte di Israele complicano il quadro.

Tuttavia, affinché l’UNIFIL possa realmente garantire l’applicazione della Risoluzione 1701, è necessario rivedere le sue regole di ingaggio per consentire ai caschi blu di operare con maggiore efficacia nel monitorare la presenza armata nel sud del Libano. Attualmente, le Forze Armate Libanesi (LAF) hanno svolto solo il 10% delle attività complessive condotte dall’UNIFIL, evidenziando la necessità di un maggiore sostegno operativo e finanziario per le LAF. Un rafforzamento delle capacità delle forze armate nazionali, in coordinamento con l’UNIFIL, è essenziale per garantire una presenza statale efficace e prevenire il ritorno di milizie armate nella regione.

La stabilizzazione del Libano – che dipende anche dall’operato dell’UNIFIL – ha implicazioni significative a livello regionale. La riduzione dell’influenza di Hezbollah, sostenuto dall’Iran, rappresenterebbe, quindi, un cambiamento importante nell’equilibrio di potere in Medio Oriente. La caduta del regime di Assad in Siria ha già privato Hezbollah di una rotta di rifornimento strategica, e le sanzioni internazionali hanno ridotto il sostegno economico iraniano al gruppo. I raid israeliani hanno fatto il resto, ma Hezbollah rimane una forza potente, con la capacità di influenzare le dinamiche locali e regionali, e dunque – sebbene possa essere ipotizzato un certo livello di self-containment – resta ancora in grado di destabilizzare il Libano qualora si sentisse minacciato.

Inoltre, il rafforzamento dello Stato libanese potrebbe favorire un riallineamento geopolitico. Il sostegno di Stati Uniti, Francia, Italia e Arabia Saudita al nuovo governo è indicativo del tentativo di seguire un processo di riassetto nella regione che avviene parallelamente alla tregua a Gaza e alla transizione in Siria. Dinamiche che offrono nuove opportunità diplomatiche, ma richiedono un coordinamento internazionale per evitare che le tensioni riesplodano. Su tutto, si attende il cosiddetto “Trump effect”: un potenziale accomodamento promosso anche dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, con il repubblicano orientato nel cercare di risolvere tensioni e scontri, perché l’equilibrio in Medio Oriente rientra in qualche modo negli interessi “America First”.

L’elezione di Joseph Aoun e la nomina di Nawaf Salam rappresentano un’occasione per il Libano di avviare un percorso di stabilizzazione che abbia effetti positivi sia sul piano interno sia su quello regionale. Tuttavia, il successo di questo processo dipenderà dalla capacità del nuovo governo di implementare riforme economiche e politiche, riaffermare l’autorità statale e gestire le complesse relazioni con Hezbollah e con gli attori regionali. La Comunità internazionale avrà un ruolo cruciale nel fornire supporto economico e diplomatico, garantendo che il Libano possa superare le sue sfide senza ricadere in una nuova fase di crisi. Sebbene il percorso sia irto di difficoltà, l’avvio di questo processo potrebbe rappresentare un primo passo verso una maggiore stabilità e sicurezza nel Mediterraneo orientale e nella regione più ampia dell’Indo-Mediterraneo.

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