Approfondimenti

Il nuovo ruolo dei paesi del Golfo

Riproponiamo l'articolo di Umberto Tavolato, Direttore dell'U.O Progetti Speciali della Med-Or Italian Foundation, pubblicato da "Il Mattino" il 16 febbraio 2025

Gli Emirati Arabi Uniti (EAU) hanno lanciato un appello per una pausa umanitaria nel conflitto in Sudan, in coincidenza con il prossimo mese sacro del Ramadan, durante una conferenza di alto livello con i leader africani, riuniti in Etiopia per discutere della drammatica situazione nel paese africano.

Il Sudan si trova attualmente sull'orlo di un collasso totale. Nel mese di aprile 2023, una disputa tra l'esercito sudanese, comandato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e le Forze di Supporto Rapido (RSF), capitanate da Mohamed Hamdan Dagalo, noto come "Hemedti", si è trasformata in una guerra civile, a causa di divergenze sull'integrazione di queste forze. Gli scontri, iniziati nella capitale Khartoum, si sono rapidamente diffusi in gran parte del territorio nazionale. Con l'assistenza di sostenitori esterni, entrambe le fazioni sembrano aver sviluppato la convinzione che possa essere più vantaggioso combattere sul campo di battaglia piuttosto che negoziare un accordo di pace, compromettendo così gli sforzi di mediazione.

La situazione umanitaria è disastrosa, con il paese che si trova ad affrontare una delle crisi più gravi del nostro tempo. Oltre 3,2 milioni di persone sono fuggite nei paesi limitrofi, tra cui Egitto, Ciad, Sud Sudan ed Etiopia. Si stima che 12 milioni di sudanesi siano attualmente sfollati, mentre 26 milioni si trovano di fronte a gravi carenze alimentari. Il collasso del Sudan potrebbe non solo complicare la lotta ai trafficanti di uomini ma anche creare un rifugio per elementi estremisti e alimentare una maggiore instabilità nel Mediterraneo allargato.

Le recenti decisioni dell'amministrazione Trump, con la chiusura dell’agenzia umanitaria statunitense USAID, che hanno comportato tagli ai fondi per gli aiuti esteri, potrebbero aggravare ulteriormente la situazione, incrementando il numero di sudanesi affamati. L'urgenza di affrontare questa crisi è palpabile; senza un intervento tempestivo, il Sudan potrebbe essere destinato a sperimentare la più grande carestia del XXI secolo entro la fine dell'anno.

È in questo contesto di vacuum internazionale che gli emiratini hanno annunciato durante la conferenza umanitaria di alto livello per il Sudan High-Level Humanitarian Conference for the People of Sudan ulteriori 200 milioni di dollari di aiuti umanitari, portando il contributo totale a 600 milioni di dollari dall'inizio del conflitto - il più alto contributo della comunità internazionale.

Ci sono tre implicazioni geopolitiche significative da sottolineare.

Primo, l’iniziativa sottolinea come ormai gli stati del Golfo siano sempre più protagonisti indiscussi nel Mediterraneo allargato. Nel farlo gli Emirati Arabi hanno acquisito la capacità di muoversi insieme a stati africani e istituzioni multilaterali come l’IGAD, l’organizzazione regionale del Corno d’Africa, e l’ONU, incaricata per le attività umanitarie. Da notare la presenza alla conferenza, di Stati Uniti, Russia, Francia, Inghilterra e Cina - i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che fa comprendere il livello di influenza che gli EAU hanno ottenuto a livello internazionale.

Secondo, gli Emirati Arabi Uniti sono stati accusati di supportare le Forze di Supporto Rapido (RSF), che hanno commesso crimini e sono state sanzionate dagli Stati Uniti. L’iniziativa umanitaria segnala un cambio di strategia nell’assicurare invece una cessazione delle ostilità ed una nuova transizione politica. Questo però avviene mentre le forze armate sudanesi si avvicinano a riconquistare Khartoum e candidarsi a riprendere la leadership del paese. Le SAF non hanno interesse, quindi, ad una cessazione delle ostilità in questo momento.

Infine, gli Emirati, affermandosi come nuovo leader nel campo umanitario, utilizzano tale strumento necessario anche sul versante geopolitico. Non solo impegnando fondi che sono fuori dalla portata di qualsiasi singolo stato europeo, ma attivandosi seriamente nel dettaglio dell’accesso umanitario, spesso mettendo pressione alle agenzie ONU per approcci più efficienti, come già visto a Gaza nell’attuazione di corridoi umanitari da parte degli Emirati e ora in Sudan.

In un momento storico caratterizzato dal Trumpismo, dove a vigere è la legge del più forte questo è certamente uno sviluppo positivo.

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