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Il ruolo di intermediario dell’Oman nelle dinamiche regionali

Da tempo l’interesse dell’Oman a non essere coinvolto nelle rivalità regionali viene considerato essenziale per evitare possibili ricadute sul paese. Infatti, la recente visita del presidente iraniano, Ebrahim Raisi, nella capitale omanita dimostra quanto sia importante per il Sultanato conservare relazioni cordiali anche con Teheran.

Posto alla confluenza tra lo Stretto di Hormuz, il mare Arabico e l’Oceano Indiano, il Sultanato dell’Oman potrebbe diventare il nuovo spazio geografico in cui gli interessi sino-americani entrano in conflitto. Mentre Washington è preoccupata nel vedere l’Oman trasformarsi in supporto logistico per la Maritime Silk Road Initiative, la recente visita del Ministro della Difesa cinese a Muscat per discutere con il Viceministro della Difesa e il Ministro degli Affari Esteri omaniti di come rafforzare i legami bilaterali tra i due paesi, ha messo ancora di più in evidenza come Pechino guardi a Muscat per aumentare la propria influenza nell’Oceano Indiano e oltre.

Di facile accesso sia per i mercati indiani, sia per quelli dell’Africa Orientale, i porti omaniti sono al centro degli interessi geostrategici e geoeconomici stranieri. Non è un caso che, nel marzo 2019, Washington abbia firmato con Muscat lo Strategic Framework Agreement allo scopo di gestire l’accesso statunitense alle strutture e ai porti di Salalah e Duqm. L’investimento cinese nella Zona Economica Speciale di Duqm– un grande progetto di sviluppo che fa parte della Belt and Road Initiative di Pechino – è un altro esempio illuminante della crescita strategica della costa omanita nella geopolitica delle potenze globali.

Dal punto di vista dell’Oman, l’interesse del paese nell’incrementare la partnership con la Cina anche nei settori non petroliferi (p. es. energie rinnovabili, economia digitale e infrastrutture marittime) senza voltare le spalle agli alleati occidentali tradizionali, cioè gli USA e il Regno Unito, deve essere inquadrato nella “Visione 2040” dell’Oman. Lanciato nel 2021 dal nuovo Sultano Haitham bin Tariq Al Sa’id, questo progetto per lo sviluppo economico e sociale del paese è considerato una via per mantenere la pace attraverso dinamiche interne, regionali e globali e per spingere l’Oman verso una maggiore integrazione nel mercato globale.

A questo riguardo, Haitham bin Tariq Al Sa’id ha seguito le orme del Sultano Qaboos bin Sa’id’, integrando la sua visione politica e socio-economica. Il “padre” della Nahda omanita (“rinascimento” in arabo) ha dedicato il proprio mandato a trasformare l’Oman da stato pre-moderno a paese prospero e sviluppato, con un’enfasi sulla diversificazione economica e su maggiori investimenti nel settore privato. Il paese dipende ancora pesantemente dalle esportazioni di petrolio e di gas che, nel 2021, costituivano circa il 63% delle entrate. In un quadro globale caratterizzato dalla pandemia di Covid-19 e dalla volatilità del mercato del greggio, Muscat ha la necessità di investire nel settore non petrolifero per risolvere le proprie difficoltà socio-economiche.

È da notare che l’allargamento delle relazioni economiche e diplomatiche è anche utile all’Oman per le necessità relative alla sicurezza. Certamente, la politica estera di Muscat, indipendente ed equilibrata – in breve: “essere l’amico di tutti e il nemico di nessuno” – sembra avere origine dal presupposto che la sicurezza e l’integrità territoriale non possono essere separate dall’ambiente esterno in cui il paese si trova. Perciò, un retroterra regionale meno turbolento viene percepito dalle élite come funzionale per raggiungere la stabilità interna e per rafforzare la performance economica di Muscat.

Dunque, in un quadro di alta instabilità regionale caratterizzato da conflitti internazionalizzati (p. es. Siria, Libia e Yemen) e di rivalità non ancora sopite (la lotta geopolitica tra Arabia Saudita e Iran), non è un caso che Muscat desideri diventare un attore importante e assumere il ruolo di facilitatore e mediatore regionale. Anche la sua aderenza ufficiale all’Islam ibadita potrebbe essere una caratteristica chiave del profilo geopolitico del Sultanato quale credibile intermediario di pace. A questo proposito, l’attuale attività dietro le scene dell’Oman nei negoziati di Vienna per il rinnovo del JCPOA, nel dossier Yemen e nei colloqui in atto tra Arabia Saudita e Iran sono tre esempi chiarificatori del suo ruolo di intermediario nella regione del Golfo.

Nel caso dello Yemen, dall’inizio della guerra civile nel 2015, traendo vantaggio dalle relazioni amichevoli sia con Ansar Allah (alias Houthi) che con i principali attori regionali coinvolti nel conflitto, l’Oman ha ospitato più volte colloqui formali e ufficiosi tra il governo yemenita, internazionalmente riconosciuto, dell’ex presidente ʿAbd Rabbih Manṣūr Hādī; gli Houthi; il Southern Transitional Council; i sauditi e loro alleati. Il recente rilascio di 14 detenuti da parte di Ansar Allah, insieme a quello della nave Rwabee, battente bandiera emiratina, è una prova ulteriore degli attuali sforzi di mediazione dell’Oman nella guerra in Yemen.

Dal punto di vista del Sultanato, la percezione della minaccia nel Golfo non diminuirà sino a che non ci sarà un dialogo costruttivo tra gli attori regionali più importanti. A questo proposito, il rinnovo del JCPOA viene considerato un passo di transizione cruciale per la distensione nella regione. Già nel 2012, Muscat è stata funzionale alla ripresa dei colloqui di Vienna e all’adozione dell’accordo del 2015. Adesso che i colloqui sul nucleare stanno entrando nella fase finale, l’incontro tra i ministri degli esteri omanita e iraniano a Teheran, il 23 febbraio di quest’anno, potrebbero far pensare ad un ulteriore coinvolgimento di Muscat nel ruolo di mediatore tra l’Iran e gli USA.

Così, in prima linea per promuovere la riconciliazione e la completa intesa tra le due sponde del Golfo, l’Oman è stato anche molto importante, insieme al primo ministro iracheno Al-Kadhimi, nella ripresa e nell’organizzazione del quinto round di colloqui diretti tra Teheran e Riyad a Baghdad. Il paese aveva ospitato gli incontri tecnici preliminari tra funzionari di alto livello di entrambe le parti e ci si aspetta che continuerà ad essere un attore importante nell’attuale distensione tra Arabia Saudita e Iran. Come già osservato, bisognerebbe tenere conto delle considerazioni strategiche relative alla stabilità interna dell’Oman per spiegare il coinvolgimento diplomatico di Muscat.

Gli attacchi degli Houthi contro le infrastrutture civili ad Abu Dhabi hanno dimostrato chiaramente che i conflitti prescindono dai confini territoriali. Dunque, tenendo a mente l’intersecarsi delle dinamiche interne e internazionali, l’interesse dell’Oman a non essere coinvolto in lotte regionali viene considerato essenziale per evitare possibili ricadute nel paese. Lo stesso ragionamento potrebbe valere per spiegare l’importanza che il Sultanato attribuisce al conservare relazioni cordiali con Teheran. Infatti, i due paesi gestiscono le rotte marittime del commercio internazionale attraverso lo stretto di Hormuz, un passaggio strategico attraverso il quale transita circa un terzo del flusso commerciale globale di greggio trasportato via mare.

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