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Il XX Congresso del PCC e il futuro di Taiwan: nulla di nuovo sotto il sole

Quali conclusioni emergono dal XX Congresso del PCC sulla “questione di Taiwan”? L’analisi di Niccolò Petrelli

Dopo le tensioni degli ultimi mesi, in particolare dopo le esercitazioni militari di agosto su entrambe le sponde dello stretto, l’aspettativa prevalente per il XX congresso del Partito Comunista Cinese, era che il segretario (appena confermato per un terzo mandato) Xi Jinping avrebbe delineato un cambio di passo sulla questione di Taiwan. Così è stato infatti, ma in modo diverso da quanto molti si aspettavano.

I discorsi pubblici di un leader di rado riflettono in maniera esatta calcoli ed intenzioni reali, essendo rivolti a molteplici audience. Derivarne previsioni circa futuri corsi d’azione è dunque estremamente difficile. Eppure, in questo caso sembra si possa trarre dalle parole di Xi una conclusione abbastanza chiara: non vi è alcuna minaccia militare imminente da parte della Repubblica Popolare Cinese rispetto a Taiwan. In altre parole, il cambio di passo ipotizzato non c’è stato ed appare oltretutto improbabile nel prossimo futuro.

Dalla sua ascesa al potere Xi Jinping ha alzato la posta in gioco a livello interno sulla “questione di Taiwan”, presentando in molteplici occasioni la “riunificazione” con l’isola come un elemento essenziale, un pilastro del processo di “ringiovanimento nazionale”. Di fatto, tuttavia, ad una retorica e prassi politica più assertive rispetto a quelle dei suoi predecessori, Xi ha sempre accompagnato elementi di pragmatismo.

Xi ha proclamato che “la riunificazione completa della nazione deve assolutamente essere realizzata, e può essere realizzata”; non sembra tuttavia possa rilevarsi un maggiore senso di urgenza in merito alla “risoluzione” della questione Taiwan. Nel complesso, la posizione espressa dal Segretario del PCC appare caratterizzata da una forte continuità con la visione articolata negli anni dai vari leaders della Repubblica Popolare. Infatti, nel rapporto completo dei lavori del congresso, di cui il discorso era una sintesi, si faceva esplicito riferimento al “consenso del 1992” e alla nozione di “un paese, due sistemi”, nonché alla preferenza del partito per un processo di riunificazione pacifica tra Repubblica Popolare e Taiwan. Questi aspetti sono stati in parte oscurati nel discorso pubblico tenuto da Xi da un’altra affermazione, ovvero che la Cina continua a riservarsi il diritto di impiegare “ogni misura necessaria” per porre in atto il processo di riunificazione con la provincia ribelle, incluso qualora si renda necessario, l'uso della forza. È degno di nota, tuttavia, come il leader comunista abbia affermato esplicitamente che tale ammonimento è rivolto “a forze esterne ed alla ‘minoranza’ di scissionisti sostenitori dell’indipendenza di Taiwan”, ovvero l’amministrazione Biden ed il presidente taiwanese Tsai Ing-wen. In altre parole, il PCC ha ribadito la sua opposizione a qualsiasi coinvolgimento straniero nella questione di Taiwan, insistendo sul fatto che risolverla spetta ai cinesi e a nessun altro.

Se l’obiettivo strategico di lungo periodo rimane dunque la riunificazione, non sembra possa rilevarsi, per il breve e medio periodo, un progetto diverso da quello di interferire e rallentare il tentativo di Taiwan di perpetuare la propria indipendenza de facto. Sotto questo profilo nei prossimi mesi sarà essenziale osservare i movimenti militari, le operazioni cyber della Repubblica Popolare, nonché la “guerra legale” e la “guerra di opinione pubblica” contro Taiwan.

Le ragioni di questa “intenzione di continuità” nella politica su Taiwan possono essere spiegate concentrandosi su altre porzioni del discorso di Xi Jiping (e del rapporto dei lavori del congresso). Cruciale a questo riguardo appare la nuova percezione della posizione della Cina nel sistema internazionale. Xi Jinping ha menzionato come negli ultimi 20 anni la Cina abbia vissuto un periodo di “importanti opportunità strategiche per lo sviluppo”. Gli eventi degli ultimi anni, in particolare il nuovo approccio strategico di competizione formalmente articolato per la prima dagli USA nel 2016, con la Cina definita come un rivale strategico (un approccio ribadito anche nella prima National Security Strategy dell’amministrazione Biden resa pubblica pochi giorni fa), così come il rallentamento del tasso di crescita economica hanno modificato questa percezione. Ciò emerge ancora una volta dal rapporto dei lavori del XX Congresso in cui si descrive la posizione della Cina come una in cui con opportunità strategiche “coesistono rischi e sfide”. Il Segretario del PCC ha delineato una visione del futuro sotto molti aspetti a tinte fosche, sottolineando la notevole incertezza in cui (alla luce di questi cambiamenti) la Cina si troverà ad operare nel sistema internazionale. Secondo Xi la Cina deve quindi “essere pronta a resistere a venti forti, acque agitate e pericolose tempeste”.

Nel nuovo contesto di instabilità e incertezza in cui la Cina si trova ad operare non sembra dunque esserci spazio per una politica più aggressiva rispetto alla questione di Taiwan. Rispetto all’obiettivo finale della riunificazione, anzi, Xi, definito anni fa come un epigono di Mao Tse Tung in politica estera e di Deng Xiaoping in ambito economico, appare ora più simile a quest’ultimo, orientato ad un corso d’azione ancora volto ad un obiettivo strategico massimalista e ideologico, ma profondamente pragmatico e intriso di “pazienza strategica”.

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