Israele riconosce la sovranità marocchina sul Sahara occidentale
Tramite una lettera inviata da Netanyahu al re del Marocco, Mohamed VI, Israele ha ufficialmente riconosciuto “la sovranità marocchina” sul Sahara occidentale. Le possibili ragioni della scelta nel punto di vista di Francesco Meriano
Tramite una lettera inviata da Netanyahu al re del Marocco, Mohamed VI, Israele ha ufficialmente riconosciuto “la sovranità marocchina” sul Sahara occidentale. Come per l’imprimatur degli Stati Uniti (nel dicembre 2020) e della Spagna (nel marzo 2022), la mossa di Tel Aviv rappresenta una significativa vittoria diplomatica per Rabat, che disputa il possesso della regione alle milizie autoctone sahrawi – organizzate sotto la bandiera del Fronte Polisario – e all’Algeria, che offre supporto a queste ultime.
Già ventilato dalle numerose interlocuzioni bilaterali avvenute nel mese di giugno, l’annuncio scioglie uno degli ultimi nodi legati alla rinnovata cooperazione tra Marocco e Israele. Nell’arco degli ultimi due anni, Tel Aviv e Rabat hanno stretto accordi multisettoriali ad ampio spettro. All’impennata dell’interscambio commerciale – giunto a fine 2022 al tetto dei 180 milioni di dollari – si accompagna un robusto partenariato in ambito militare, che ha fruttato al regno alawide l’acquisto del sistema di difesa antiaerea Skylock Dome e (inter alia) di armamenti e tecnologie UAV prodotte dalle israeliane Elbit Systems e BlueBird. Ma i due paesi sono attivi anche nella ricerca sugli usi civili dell’energia nucleare, sul tema delle facilitazioni ai visti lavorativi e nella promozione del retaggio culturale.
Va ricordato che Marocco e Israele hanno ristabilito le relazioni diplomatiche con la firma degli Accordi di Abramo a fine 2020, fortemente voluti dall’amministrazione Trump per favorire la distensione regionale tra i paesi arabi e lo Stato ebraico. In cambio dell’accesso di Rabat, Washington ha riconosciuto il Piano di autonomia alawide sul Sahara occidentale – territorio chiave per la proiezione commerciale del Marocco verso l’Africa occidentale e subsahariana, nonché per il controllo di riserve strategiche di terre rare e fosfati. Mentre il riconoscimento della stessa Israele, nonostante le molteplici convergenze con il regno, si è fatto attendere invano per più di due anni. Un’attesa cessata, almeno in apparenza, la scorsa domenica.
La tempistica richiama diversi fattori. In primo luogo, il riconoscimento israeliano del Sahara occidentale si lega – al netto degli evidenti parallelismi – all’evolvere della questione palestinese. Necessaria alla tenuta della maggioranza Netanyahu, l’alleanza dei conservatori del Likud con i partiti religiosi ha prodotto un sensibile irrigidimento del governo di Tel Aviv sui dossier di Cisgiordania e Striscia di Gaza. A fine giugno, il ministero della Difesa israeliano ha approvato la costruzione di oltre 5.000 nuove unità abitative nei territori della West Bank, la cui giurisdizione è in parte vincolata all’Autorità palestinese in base agli accordi di Oslo (1993). Il tutto sullo sfondo degli scontri consumatisi nel campo profughi di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale, teatro di un’incursione su vasta scala dell’esercito israeliano.
Sviluppi che hanno suscitato critiche virulente dalla comunità internazionale – e un comprensibile imbarazzo per i paesi arabi firmatari degli Accordi di Abramo. E’ una questione delicata anche per il Marocco, il cui re Mohamed VI è a un tempo promotore di spicco del riavvicinamento israeliano e presidente del Comitato filo-palestinese Al-Quds. Già fonte di alcuni (rari) stridori tra la monarchia alawide e le opposizioni politiche in patria, l’esacerbarsi delle tensioni in Israele ha anche spinto il Marocco a posticipare il secondo vertice del Negev Forum, che avrebbe visto il regno ospitare delegati di Stati Uniti e Israele oltre che di Egitto, Emirati arabi e Bahrein.
In questo quadro, la concessione di Tel Aviv sul West Sahara incoraggerebbe il Marocco – nell’ottica della mutua convenienza – a mantenere il proprio endorsement per lo Stato ebraico a dispetto del pronunciato oltranzismo Netanyahu. Nella stessa logica, appoggiare le rivendicazioni del Marocco contribuisce a migliorare le relazioni tra Israele e il suo storico patron USA, che nel regno alawide vede il principale bastione filo-atlantista del Nordafrica. Rapporti già tesi, tanto alla luce della stretta palestinese (Washington resta formalmente a favore di una soluzione politica sul modello dei “due Stati”) quanto della controversa riforma giudiziaria intrapresa da Netanyahu, sulla quale Biden ha manifestato il proprio allarme in una recente intervista al New York Times.
La questione del Sahara occidentale si inserisce, infine, nel quadro della più ampia partita per l’Africa. Snodo geografico e commerciale tra il Maghreb e le economie in crescita dell’Africa occidentale e subsahariana, la regione rappresenta un potenziale viatico per il rilancio della cooperazione di Tel Aviv in uno scacchiere chiave per gli equilibri mediterranei. Una dichiarata priorità del governo Netanyahu, già protagonista di visite in Kenya e Uganda: mentre, proprio in questi giorni, il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha partecipato in qualità di osservatore al vertice dell’Unione Africana di Nairobi, ventilando la possibile normalizzazione dei rapporti con Mauritania, Niger, Mali. Ma il rinnovato engagement israeliano nel continente sembra puntare anche al contenimento di influenze ostili nell’area. Non a caso, le interlocuzioni di Cohen e il riconoscimento della marocanité sahariana fanno da contrappunto al recente tour africano di Ebrahim Raisi in Kenya, Uganda e Zimbabwe. Interlocuzioni che puntano a spezzare l’isolamento della Repubblica islamica e ad alleviarle il peso delle sanzioni internazionali.
Quali effetti sulle dinamiche regionali? Nel breve periodo, il riconoscimento del Sahara occidentale raggiunge l’obiettivo di rinsaldare la partnership tra Rabat e Tel Aviv. Gli interessi economici e strategici – tra cui spicca il rafforzamento del comparto militare alawide nella corsa alle armi contro l’Algeria – spingeranno probabilmente il Marocco a chiudere un occhio sul dossier palestinese. Al tempo stesso, tuttavia, l’intesa rischia di esacerbare frizioni potenzialmente rischiose. E’ il caso di Algeri, che potrebbe cavalcare i malumori suscitati nel mondo arabo per rafforzare il fronte anti-marocchino, facendo ad esempio affidamento su Teheran, più volte accusata da parte marocchina di fornire armamenti al Fronte Polisario attraverso intermediari di Hezbollah. Così come potrebbero probabilmente acuirsi le tensioni politiche nel regno alawide circa la cooperazione con il governo Netanyahu.