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Italia-Arabia: la partita strategica della Meloni

Riproponiamo l'articolo pubblicato su "Il Mattino" il 28 Gennaio 2025

Quanto avvenuto ad Al-Ula, il 26 gennaio, rappresenta un passaggio chiave per il futuro della politica estera italiana. Nella città saudita, custode dell’unico sito UNESCO del paese, il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il primo ministro Mohammed bin Salman, hanno siglato un’intesa per elevare le relazioni tra i due paesi al rango di partenariato strategico.

A stupire non sono solo le cifre degli accordi, 10 miliardi di dollari da destinare a settori come le infrastrutture, l’energia, l’innovazione tecnologica, la difesa, la cultura e il turismo. Ciò che colpisce di questa nuova primavera dei rapporti bilaterali è anche il dato politico-strategico. Ad Al-Ula Roma e Riad si sono dette pronte a far convergere le proprie agende estere, con un focus prioritario su Medio Oriente ed Africa.

Senza sovrastimare la portata dell’intesa, è però possibile affermare che tale avvicinamento arrivi in un momento cruciale per la storia della regione, segnata da nord a sud da instabilità e insicurezza.

A quasi un anno e mezzo dall’attentato del 7 ottobre, ancora oggi continuano le ostilità nel Levante. Nonostante il fragile accordo per il cessate il fuoco a Gaza, è nel frattempo iniziata una nuova operazione militare israeliana in Cisgiordania. L’intenso lavoro di mediazione dei mesi scorsi ha portato alla liberazione di alcuni ostaggi, ma non è chiaro se in parallelo sia stato elaborato un piano politico di lungo termine per i territori palestinesi. Una sfida che potrebbe essere raccolta insieme da Roma e Riad, anche se quest’ultima – leader religioso del mondo islamico – non ha ancora formalizzato il riconoscimento di Israele, come fatto invece da Emirati Arabi e Bahrein con gli Accordi di Abramo.

A soffiare sul fuoco dell’instabilità vi è poi la precaria situazione dell’Iran. La sconfitta di Hamas a Gaza e di Hezbollah in Libano ha minato profondamente la capacità di proiezione regionale di Teheran. Al tempo stesso, la repentina caduta di Assad ha fatto perdere un alleato fondamentale alla Repubblica Islamica, che usava la Siria anche come hub logistico per i collegamenti tra il Paese dei Cedri e l’Iraq. Due le possibili strade all’orizzonte: un processo negoziale che porti all’interruzione del programma nucleare o, in alternativa, uno scontro militare ancora più aperto con Israele. Per l’Arabia Saudita si tratta del principale dossier di politica estera, a cui si lega anche la preoccupazione italiana per le sorti del commercio internazionale, ancora oggi esposto agli attacchi dei ribelli filoiraniani Houthi nel Mar Rosso. Senza dimenticare il legame con i teatri libanese e iracheno, dove Roma stanzia i suoi due principali contingenti militari.

A rendere ancora più importante il binomio di Al-Ula vi sono, infine, altri due fattori, strettamente correlati fra loro. Da un lato, la politica di riorientamento strategico americano, che con Trump si potrebbe tradurre in un allontanamento ancora più netto di Washington dalle dinamiche mediterranee. Dall’altro, il focus prioritario sull’Africa che Roma ha deciso di imprimere alla sua azione esterna attraverso il Piano Mattei, che combacia con la crescente rilevanza che il continente ha assunto negli ultimi anni anche per l’Arabia Saudita.

Dagli ambiziosi progetti legati alla transizione energetica, passando per le riforme sociali e culturali intraprese e l’imponente crescita sul piano diplomatico, l’Arabia Saudita rappresenta sempre di più un partner con il quale sarà possibile (e necessario) affrontare le sfide future. Al-Ula, in tal senso, rappresenta una svolta fondamentale. Non si tratta solo di un’assunzione di maggiori responsabilità per la stabilità della regione. Bensì si tratta di creare un ponte tra Europa e Golfo, che sia foriero di una rinnovata cooperazione.

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