Italia e India: tra ambizioni e interessi comuni. L’importanza di una relazione strategica
Il 2023 è l’anno in cui ricorrono i 75 anni dall’avvio delle relazioni diplomatiche tra Italia e India. Dopo l’incontro di marzo, tra Modi e Meloni, vi sono state numerose occasioni di confronto tra i rappresentanti di governo dei due paesi. Non ultima la visita in Italia del ministro degli Esteri indiano Jaishankar. L’importanza del confronto e della collaborazione tra Nuova Delhi e Roma, gli interessi comuni, le ambizioni di due paesi che guardano con attenzione a quanto accade in Africa e nel Global South e la nuova strategia italiana nell’Indo-pacifico al centro del nostro nuovo report
Quando nel mese di marzo il Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, ha incontrato il Premier indiano, Narendra Modi, l’incontro è stato giustamente celebrato per la sua rilevanza politica, visto che andava anche ad inserirsi nel quadro delle celebrazioni dei settantacinque anni di avvio delle relazioni diplomatiche tra Italia e India.
Ma il dato realmente rilevante nasceva dal fatto che da alcuni anni i rapporti bilaterali tra l’Italia e il gigante asiatico erano come “congelati”, avendo risentito di alcune vicende, non ultima quella dei due Marò, che avevano pesato sul dialogo diplomatico tra i due paesi. Nonostante le buone relazioni economiche, che da tempo erano andate saldandosi.
La verità, evidente da tempo ed emersa subito dall’incontro, era ed è che India e Italia hanno numerosi interessi in comune e possono fare molta strada insieme. Questa evidenza è stata rafforzata anche dagli incontri bilaterali, a livello ministeriale, tenutisi nei mesi successivi, fino al G20 di Delhi di settembre, con il nuovo faccia a faccia tra i due leader politici dei governi in carica. E certamente, è stata confermata anche dai due giorni di incontri intensi ai massimi livelli, che il ministro degli Esteri di Delhi, Subrahmanyam Jaishankar, ha avuto in Italia.
India e Italia hanno molto in comune e numerosi sono gli interessi da condividere in diversi campi, in quanto paesi che anche sotto il profilo geografico sono “ponti naturali” tra regioni diverse, da sempre capaci di tenere aperta la porta del dialogo con più interlocutori a livello internazionale, anche in aree oggi fortemente esposte ai venti di tempesta delle crisi in corso. Non a caso il ministro Jaishankar ha descritto il partenariato strategico con l’Italia quale “elemento di stabilità per l’attuale incerto contesto internazionale”. Ma i due paesi possono soprattutto rafforzare le proprie relazioni bilaterali, in un momento in cui entrambi guardano con grande interesse alle rispettive regioni di appartenenza. L’India all’Europa e l’Italia all’Asia meridionale e all’Indo-Pacifico.
Italia e India, settantacinque anni di relazioni diplomatiche
Le relazioni diplomatiche tra Italia ed India hanno come data di inizio il 1947, anno dell’indipendenza indiana. Fu Jawaharlal Nehru, fondatore dell’India moderna, a compiere il primo viaggio diplomatico in Italia, nel 1953. Per un capo di Stato italiano in India, invece, si dovranno aspettare molti anni e arrivare alla presidenza di Oscar Luigi Scalfaro.
Dal 1947 in poi vi sono state, dunque, diverse occasioni in cui i rappresentanti dei governi dei due paesi si sono incontrati, cementando i rapporti reciproci in molti campi. Nel tempo, ovviamente, le posizioni nel mondo dei due paesi sono cambiate. L’India, in particolare, se in passato era descritta come un grande gigante in via di sviluppo, oggi è considerata in tutto il mondo come una potenza in ascesa e un interlocutore importante, se non strategico, con cui la maggior parte dei grandi paesi industriali, o di quelli del Global South, intende avere rapporti stabili. Non a caso, proprio in occasione dell’incontro del 2 marzo scorso, fu deciso di elevare le relazioni tra Italia e India al livello di partenariato strategico. Segno dell’importanza che la nostra diplomazia, il nostro Governo, e l’intero Sistema Paese vogliono dare alle relazioni bilaterali con essa.
In particolare, se guardiamo proprio ai dati economici, risulta evidente l’importanza che oggi l’India riveste per le aziende italiane e, considerati i dati di crescita indiani, diventa ancora più palese perché consolidare i rapporti reciproci sul piano degli investimenti, degli scambi e della collaborazione può giovare a entrambi. Si tratta della più grande democrazia del mondo, nonché della prima potenza demografica e la quinta economica del pianeta, con ampi margini di crescita già entro il 2030. La sua fortuna sarà la composizione stessa della società indiana del prossimo futuro, costituita in larga misura da una classe media ampia, giovane e molto istruita. Tre elementi da sempre associabili con l’esistenza di un grande mercato interno e con floridi periodi di sviluppo, in tutti gli ambiti. Inoltre, l’India è il paese con il maggior numero di emigrati nel mondo che rappresentano ogni anno un importante contributo sul piano economico al PIL nazionale con le proprie rimesse. Proprio la comunità indiana in Italia, in gran parte distribuita nelle regioni del nord, è al momento composta da più di 160 mila persone, la quinta per numero complessivo, e rappresenta certamente un’importante risorsa per l’economia italiana, in particolare per alcuni settori come quello primario.
A marzo, in contemporanea con il bilaterale tra i due capi di Governo, si era svolto a New Delhi l’India-Italy Business Round Table, un evento presieduto congiuntamente dal ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, e da quello indiano del Commercio e dell’Industria, Piyush Goyal, per esplorare le modalità e le prospettive per incrementare gli scambi e gli investimenti bilaterali. Il 13 aprile a Roma sempre il ministro Goyal, questa volta insieme al ministro delle Imprese e del Made in Italy, Alfonso Urso, ha presieduto il “CEO Forum” alla presenza di rappresentanti di importanti imprese dei due paesi. Nel 2022 l’interscambio commerciale con l’Italia è stato di circa 15 miliardi di euro, di cui 10 miliardi sono le importazioni di Roma da Nuova Delhi, mentre i restanti 5 costituiscono la quota di export del nostro paese verso il colosso asiatico. Come affermato più volte durante gli incontri di quest’anno, tali dati – che già segnano un aumento complessivo del 42% rispetto al 2021 – sono destinati a crescere ulteriormente, insieme ai settori in cui Nuova Delhi e Roma porteranno avanti nuove forme di cooperazione economica. Tra questi vi sono, ad esempio, la difesa, l’energia, l’alta tecnologia, lo spazio, ma anche l’AI, i semiconduttori, la manifattura avanzata e le catene di approvvigionamento di natura strategica.
E l’ultima visita di due giorni in Italia del ministro degli Esteri indiano ha potuto rappresentare una interessante occasione per riprendere il dialogo su molti temi già all’ordine del giorno. Dal primo incontro, il 2 novembre, con i ministri Crosetto e Tajani, a quello con il ministro Urso fino all’appuntamento con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al di là dei riti della diplomazia internazionale e dei cerimoniali, si sono concretamente misurate le possibilità di una costruttiva convergenza strategica di lungo termine, non solo sotto il profilo economico. Anche in questo caso si è discusso del partenariato esistente in ambito difesa e sicurezza, così come di cooperazione spaziale, ricerca scientifica e cultura. Tutti campi in cui l’Italia ha un grande bagaglio di esperienze, competenze e iniziative da spendere. L’India, parimenti, può mettere in campo sia altrettante competenze e capacità ma anche un grande interesse che è direttamente proporzionale all’ambizione del paese di continuare a crescere a livello globale, per andare a occupare sempre di più il posto di una delle grandi potenze del pianeta. Già ad ottobre il ministro della Difesa indiano, Rajnath Singh, e l’omologo italiano, Guido Crosetto, avevano discusso a Roma della forte interconnessione tra Mediterraneo e Indo-Pacifico e di come la cooperazione delle reciproche Forze armate fosse fondamentale per affrontare insieme le diverse crisi che minacciano la sicurezza internazionale, dall’Africa al Medio Oriente, passando per il Mar Rosso e lo Stretto di Hormuz.
I due paesi dunque, oltre a numerosi interessi economici e commerciali comuni in settori di grande importanza strategica in questa precisa fase storica (si pensi allo spazio, per esempio, o alla transizione energetica e tecnologica), condividono, dunque, la necessità e l’intenzione di rafforzare il dialogo e la cooperazione reciproca, per motivi legati sia al contesto internazionale in cui agiscono – caratterizzato da un crescendo di tensioni e crisi – che per alcuni singoli dossier strategici, come il futuro della stabilità dell’Africa, il corridoio indo-mediterraneo, la crisi in Medio Oriente e, appunto, gli investimenti nel settore difesa e nei campi tecnologicamente più avanzati.
Su alcuni di questi temi la collaborazione con l’Italia, anche in chiave europea, può essere un prezioso supporto per la strategia indiana di espansione e ascesa a livello globale. E come dimostrato anche recentemente, proprio l’Italia, per la sua posizione geografica strategica, può condividere alcuni interessi che oggi l’India ha particolarmente a cuore (si pensi alle vicende africane). Soprattutto, Roma può rivestire un ruolo non di poco conto per il rilancio dell’iniziativa dell’IMEC, che dalle parti di Nuova Delhi (e Washington) è particolarmente sentita come alternativa concreta alla Via della Seta cinese, in grado di mettere intorno a un tavolo grandi potenze in crescita, come India e Arabia Saudita, e su cui proprio oggi – quando il rullare dei tamburi di guerra in Medio Oriente e l’ombra dei cannoni ne stanno minacciando la realizzazione – chiama in causa proprio la capacità italiana di mediazione, e il ruolo di ponte nella regione del Mediterraneo allargato, per provare a rilanciare il progetto.
L’IMEC rientra nelle ambizioni indiane di collegare in maniera strategica il paese e la regione indo-pacifica al Mediterraneo e all’Europa, anche stringendo più solide alleanze con le potenze del Golfo, che così vedrebbero il loro ruolo di hub nella regione rafforzato. In tale prospettiva, va ricordato che ultimamente la Cina è stato un player molto attivo nel Golfo, area strategica tanto per Pechino quanto per Nuova Delhi, specialmente sotto il profilo energetico. Di conseguenza, un maggiore attivismo indiano nella regione potrebbe assurgere anche al tentativo di bilanciare l’ingombrante presenza del Dragone. L’IMEC potrebbe, inoltre, consolidare la sinergia e la collaborazione sul piano regionale con Israele, e a livello globale con gli Stati Uniti, i quali guardano a questo progetto con interesse proprio per la sua capacità di essere alternativo alla Belt and Road Initiative. L’Italia, anche in quanto ormai paese in uscita dalla BRI, assumerebbe dunque il valore di punto di snodo fondamentale del nuovo progetto, grazie anche alla sua posizione al centro del Mediterraneo, in grado di unire non solo l’Est e l’Ovest, ma anche il Nord e il Sud del mondo. Su questa linea, proprio l’investimento strategico della relazione con l’India, potrebbe diventare un elemento di forza anche in chiave europea ed atlantica.
L’ascesa indiana e il rango di grande potenza
Numerosi esperti inseriscono l’India tra le grandi potenze globali che plasmeranno e condizioneranno il futuro del pianeta, indicando proprio nella crescita economica e politica delle due potenze asiatiche, Cina e India, una sorta di chiave di volta degli equilibri nascenti del nostro tempo. A distanza di qualche anno da quando il ritorno sullo scenario internazionale dei due grandi giganti asiatici, terre di imperi e civiltà millenarie, rappresentava per molti una novità, l’affermazione cinese è diventata un fatto consolidato ai nostri giorni, mentre l’esplosione indiana sembra avere avuto una svolta proprio in tempi più recenti. E l’anno corrente, forse per merito di alcuni eventi specifici, ha giocato una particolare importanza in questa lunga corsa indiana.
Infatti, se nel 1979 il PIL di Cina e India erano sostanzialmente alla pari, negli anni successivi i due paesi hanno visto percorsi di crescita profondamente diversi. La Cina si è affermata a livello globale molto più rapidamente e vanta oggi indicatori certamente più importanti dell’India, essendo saldamente la seconda economia mondiale. Ma nonostante i ritardi, anche l’India adesso si è fatta sotto ed ha risalito rapidamente la scala dello sviluppo, tanto che oggi è un paese in grande espansione, non solo economica, ma anche sempre di più sul piano politico e militare. E proprio nel corso di questo anno, in primavera, ha ottenuto un importante traguardo, che consolida questa grande fase di espansione del paese sul piano globale: l’India è, infatti, diventata la prima potenza demografica del mondo con un miliardo e quattrocento milioni di abitanti. Da sola rappresenta una popolazione che è circa tre volte quella europea. Una popolazione peraltro molto giovane, dinamica, attiva, istruita, con grandi aspettative, che popola un territorio che ha oggi enormi potenzialità di crescita e ulteriore espansione, nonostante le grandi sacche di povertà e di arretratezza ancora presenti in molte parti del paese, le tensioni e le divisioni sociali ancora diffuse, le fratture culturali che attraversano e spesso dividono la complessa società indiana. Un paese giovane e ambizioso, che dopo aver strappato alla più vecchia e statica Cina proprio la palma di prima potenza demografica del mondo, adesso punta a consolidarsi nel suo percorso di crescita economica, attestandosi tra le principali potenze industriali del pianeta, con l’obiettivo promesso da Narendra Modi, nel mese di agosto, di diventare entro il 2030 la terza potenza economica planetaria, dopo Cina e Stati Uniti. E nel 2023 l’India è anche ascesa a quinta potenza industriale del globo, superando il Regno Unito. Proprio il paese da cui settantacinque anni fa la “perla dell’impero” aveva ottenuto l’indipendenza dopo la lunga parentesi coloniale. Un traguardo che, come è ovvio, non poteva passare inosservato, per i suoi innumerevoli significati, storici e politici, oltre che economici.
L’India e la politica estera da protagonista
Storicamente l’India è stata sempre un paese che ha cercato di coltivare numerosi canali di dialogo e di collaborazione con quanti più attori internazionali possibili. Anche nella recente crisi ucraina, ha mantenuto una certa equidistanza rispetto alle parti in causa, riuscendo a intrattenere solidi rapporti con gli Stati Uniti e i paesi occidentali da una parte e la Russia dall’altra. Proprio Mosca rimane un partner a oggi importante per Nuova Delhi, in linea con quanto già avvenuto nel corso della sua storia recente.
Infatti, paese leader al tempo di Jawaharlal Nehru del fronte dei “non -allineati”, durante la Guerra Fredda ha avuto una relazione molto solida con l’URSS, poi continuata anche con la Federazione Russa, specialmente nel settore della difesa e in quello energetico, funzionale però anche per avere un contrappeso in Asia, tra Cina e Pakistan. Ma dall’altro lato, al di là del rapporto avuto nel tempo con il mondo sovietico e poi con la Russia, l’India ha sviluppato soprattutto durante il Novecento un rapporto più complesso e articolato con gli Stati Uniti, caratterizzato da fasi alterne. In anni più recenti, soprattutto dopo la fine della Guerra fredda, questo rapporto è andato crescendo di importanza, così come è andata crescendo la rilevanza che Washington riconosce a Nuova Delhi, non solo nel quadro della collaborazione avviata con il Quadrilateral Security Dialogue (QUAD – composto da Stati Uniti, India, Giappone e Australia) per bilanciare la Cina in Asia, ma anche in qualità di attore con cui interfacciarsi per gestire insieme le macro-questioni globali.
Infatti, l’India riesce a muoversi con questa capacità dinamica su più dossier, con un crescente protagonismo nei consessi multilaterali, riservandosi la possibilità di confrontarsi con molti e differenti interlocutori e utilizzando realtà come i BRICS, l’ONU, il QUAD, l’I2U2, la SCO e, non ultimo per importanza il G20, come luoghi per cementare la propria proiezione internazionale.
Negli ultimi anni, e segnatamente in questo 2023, ha dimostrato una notevole capacità di espansione politica e diplomatica in molte regioni del mondo, riuscendo a diventare autentica protagonista e nuovo punto di riferimento per molti paesi desiderosi di emergere nel nuovo contesto globale multipolare. Sfruttando proprio le possibilità offerte dal nuovo multipolarismo a “geometria variabile”, caratterizzato dalla condizione permanente di competizione e cooperazione in cui spesso si trovano molte potenze e molti paesi – per cui i rivali di oggi su un tema possono diventare i partner di domani su un altro –, l’India ha saputo sfruttare le diverse occasioni avute per accrescere la propria presenza e visibilità. Una delle aree in cui è sicuramente più evidente questa accresciuta importanza è il Medio Oriente. Dove, anche in ragione del particolare rapporto sviluppato sia con le monarchie del Golfo che con Israele, oggi si trova nella posizione di competitor regionale della Cina. E la vicenda recente di Gaza lo ha dimostrato in maniera plastica.
Ovviamente poi c’è l’Africa. Non a caso, durante il G20 svolto in casa, Modi ha ottenuto l’ingresso dell’Unione Africana nell’organizzazione che riunisce le venti economie principali del pianeta, conseguendo un risultato di grande importanza per il continente africano e che pone davvero oggi l’India come interlocutore di primo piano per gli ambiziosi paesi africani, che cercano da tempo sponde nuove per emergere. Un obiettivo – questo di New Delhi – che rappresenta un punto fermo anche per il Governo italiano, che in numerosi consessi internazionali, dall’UE alle Nazioni Unite, passando per i vertici bilaterali, sta cercando di portare avanti per promuovere le potenzialità inespresse dell’Africa, attraverso lo sviluppo in loco di progetti e investimenti di lungo termine. Tali iniziative fanno parte del “Piano Mattei” e si inquadrano, come nel caso dell’India, nel più ampio tentativo italiano di allargare gli orizzonti della propria politica estera e di porsi come interlocutore europeo di riferimento per i paesi del Global South.
Tornando al sub-continente, la crescita dei rapporti tra Cina e Pakistan rimane una questione centrale per la politica estera indiana. Questa complicata relazione “triangolare” tra le tre grandi potenze nucleari dell’Asia – paesi che nel tempo si sono fatti la guerra e continuano ad avere numerosi punti di tensione militare ai propri confini – resta una delle grandi sfide per ogni governo al potere a Nuova Delhi. Ma anche una delle grandi incognite che incombe sulla sicurezza di tutto il continente asiatico.
Il dossier del Kashmir, come quello dei 3500 chilometri di confini contesi con la Cina sull’Himalaya, riemergono ciclicamente con i loro pesanti trascorsi di rivalità e tensioni. Ma le differenze tra questi tre giganti asiatici sono ben più profonde e complesse e vanno oltre le questioni irrisolte sulle terre di confine e le ingenti risorse ivi presenti. L’ascesa indiana è una potenziale minaccia per le aspirazioni egemoniche cinesi in Asia, soprattutto nella parte meridionale del continente e sul versante marittimo del teatro Indo-Pacifico. In modo analogo, l’India ha la percezione che la ferrea alleanza sino-pachistana e i numerosi progetti commerciali e infrastrutturali cinesi nell’Oceano indiano e nell’Heartland del continente asiatico siano dei tentativi di accerchiamento di Pechino nei confronti di Nuova Delhi. Tutte e tre le potenze nucleari in questione vedono nei traffici commerciali con il Golfo una priorità strategica da proteggere, soprattutto per quanto riguarda la rispettiva sicurezza energetica nazionale. Allo stesso tempo gli ingenti investimenti cinesi per lo sviluppo del porto di Gwadar, al confine tra Pakistan e Iran, hanno fatto preoccupare l’India, così come la creazione della base militare navale di Pechino a Gibuti e le diverse forme di influenza geoeconomica esercitata negli ultimi anni nei confronti dei paesi del subcontinente, in primis Sri Lanka e Bangladesh, senza dimenticare le Maldive e il Myanmar. Tutti paesi con cui Nuova Delhi sta cercando di migliorare le proprie relazioni bilaterali e di recuperare il terreno perso negli anni a favore di Pechino.
Cina e India restano, dunque, distinte in molti elementi importanti. Sono due paesi che hanno un complesso rapporto reciproco di rivalità, pur avendo allo stesso tempo la necessità di trovare punti di convergenza e di cooperazione in alcuni settori, come il contrasto al terrorismo. Ma tra i due, al di là delle differenti strategie di politica estera, vi è anche una sostanziale differenza di natura politica, essendo l’India un paese democratico, mentre la Cina, al contrario, guida il fronte dei paesi autocratici.
Infine, il rapporto con gli USA, che in questi ultimi mesi è stato particolarmente rilanciato da Biden e Modi, non da ultimo con l’importante visita del premier indiano negli Stati Uniti a giugno, rappresenta per entrambi una grande opportunità, che ambedue i leader voglio sfruttare, nonostante le difficoltà interne poste dai rispettivi contesti politici di riferimento. In India la possibilità di costruire nuovi canali di collaborazione e di dialogo con gli Stati Uniti, intanto che questi necessitano di interlocutori solidi e affidabili soprattutto nell’Indo-Pacifico, è un’occasione da non perdere. E proprio il settore della difesa, quello delle nuove tecnologie e dello spazio sono oggi tra i campi in cui la collaborazione con gli USA e i paesi occidentali, Italia compresa, possono vedere i passi in avanti più significativi. Anche a fronte del processo di affrancamento dalla Russia, descritto in precedenza, che fa eco alla pesante eredità dei rapporti del XX secolo con l’URSS in tali settori strategici.
L’India in questi campi non è un paese arretrato. Anzi, come dimostrato dal recente successo dell’invio della sonda Chandrayaan-3 sulla Luna e dell’entrata in servizio, alla fine del 2022, della INS Vikrant – prima portaerei costruita interamente in modo autonomo da New Delhi – si tratta di un paese che anche a livello tecnologico è cresciuto moltissimo e, soprattutto, ha compreso che per avere voce in capitolo nella competizione tra potenze del terzo millennio, è imprescindibile la capacità di stare al passo con le repentine innovazioni tecnologiche.
Stati Uniti e India continueranno certamente a collaborare nei prossimi anni. E questo varrà anche per i paesi europei. È, tuttavia, improbabile che l’India tagli di netto i propri cordoni con la Russia, o che prenda posizioni più marcatamente filoccidentali in alcune vicende come quella ucraina. Ma potrà svolgere un importante ruolo di contrappeso alla Cina in Asia e nel Global South, e, anche, rafforzare le relazioni economiche e politiche con l’Occidente. Anche perché una delle novità emerse, negli ultimi anni, nel ruolo dell’India all’interno del Sud globale, è proprio nel suo approccio al rapporto con gli USA e l’Occidente: se nell’epoca dei paesi non allineati e del blocco del Terzo Mondo l’India aveva avuto un ruolo di guida, spesso in una posizione di critica o di tensione con gli Usa, oggi è aperta alla costruzione di un nuovo dialogo e a forme di collaborazione. Anche da qui passa, appunto, la grande occasione che l’Italia può cercare di sfruttare per le sue ambizioni nell’area Indo-Pacifica, in Africa e nel Mediterraneo.
La strategia italiana tra Mediterraneo e Indo-Pacifico
Vi è, infatti, un dato da considerare. Per via dei recenti mutamenti all’interno del panorama internazionale, anche l’Italia sta portando avanti una politica di riorientamento strategico del proprio agire internazionale. Non in antitesi con lo storico interesse italiano che vede nel Mediterraneo allargato e nello spazio euro-atlantico i principali cardini della propria politica estera e di difesa. Bensì, si tratta di una presa d’atto che il mondo di oggi rende necessario un approccio di più ampio respiro, funzionale anche a rafforzare la propria presenza negli altri due storicamente consolidati.
Il cambiamento climatico, le pandemie, la fragilità delle catene di valore critiche così come il contrasto al terrorismo, alla pirateria e ai flussi migratori illegali non possono essere gestiti in modo unilaterale dai singoli paesi. Parimenti, i diversi teatri di guerra vicini all’Italia e l’influenza malevola di attori esterni, talvolta anche molto distanti, nelle aree di massima rilevanza per Roma come il Sahel, il Nord Africa, il Mar Rosso o il Medio Oriente, rendono imprescindibile una risposta coordinata tra più attori, che non possono prescindere da NATO e Unione Europea.
Da questa consapevolezza però passa l’esigenza di trovare nuovi partner di riferimento e di estendere a regioni più lontane l’area d’azione della politica estera e di difesa italiana. E ciò anche per venire incontro alle richieste dei nostri alleati occidentali.
Roma, ad esempio, sta cercando di migliorare i propri legami con le monarchie del Golfo e ha intenzione di investire sullo sviluppo dell’Africa. I Balcani e il Vicino Oriente sono altre due macroaree a cui il Governo guarda con la massima attenzione, in continuità con una presenza consolidata. Ma procedendo verso Est, è ormai chiaro che le dinamiche dell’Indo-Pacifico, benché apparentemente distanti, abbiano in modo analogo delle concrete ripercussioni sulla Sicurezza e sugli interessi economici europei ed italiani.
Non a caso nel vertice NATO di Vilnius e nel G7 di Hiroshima, il teatro Indo-Pacifico è apparso come un nuovo dossier dalla fondamentale importanza per gli alleati occidentali, da cui discende anche la necessità di una nuova consapevolezza nei confronti della Cina. In tali occasioni si è, ad esempio, deciso di adottare l’approccio del De-Risking nei confronti di Pechino: si mantiene il dialogo aperto su alcune singole questioni, prestando però attenzione alle leve economico-commerciali azionabili dalla Cina per creare delle dipendenze in grado di mettere in pericolo la Sicurezza Nazionale dei paesi occidentali.
Nel corso dell’anno, il Governo ha intrapreso dei passi concreti rispetto alla sua nuova politica indopacifica. Sulla questione Via della Seta, Roma ha ad esempio dato segnali di chiusura a Pechino circa il prosieguo della cooperazione italiana al progetto. Al contrario, è stata impressa una netta accelerazione ai rapporti bilaterali con i due principali antagonisti della Cina in Asia: come detto l’India e, soprattutto, il Giappone. Questo, come l’India, rappresenta per l’Italia, anche in prospettiva proprio di un rafforzamento della presenza nel quadrante indo-pacifico, un partner sempre più importante in molti settori. Come dimostrato anche recentemente dall’avvio, proprio insieme a Tokyo e Londra, del progetto GCAP per la realizzazione del caccia di sesta generazione Tempest
Parimenti, il settore difesa è stato per Roma un’utile chiave di volta per approfondire i legami con altri importanti attori della regione come Vietnam, Indonesia e Filippine, ma anche Singapore, Tailandia e Malesia. Sotto questa luce va, ad esempio, letta la recente campagna di Naval Diplomacy nel teatro indo-pacifico del pattugliatore polivalente d’altura Francesco Morosini o l’annuncio del futuro schieramento nella regione della portaerei Cavour per attività addestrative con le marine alleate dell’area. In modo analogo si devono intendere i colloqui ad alto livello avuti dai vertici italiani con i leader di paesi come il Bangladesh, l’Australia e, ultima solo in linea temporale, la Corea del Sud.
In tale disegno, l’India rimane un protagonista indiscusso di questo nuovo orizzonte strategico italiano.
L’importanza del rapporto con l’India per l’Italia e l’Occidente
L’India, per l’Italia e per i paesi occidentali, non rappresenta, dunque, un semplice partner economico di grande rilievo. Non è soltanto la sua crescente rilevanza demografica globale o il suo candidarsi a diventare un paese leader in molti settori industriali a spiegare l’auspicato rafforzamento, presente e futuro, delle relazioni reciproche. L’India è ormai una consolidata realtà politica dell’attuale scenario globale e di quello dei prossimi anni. La sua proiezione estera, del resto, andrà certamente crescendo anche oltre la regione asiatica. Grazie alla sua capacità di apertura e dialogo multilivello può essere un affidabile mediatore in alcune complesse partite geopolitiche del presente. Non solo in Asia, il suo peso crescente potrebbe rappresentare un’alternativa alla Cina. L’eventuale successo del progetto IMEC può essere una delle sfide su cui nei prossimi anni si potrebbe misurare questa nuova capacità di leadership globale indiana. Una sfida non banale, ma decisiva.
L’Italia, data la sua proiezione naturale verso il Mediterraneo e l’Africa, può avere numerosi punti comuni di interesse con il colosso asiatico. Entrambe, per motivi diversi, (ma non distanti) possono avere una grande capacità di dialogo con gli attori del Global South. Investire sulla reciproca collaborazione, oltre che a livello economico, industriale e scientifico, anche a livello politico e diplomatico, può essere utile per entrambi. Per l’Italia, certamente, può essere un ulteriore passo in avanti per rafforzare la propria proiezione internazionale, sia verso il Sud del mondo, ma anche guardando all’Indo-Pacifico. Proprio il nuovo interesse italiano verso l’Indo-pacifico rende l’India un partner irrinunciabile, anche per il perseguimento di quegli interessi strategici nazionali che sempre di più passano anche attraverso le alleanze internazionali.