La centralità algerina nel Nordafrica
L’influenza dell’Algeria in Maghreb s’irradia sulle incertezze tunisine. L’analisi di Alessandro Giuli
La sopraggiunta centralità algerina sullo scacchiere energetico mediterraneo si arricchisce di nuovi elementi. Mentre gli occhi dei media internazionali sono puntati sulla ricerca europea di fonti d’approvvigionamento alternative al gas russo, come testimoniato dall’ennesimo viaggio di Mario Draghi ad Algeri, il presidente Abdelmadjid Tebboune continua a perseguire un’avvolgente politica di soft power nel quadrante maghrebino. Non sfugge agli osservatori più avvertiti l’attuale tentativo di guadagnare alla propria sfera d’influenza, in contrapposizione con il Marocco, l’oligarchia tunisina stretta intorno al presidente Kaïs Saïed, attualmente impegnato nel braccio di ferro con le opposizioni interne per convalidare la propria svolta politica attraverso il referendum costituzionale fissato per il 25 luglio. Le precarie condizioni economico-sociali rendono Tunisi particolarmente permeabile alle avances straniere. Da ultimo, il presidente della società nazionale algerina dell’elettricità e del gas (Sonelgaz), Mourad Adjal, ha appena formalizzato la fornitura di 500mila megawatts di elettricità verso la Tunisia. Ma ancora più eloquente è stata la presenza di Saïed ad Algeri in occasione dei festeggiamenti per il sessantesimo anniversario dell’indipendenza nazionale dalla Francia. Il capo di Stato tunisino ha assistito alle celebrazioni seduto a fianco del capo del fronte indipendentista Polisario, Brahim Ghali, in omaggio a una precisa scelta organizzativa tesa a rendere sempre più marcata la distanza di Palazzo Cartagine da Rabat sul dossier relativo al Sahara occidentale. Obiettivo: trascinare definitivamente Saïed al di qua di una tradizionale neutralità strategica, dopo avere ottenuto l’astensione tunisina sulla risoluzione 2602 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite favorevole alla causa marocchina.
Nulla vieta di immaginare che l’instabilità crescente del Nordafrica possa determinare una ricombinazione di alleanze e vincoli d’appartenenza, basti pensare alla crescente insofferenza del Mali in una zona come il Sahel, in cui alla presenza caliginosa dei mercenari russi del Gruppo Wagner fa riscontro la puntuale ostilità di Bamako alla presenza dei Caschi blu della missione Onu. Cionondimeno le oscillazioni della Tunisia, che resta pur sempre il più orientale degli Stati maghrebini e dunque il più esposto agli effetti delle turbolenze libiche, sembrano dettate soprattutto da cause congiunturali tali non da non determinare il sacrificio delle relazioni con il Marocco. Certo è che l’attuale fragilità sistemica tunisina accresce da una parte la sua dipendenza da Algeri – non c’è solo il gas in questione: Algeri garantisce circa il 30 per cento del reddito turistico di Rabat e ha già stanziato altri aiuti per 300 milioni di dollari – e dall’altra proietta ombre fosche sulla tenuta dell’autocrazia locale. Saïed ha bisogno di consolidare la propria posizione interna appoggiandosi ai più forti alleati regionali; senza contare che la storica esclusione della fedeltà pubblica alla fede islamica sancita nella nuova Costituzione è destinata a creare inedite fratture anche nelle fasce d’età più giovanili. Così, per lo meno, rivela l’ultimo rapporto del “Barometro arabo” stilato per BBC, secondo il quale nel 2022 è calato del 6 per cento il numero dei cittadini che si dichiara “non religioso”, mentre due terzi degli under 30 si proclama osservante e alimenta un crescente fenomeno di conversioni dal cristianesimo. Fra le cause individuate dagli analisti figura, sì, l’arretramento del fondamentalismo salafita che inibiva i musulmani moderati ma primeggiano l’incertezza economica e la sensazione di una forte “precarietà democratica”.
Sono i sintomi di uno scollamento trasversale che attraversa le classi dirigenti maghrebine ma che, quasi paradossalmente, sembra trovare nel Marocco un singolare argine nella tolleranza della sua società civile e nella collocazione filo-occidentale del Regno di Mohammed VI. Il governo locale ha appena premiato la più numerosa comunità ebraica nordafricana (circa 3mila persone) dando vita a tre entità poste a garanzia del suo culto. Nel dettaglio, si tratta del Consiglio nazionale della comunità ebraica marocchina, della Commissione degli ebrei marocchini all’estero e della Fondazione per l’ebraismo marocchino. La prima istituzione assicurerà la gestione degli affari della comunità e la salvaguardia del suo patrimonio culturale; la seconda consoliderà le relazioni con le comunità internazionali attraendo interessi e investimenti commerciali; la terza promuoverà la conoscenza delle comuni radici abramitiche condivise nei secoli con le altre religioni del libro. Fatto non trascurabile considerando che il Marocco, in base al rapporto pubblicato dalla BBC, assieme all’Egitto è la nazione araba con il più alto tasso di revanscismo confessionale.