La crisi di governo in Montenegro e le sue possibili implicazioni
In Montenegro, dopo il voto di sfiducia del Parlamento, si è aperta una complessa crisi di governo che potrebbe avere differenti implicazioni per il paese e la regione balcanica. L’analisi di Antonio Stango
Quando, nella notte fra il 19 e il 20 agosto, una mozione di sfiducia al governo del Montenegro è passata con 50 voti a favore sugli 81 membri del Parlamento, si è conclusa la più breve esperienza di governo nella storia del Paese, durata soltanto per 115 giorni. Infatti, il Primo Ministro Dritan Abazović del movimento civico Azione Riformista Unita (Ujedinjena Reformska Akcija / URA), alla guida di una coalizione minoritaria di 16 parlamentari, aveva potuto contare sul sostegno esterno dei 30 deputati del Partito Democratico dei Socialisti (DPS) del presidente montenegrino Milo Djukanović, già per decenni capo del governo.
Sembra così allontanarsi la prospettiva, delineata nell’aprile scorso nel programma di Abazović, di un’accelerazione delle riforme necessarie per concludere i negoziati di adesione nell’UE avviati nel 2012, in contrasto con la lentezza di cui era stato accusato il suo predecessore Zdravko Krivokapić; mentre in un prossimo governo (da formarsi con o senza il ricorso a elezioni anticipate) potrebbero riemergere tendenze filoserbe e filorusse, nonostante il Montenegro sia dal 2017 membro della NATO.
Secondo l’europarlamentare croato Tonino Picula, relatore del Parlamento Europeo sul Montenegro, l’eventuale ritorno al governo dell’alleanza “Fronte Democratico” (FD) e della coalizione “Per il futuro del Montenegro”, che era stata a sua volta sfiduciata nell’aprile scorso, potrebbe rendere più difficile il percorso del Paese verso l’UE, in particolare tenendo conto dell’avversione dell’FD all’integrazione euro-atlantica e della sua posizione divergente dalla politica estera e di sicurezza comune dell’UE rispetto al conflitto russo-ucraino.
L’attuale crisi, secondo Abazović, sarebbe stata determinata anche da pressioni su alcuni partiti politici da parte di gruppi della criminalità organizzata, operanti in particolare nel contrabbando di sigarette e nel traffico di cocaina, per contrastare la campagna anticorruzione. Tuttavia, a portare alla mozione di sfiducia è stato soprattutto il controverso “accordo fondamentale” con la Chiesa Ortodossa Serba firmato il 3 agosto: apparentemente, un tentativo di Abazović (peraltro appartenente alla minoranza albanese e di religione musulmana) di ampliare la propria base di consenso, ma che, a fronte di elogi dei partiti filoserbi, è stato definito dal DPS di Djukanović “contrario alla costituzione del Montenegro”. L’accordo, che Djukanović intende sospendere quando un nuovo governo sarà entrato in carica, riconosce senza bisogno di documentazione di prova le numerose proprietà immobiliari nel Paese della Chiesa Ortodossa Serba, spesso accusata di essere funzionale agli interessi di Belgrado e che sostiene di rappresentare il 72% dei cittadini – mentre l’autocefalia della piccola Chiesa Ortodossa Montenegrina non è riconosciuta dai patriarcati di Belgrado e di Costantinopoli.
La crisi politica potrebbe essere temporaneamente risolta con la ricostituzione della maggioranza parlamentare che aveva vinto le elezioni nell’agosto 2020, che comprenderebbe l’URA di Abazović ma in cui avrebbe un ruolo chiave il Fronte Democratico. Per quest’ultimo, il presidente della componente Nuova Democrazia Serba (Nova Srpska Demokratija – NSD) Andrija Mandić ha criticato la dichiarazione di Vladimir Bilčik, presidente (slovacco) della Delegazione del Parlamento Europeo alla Commissione di stabilizzazione e associazione UE-Montenegro, secondo cui un tale governo non avrebbe il sostegno dell’UE. Mandyć ha affermato che il Montenegro non dovrebbe accettare “interferenze negli affari interni”; tuttavia, sembra non ritenere tali le pressioni da parte di Belgrado e di Mosca.
Intanto, il 26 agosto il Ministero delle Finanze e altre istituzioni statali del Paese hanno subito un grave attacco informatico, definito “senza precedenti” e riconducibile, secondo il Ministero della Difesa e l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale, ad operatori russi. Il Ministero dell’Interno ha avviato un’indagine sull’episodio, anche avvalendosi di una squadra specializzata dell’FBI statunitense.