La crisi nel Mar Rosso, gli Houthi e la posizione dell’Arabia Saudita
L’impatto della crisi Mar Rosso sugli equilibri regionali, la missione Aspides e la strategia saudita. Il punto di vista di Giorgio Cella.
Come noto, l’Arabia Saudita ha una lunga esperienza di guerra con il gruppo di guerriglieri sciiti Houthi, avendo combattuto in un pesante conflitto contro tale milizia yemenita dal 2015. Un conflitto lungo anni che ha visto varie fasi e che, nonostante il sostegno e l’assistenza degli Stati Uniti, non si è risolto con una chiara vittoria da parte saudita. La situazione d’incertezza militare si è poi negli ultimi anni tradotta in vari tentativi (prima con le Nazioni Unite, poi con l’avvento della nuova fase di una proattiva diplomazia cinese) atti a trovare una via diplomatica che possa portare a una ricomposizione della della ferita aperta nella penisola arabica. Nonostante questi tentativi diplomatici, la situazione nello Yemen rimane comunque una problematica di sicurezza e stabilità che interessa da vicino e preoccupa Riyad. Alla luce di tali premesse, la nostra riflessione non può che spostarsi sulla situazione odierna nel Mar Rosso, un mare che vede ormai la presenza di ben due operazioni militari occidentali navali a scopo difensivo (Prosperity Guardian e Aspides, quest’ultima a guida italiana), attivate al fine di proteggere le navi commerciali occidentali dagli attacchi degli Houthi: attività di pirateria marittima intrapresa da questi ultimi come risposta alla guerra di Israele a Gaza. Una linea logico-deduttiva porterebbe a ritenere che Riyad si sarebbe in qualche modo allineata a tali iniziative occidentali di contenimento delle attività sciite, per di più in uno scenario geopolitico ove gli interessi strategici e di sicurezza del regno saudita possono senz’altro essere messi in pericolo. La realtà invece rivela una risposta diversa rispetto a ciò che logica e storia recente indicherebbe.
Il regno ha infatti sinora mostrato una manifesta posizione di neutralità rispetto a tali operazioni, dimostrando una riluttanza di fondo nello schierarsi con Washington anche in questa nuova dinamica nel Mar Rosso. Questo atteggiamento, al fine della sua comprensione, va visto sotto due prospettive distinte, ricercata in due motivazioni differenti, sebbene in concatenazione tra esse. La prima riguarda la dimensione regionale interna in due sottodimensioni. La prima: dopo i ricordati anni di coinvolgimento militare nello Yemen, Riyad ha proceduto all’apertura di tavoli negoziali con le milizie Houthi al fine di trovare un compromesso e portare a un modus vivendi con il gruppo sciita. Ciò è occorso anche sulla scia dell’azione diplomatica cinese che, lo ricordiamo, fece avvicinare nella primavera del 2023 Iran e Arabia Saudita nel tentativo di mitigare l’atavico quanto sanguinoso contrasto mediorientale tra sciiti-sunniti e di porsi come grande forza diplomatico-negoziale nell’area, il tutto implicitamente a scapito dell’influenza americana nella regione. Questa prima sottodimensione si lega a una seconda sottodimensione ossia la premura e attenzione massima del potente principe ereditario Muhammad Bin Salman nel proteggere la stabilità del regno, tenendolo fuori da qualsivoglia dinamica di rischio e concentrandosi esclusivamente sul progresso tecnologico, socioeconomico, infrastrutturale e urbanistico del Paese. La seconda motivazione è legata invece al quadro internazionale corrente di grande transizione, con un avvicinamento di Riyad ai paesi BRICS che si traduce in una sempre maggiore vicinanza a Pechino, oltre che al mantenimento di buoni rapporti bilaterali con Mosca. Come chi scrive ha già avuto modo di considerare sulle pagine di Med-Or, questo spostamento di interessi da parte del regno saudita verso quel nuovo polo mondiale di Paesi in contrapposizione all’egemonia statunitense (BRICS), non significa un allontanamento netto, una frattura o una recisione dei rapporti con Washington e con l’Occidente, ma indica tuttavia un riposizionamento strategico in corso, un non più univoco e granitico sguardo verso ovest e una presa d’atto di equilibri globali mutati o in corso di mutamento.
Dicevamo della scia degli accordi mediati tra sauditi e iraniani dalla diplomazia cinese nel 2023: tale scia sembra produrre tuttora conseguenze poiché davanti all’invito statunitense a porre un freno ai negoziati con gli Houthi, i sauditi non solo non hanno raccolto tale invito, ma hanno invece mantenuto aperto anche il canale diplomatico di dialogo con l’Iran, maggiore sponsor e alleato della milizia yemenita. La priorità è quella, come sopra già sottolineato, di mantenere il regno fuori da pericolose escalation politico-militari che possano comprometterne il suo mirabile sviluppo interno, specie in vista del raggiungimento del piano saudita di progresso, riforme e diversificazione economica che va sotto il nome di Vision 2030. Ciò è ancora più comprensibile se si tiene a mente il trauma degli attacchi Houthi del 2019 a due importanti raffinerie che dimezzarono le capacità di produzione di greggio del regno. A tutto ciò, si aggiungano altresì forme di grievances dei sauditi verso le varie critiche americane negli anni passati sulla brutalità della guerra in Yemen e più in generale sulla questione dei diritti umani.
Che risultati ha ottenuto sinora Riyad con questa nuova dottrina? Per ora parrebbe aver funzionato poiché il territorio e gli asset sauditi non sono stati presi di mira dagli attacchi Houthi. Dall’altro lato però, nessuna forma definitiva di accordo è stata tuttora trovata con i ribelli Houthi, e ciò non esclude ordunque che in futuro i guerriglieri sciiti possano riprendere iniziative ostili verso il territorio saudita. Questa evenienza, se qualcosa nel tentativo di ricomposizione diplomatica in corso dovesse andare storto, potrebbe palesarsi in modo repentino, colpendo il fragile confine tra Yemen e Arabia Saudita, nervo scoperto del regno saudita, che gli Houthi potrebbero ben essere in grado di colpire qualora lo ritengano opportuno. Attività ostili da parte degli Houthi potrebbero palesarsi altresì alla luce di cause esogene, come nel caso di un qualche tipo di riavvicinamento a Washington; con una eventuale nuova fase dei rapporti con Israele nel quadro dei sospesi Accordi di Abramo o con una eventuale ulteriore escalation regionale conseguente al conflitto a Gaza. Per ora Riyad sembrerebbe navigare a vista dunque, in un mare, quello rosso, già in grande agitazione.