La crisi tunisina che preoccupa l’Italia
L’analisi di Daniele Ruvinetti
Un nuovo modello di sviluppo che cerca di favorire il clima imprenditoriale, promuovere l’imprenditorialità e gli investimenti in settori promettenti, rafforzare l’economia sociale e solidale e consolidare il partenariato tra il settore pubblico e quello privato: così il ministro dell’Economia tunisino ha lanciato recentemente il piano di programmazione politico-economica 2023-2025, pensato per tirare fuori il Paese dalla “palude” finanziaria in cui è invischiato.
Dei 12 milioni di tunisini attualmente circa il 20% soffre condizioni socio-economiche di povertà. È questo l’ostacolo principale che il presidente Kais Saied vorrebbe superare per permettere un rilancio del Paese attraverso il miglioramento delle condizioni di vita dei suoi cittadini. Risultato che gli permetterebbe di ancorare ai successi la presa sul potere con cui ha accentrato sulla Presidenza le attività istituzionali.
Le recenti votazioni parlamentari si sono concluse con un’affluenza bassissima, segnando una tendenza al declino del consenso che Saied aveva (e in buon parte aveva tenuto nonostante l’accentramento di potere del luglio 2021). Il boicottaggio dei principali gruppi politici e movimenti di opposizione e il forte astensionismo popolare hanno amplificato la bocciatura subita in sede di elezioni - ultimo dei passaggi della road map che il presidente aveva progettato per ristabilire equilibrio e prosperità alla Tunisia.
La ragione di questa debole risposta popolare sta soprattutto nel fatto che, in oltre un anno di iperpresidenzialismo, Saied non è riuscito a invertire la rotta e a far ripartire l’economia. Ossia non ha fornito ai suoi cittadini quel miglioramento delle condizioni di vita che aveva promesso. E non sta arrivando nemmeno il via libera definitivo del Fondo monetario internazionale per un nuovo prestito di circa 2 miliardi di dollari, su cui c’è un accordo di massima raggiunto nello scorso ottobre, e su cui in questi giorni l’ambasciatore italiano, Fabrizio Saggio, ha giustamente ribadito il sostegno dell’Italia durante un incontro con la prima ministra Najla Bouden.
Il prestito dell’FMI potrebbe sbloccare altri aiuti dall’estero, con diversi Paesi del mondo arabo che sono pronti a uno sforzo per assistere Tunisi – probabilmente simile a quello visto per aiutare Il Cairo –, anche perché le dinamiche esterne che affossano il Paese - la sovrapposizione di pandemia e guerra russa in Ucraina - sono simili sebbene in differenti contesti. D’altronde, va anche detto che sebbene l’accordo con il Fondo monetario rappresenti un significativo passo avanti per il Paese, l’intesa da sola potrebbe non essere sufficiente a far uscire la Tunisia dalla sua attuale condizione.
Per evitare il default, che produrrebbe un preoccupante collasso economico sulle coste del Mediterraneo, la Tunisia dovrebbe varare una serie di riforme comprensive di misure di austerità, come il blocco degli stipendi pubblici e la privatizzazione delle aziende pubbliche più problematiche, nonché la riduzione dei sussidi alimentari. L’impoverimento conseguente a certi tagli, che dovrebbe passare anche dal deprezzamento del dinaro, potrebbe non essere ben accolto dai cittadini e dar luogo a disordini, fomentati anche dall’opposizione a Saied. Per esempio, senza l’appoggio del potente sindacato UGTT al pacchetto di riforme, sarà difficile andare avanti.
In questo contesto tutt’altro che stabile, con condizioni economiche e sociali critiche, l’aumentare delle dinamiche connesse ai flussi migratori è possibile. Ed è per tale ragione che, annunciando un prossimo viaggio a Tunisi, il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha chiesto alle autorità locali un “forte impegno” nel controllare i flussi. I dati del Viminale ci dicono che 18.148 tunisini sono entrati illegalmente in Italia nel 2022, oltre ai circa 10 mila cittadini subsahariani che hanno usato le rotte tunisine per arrivare in Italia.
La Tunisia è il Paese africano più vicino all’Italia, e questa particolare connotazione geopolitica ne definisce il chiaro interesse per il nostro Paese. Interesse che non può essere limitato alla sfera migratoria, comunque, anche perché basta pensare il valore strategico che il territorio tunisino ha per la sicurezza energetica italiana, ospitando il gasdotto “Enrico Mattei” che porta il gas algerino verso la Penisola.