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La Giordania: paese strategico e mediatore regionale nel Vicino Oriente

Nonostante le difficoltà causate dalla pandemia, re Abdullah II sta dimostrando tutte le sue qualità diplomatiche. Le rinnovate, buone relazioni con gli Stati Uniti, e quelle con alcuni attori statali della regione, possono far diventare la Giordania un mediatore sempre più importante nella regione MENA.

Il 3 ottobre di quest’anno, re Abdullah II di Giordania ha ricevuto una telefonata dal presidente Bashar al-Assad, la prima da dieci anni. La chiamata è giunta qualche giorno dopo che il regno aveva completamente riaperto il confine con la Siria ed è di fatto servita a riallacciare i legami con Damasco, interrotti durante gli anni di guerra. Lo scopo, nelle parole di Maha Ali, ministro Giordano dell’industria e del commercio, “è quello di rivitalizzare il commercio tra i due Paesi per rispondere agli interessi di entrambe le parti”. Funzionari giordani hanno anche affermato che presto si terrà una discussione sulla sospensione delle barriere tariffarie.

Amman non è la sola a lavorare per quella che viene definita la “riabilitazione diplomatica” della Siria, fortemente appoggiata da altri Paesi arabi, e di cui si è visto un segnale anche per la soluzione della crisi energetica in Libano, i cui rifornimenti di petrolio e di gas stranieri sono passati proprio per quel Paese.

L’importanza della Giordania nelle questioni geopolitiche dell’area è fondamentale. Pur essendo un Paese di piccole dimensioni e carente di risorse, la sua posizione geografia, al centro del Levante, la rende un tassello insostituibile nella complessa scacchiera mediorientale e un interlocutore autorevole non solo per i Paesi del Golfo, per gli Stati Uniti e per l’Unione Europea, ma anche per altri attori della regione.

La rilevanza giordana è molteplice. Il regno hashemita è storicamente il custode dei luoghi santi musulmani (e cristiani) di Gerusalemme, il che lo rende una fonte importante di legittimità nel mondo islamico. Modello di islam moderato, ha sempre dimostrato il rispetto della diversità etnica e religiosa, sia a livello interno che esterno. In questa prospettiva, nel 2004 re Abdallah II ha lanciato il cosiddetto “Messaggio di Amman”, a cui hanno aderito i rappresentanti dell’islam di oltre 50 Paesi e destinato anche al mondo occidentale, il cui obiettivo è diffondere la distinzione tra la vera fede musulmana e l’ideologia dell’islamismo radicale.
Dall’attacco qaedista agli USA del 2001, la Giordania partecipa alla lotta contro il terrorismo ed è uno dei Paesi leader nella Coalizione internazionale anti-ISIS.

Il regno è anche, storicamente, il difensore dei diritti palestinesi e un mediatore nei momenti di crisi tra lo Stato ebraico e la controparte. Fermo sostenitore della “soluzione dei due Stati”, è stato il secondo Paese arabo, dopo l’Egitto, a firmare la pace con Israele, dimostrando, prima degli Accordi di Abramo, che le relazioni tra i Paesi arabi e Tel Aviv sono possibili e vantaggiose.

I rapporti tra la Giordania e Israele si erano deteriorati durante i lunghi anni della premiership di Netanyahu. La nomina di Naftali Bennet a primo ministro, però, ha aperto un nuovo capitolo e, anzi, i due Paesi hanno mostrato la volontà di lavorare di nuovo in piena cooperazione. Il 12 ottobre è stato firmato un accordo con il quale Israele si impegna a vendere alla Giordania 50 milioni di m3 d’acqua, il doppio della fornitura attuale.

Secondo l’UNICEF, la Giordania è “il secondo Paese con la maggior scarsità d’acqua al mondo. Le fonti d’acqua rinnovabili del Paese sono meno di 100 m3 a persona, molto al di sotto della soglia di 500 m3 a persona, che segnala una grave scarsità d’acqua”.

Nel 2019, durante la crisi tra Qatar, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti ed Egitto, la Giordania ha ristabilito le relazioni diplomatiche con Doha, anche se il “Quartetto Arabo” non ne aveva alcuna. Vari commentatori hanno suggerito che questa mossa fosse stata intesa dalla Giordania “come azione per fare da ago della bilancia tra le potenze in competizione nella regione” e che il Paese abbia cercato la riconciliazione con Doha, e anche con Ankara, per agire in favore della questione palestinese.

Amman è anche riuscita a mantenere buoni rapporti con l’EAU e l’Egitto, oltre a quelli con la Turchia. Certamente, la visione geopolitica di Abu Dhabi, del Cairo e di Ankara sono molto diverse, eppure i tre Paesi hanno ripreso un dialogo diretto. Secondo esperti politici e diplomatici del mondo arabo, “l’equilibrio regionale che la Giordania è riuscita a mantenere può essere un fattore importante per trasformare il regno in un mediatore tra tutte le parti, senza comprometterne nessuna”.

La Giordania è stata gravemente colpita dal Covid-19 che, comunque, è riuscita a gestire meglio dei Paesi vicini. La pandemia ha acutizzato i problemi economici che il regno aveva, causati dalla perdurante situazione siriana. Il Paese ospita già 2,2 milioni di palestinesi registrati con l’UNRWA, la maggior parte dei quali ha nazionalità giordana e gode di piena inclusione nella vita economica e sociale. Oltre ad essi, risiedono oggi nel Paese circa 1,3 milioni di profughi siriani, il 13% della popolazione totale (10,2 milioni), che costano al governo circa $ 1,4 milioni all’anno. L’UNHCR considera la Giordania un “Paese ospite esemplare” e sottolinea che ha incluso i profughi nel suo programma di vaccinazione anti-Covid, dimostrando così una “leadership globale nell’ospitalità ai rifugiati”.

Considerando il ruolo prezioso della Giordania nello scenario geopolitico, la visita di re Abdullah a Washington in luglio è stata altamente simbolica. Durante l’era Trump, gli Stati Uniti hanno fatto più affidamento sull’Arabia Saudita, viste le comuni preoccupazioni in merito all’Iran, relegando la Giordania sullo sfondo. Biden ha dato un chiaro segno della volontà di ristabilire lo storico rapporto con la Giordania invitandone il re per primo tra i leader arabi. Abdullah, negli ultimi anni, ha operato per creare un’alleanza regionale tra il proprio Paese, l’Egitto e l’Iraq, tutti alleati degli USA, e si sono tenuti quattro incontri tra il 2019 e il 2020. Inoltre, la cosiddetta “riabilitazione della Siria”, fortemente appoggiata dal mondo arabo e dalla stessa Giordania, è stato uno degli argomenti discussi con il presidente Biden. Durante la visita a Washington, il punto di vista Giordano sull’attuale situazione era il primo della lista, ma, come sottolineano alcuni analisti, il discuteva anche delle preoccupazioni dei suoi alleati arabi.
Secondo il comunicato rilasciato dalla Casa Bianca dopo la visita, il presidente Biden “ha lodato l’importante ruolo che la Giordania gioca nella stabilità più ampia della regione”.

In una regione così instabile, è particolarmente difficile fare previsioni geopolitiche. Comunque, i rinnovati rapporti con gli Stati Uniti, lo sforzo per ristabilire quelli con Israele, anche se la questione palestinese rimane irrisolta, e l’abilità diplomatica del suo sovrano possono essere una risorsa sia per la Giordania, sia per i paesi limitrofi.

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