La Guerra in Sudan a un punto di svolta?
Le Forze Regolari avanzano nella capitale, mentre i paramilitari ripiegano nel Darfur. Intanto la Russia potrebbe avere il suo porto sul Mar Rosso. Il punto di vista di Luciano Pollichieni
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Durante il mese di gennaio le forze regolari sudanesi (SAF) hanno conquistato lo stato del Gezira, entrando nella capitale Wad Madani, e sono avanzate all’interno di Khartoum. Queste vittorie rappresentano ad oggi i momenti culminanti della “offensiva generale” lanciata dal capo delle SAF, il generale Abdel Fattah al-Burhan, all’inizio del 2024.
Nello specifico, la conquista di Wad Madani ha un valore duplice. Garantisce ai regolari la possibilità di prendere il controllo di una delle regioni chiave del paese e pone fine alle velleità delle Rapid Support Forces (RSF) del generale Hemedti di sfondare la linea del fronte e prendere la via del Mar Rosso. La conquista del Gezira ha garantito alle SAF la possibilità di far converge nuove forze verso il fronte di Khartoum, la cui conquista rappresenta l’obiettivo principale dell’offensiva dei regolari. In aggiunta, la conquista del Gezira permette ai regolari di controllare circa il 70% del corso dei fiumi, garantendo alle SAF la possibilità di capitalizzare sul controllo delle risorse idriche. Le vittorie delle SAF sono il frutto della strategia adottata da Al-Burhan nell’ultimo anno, basata su quattro elementi fondamentali. Il primo è quello dell’alleanza tra le SAF e agli altri gruppi armati del paese – uno su tutti la fazione del Sudan People’s Liberation Movement - North (SPLM-N) guidata da Malik Agar, storico leader ribelle, diventato vicepresidente del governo delle SAF. Il secondo è quello dell’apertura ai comandanti “pentiti” delle RSF. Nella conquista del Gezira ha giocato un ruolo fondamentale l’ex alto ufficiale dei paramilitari, Abuagla Keikal, che ad ottobre dello scorso anno ha deciso di allearsi con i regolari. Keikal e i suoi uomini sono stati in prima linea nella conquista di Wad Madani e adesso potrebbero giocare un ruolo di primo piano nell’offensiva verso i confini sudoccidentali della capitale. Terzo elemento: il sostegno internazionale. Mentre le diplomazie regionali e non intrattenevano rapporti ambigui con entrambe le parti in conflitto, il presidente sudanese è riuscito ad ottenere il supporto di Russia ed Iran aprendo due linee per la fornitura di armamenti con cui sostenere l’offensiva. La Russia avrebbe fornito carri T-72, diversi caccia SU-20 e SU-25 (respingendo la richiesta delle SAF dei SU-30, attualmente impegnati in maniera consistente nel conflitto in Ucraina). L’Iran invece, ha fornito un buon numero di droni Mohajer-6, oltre ad aver supportato le SAF nella fabbricazione di una versione fatta in loco dei Zajil-3, UAV a tecnologia iraniana assemblati in Sudan. Tra i sostenitori delle SAF si è distinta pure l’Eritrea, che dai primi mesi del conflitto ha addestrato una parte degli effettivi delle forze regolari oggi impiegate nelle operazioni.
Messi sotto pressione dall’avanzata dei regolari, gli uomini del generale Hemedti hanno deciso di ripiegare verso il Darfur – regione in cui ha avuto origine la milizia –, dove nell’ultimo anno è ripresa la pulizia etnica. Le RSF hanno lanciato, inoltre, una nuova offensiva (la quarta dallo scoppio della guerra) verso la capitale dello stato del Nord Darfur, El-Fasher, senza risultati. Senza accesso a cibo e medicinali e con scarse possibilità di approvvigionamento di armamenti, la capitale del Darfur potrebbe non resistere in caso di un dispiegamento massiccio delle RSF nella regione. Gli ultimi sviluppi del conflitto permettono di tracciare un quadro più preciso delle intenzioni a breve termine dei due contendenti.
Stallo sudanese
Dopo le ultime vittorie dei regolari, la guerra sembra avviata verso una fase di stallo sostanziale. Le RSF non potranno prendere Khartoum, ma i regolari non sembrano in grado di sfondare nel Darfur. Questo scenario spiega anche il comportamento delle parti sul campo e la scelta degli obiettivi di breve e medio termine da parte dei belligeranti. Al-Burhan ha spinto per la riconquista in tempi rapidi della capitale nel timore di perdere la legittimità internazionale per il proprio governo, a causa anche di alcune iniziative delle RSF, che hanno incontrato diversi leader regionali e avviato una serie di incontri con la coalizione dei partiti civili “Taqaddum” per discutere del futuro processo di transizione. La necessità di conquistare la capitale per garantire la propria sopravvivenza politica (oltre che fisica) ha favorito l’apertura a Russia e Iran.
Dal lato opposto, dopo una prima offensiva fulminante durante i sei mesi iniziali del conflitto, i paramilitari di Hemedti hanno cominciato a mal sopportare l’attrito della guerra, specialmente dopo che le SAF sono riusciti a bloccare l’offensiva nella regione del Sennar prima e nello stato del Nilo Azzurro poi. Lo stallo dei primi mesi del 2024 ha messo in luce tutti i limiti della macchina bellica dei paramilitari. Le caratteristiche tattiche delle RSF, che combattono con una scarsa copertura aerea e poche blindature, hanno garantito una serie di vantaggi ai regolari, che grazie al supporto di Mosca e Teheran hanno potuto far valere la loro superiorità aerea sugli uomini di Hemedti. Considerando anche la diseguaglianza delle forze sul campo sul piano numerico non sorprende che le RSF abbiano deciso di diminuire il numero degli effettivi impegnati sul fronte di Khartoum per dislocarli nel Dafur. La ragione strategica di questa mossa risiede anche nel disegno di Hemedti di consolidare il proprio dominio nella regione per creare un governo parallelo, come dimostrano altre iniziative intraprese dalle RSF, come la ripresa della pulizia etnica nel Darfur che è funzionale a creare una base omogenea a supporto del nuovo governo. Infine, le RSF hanno nuovamente aperto alla creazione di un governo in esilio presso i partiti civili, trovando alcuni consensi tra le parti.
Teheran, Mosca, il Taqaddum e lo scenario libico
Considerando i limiti tattici di entrambi i belligeranti e la frammentazione delle opposizioni civili, lo scenario che si va delineando appare molto simile al contesto libico, con la creazione di due governi paralleli che amministrano territori separati.
Sul piano interno, l’ipotesi della creazione di questo scenario è suffragata dalla frammentazione della coalizione dei partiti civili, guidata dal deposto primo ministro Abdullah Hamdok, il movimento Taqaddum. Durante una riunione tenutasi ad Addis Abeba lo scorso mese, alcuni esponenti della coalizione hanno aperto alla possibilità della formazione di un “governo in esilio” con i paramilitari, decretando de facto la fine del movimento, ufficializzata pochi giorni dopo. Dalle rovine del Taqaddum è emerso da una parte il movimento Sumoud, guidato da Hamdok ostile a qualsiasi forma di riconoscimento della leadership di entrambi i belligeranti, dall’altra un movimento guidato dall’ex portavoce del Taqaddum, al-Hadi Idris, che si sta preparando a firmare a Nairobi una carta politica con le RSF per dar vita a un “governo in esilio” guidato dai paramilitari. Anche le SAF si stanno muovendo in tal senso, proponendo un nuovo programma di transizione che prevede la formazione di un governo tecnico formato da civili che dovrà condurre il paese a nuove elezioni.
Nel frattempo, Mosca e Teheran puntano a trarre quanto più giovamento possibile dai successi di Al-Burhan e delle SAF. Grazie al supporto garantito alle SAF, l’Iran punta a raggiungere almeno due obiettivi. Il primo, di tipo più diplomatico, è quello di rompere l’isolamento sostanziale in cui il regime si è venuto a trovare dopo l’inasprimento del conflitto con Israele. Il governo di Khartoum prima della guerra si era dimostrato possibilista in merito al riconoscimento dello Stato Ebraico così come a un’adesione ai cosiddetti Accordi di Abramo, eventualità che sembra adesso meno probabile visto l’aiuto sostanziale ricevuto da Teheran. Il secondo, strettamente geopolitico è quello di allargare la propria sfera d’influenza anche al versante africano del Mar Rosso. Potendo già contare sul supporto degli Houthi sul versante arabo, Teheran spera di poter esercitare pressione da entrambe le coste lungo la direttrice di Bab-El-Mandeb. Obiettivo di rilevanza non trascurabile, soprattutto considerando che Teheran necessita di trovare nuove sfere di influenza dopo il sostanziale collasso del cosiddetto “asse della resistenza”.
La Russia invece sarà il maggior beneficiario a livello geopolitico del conflitto in corso. Grazie al supporto garantito all’offensiva delle SAF Mosca è ormai prossima ad ottenere il via libera per la costruzione di una propria base navale sul Mar Rosso. Il 13 febbraio il ministro degli Esteri delle SAF, Ali Youssef, è volato a Mosca per incontrare l’omologo russo Lavrov con cui ha discusso del progetto di costruzione di un porto russo nell’area di Port Sudan. Il ministro sudanese è stato netto in merito all’esito dei colloqui: “Ci siamo accordati su tutto” è quanto dichiarato da Youssef, che ha assicurato come l’intesa vada ormai solo ratificata dalle parti. Così, dopo trattative durate sei anni con tre diversi governi, la Russia è pronta ad ottenere il proprio avamposto lungo la direttrice del Canale di Suez, da cui transita quasi il 12% del commercio marittimo mondiale. Un nuovo strumento di pressione che il Cremlino non mancherà di usare contro i suoi rivali. Partendo dagli stati europei.