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La minaccia russa e la sicurezza europea

La guerra in Ucraina, in corso dal febbraio 2022, ha rappresentato uno spartiacque non solo per l’ordine di sicurezza europeo, ma per l’intera architettura strategica globale. Quali prospettive per la sicurezza europea? Il punto di vista di Daniele Ruvinetti

La guerra in Ucraina, in corso dal febbraio 2022, ha rappresentato uno spartiacque non solo per l’ordine di sicurezza europeo, ma per l’intera architettura strategica globale. È legittimo e auspicabile che la comunità internazionale – e in particolare Stati Uniti ed Europa – lavori con determinazione alla costruzione di una pace giusta e duratura. Una pace che non si basi sulla resa dell’aggredito, ma su un equilibrio che possa garantire la sovranità dell’Ucraina, la stabilità della regione e la sicurezza collettiva. La ricerca di una soluzione politica al conflitto non solo è necessaria, ma rappresenta anche un interesse diretto per l’Unione Europea, che ha subìto in modo diretto e profondo gli effetti sistemici della guerra.

Infatti, il conflitto non ha colpito solo il piano militare. Al contrario, ha scompaginato una serie di equilibri attorno a dimensioni fondamentali della sicurezza europea ed euro-mediterranea. La prima e più evidente è quella energetica: la dipendenza europea dal gas russo, già politicamente problematica, si è trasformata in una vulnerabilità strategica. La necessità di diversificare rapidamente le fonti ha avuto un impatto profondo sulle scelte economiche e diplomatiche di molti stati membri, imponendo un ridisegno delle rotte e delle alleanze energetiche.

Accanto alla sicurezza energetica, la guerra ha destabilizzato anche il sistema della sicurezza alimentare. L’interruzione delle esportazioni agricole ucraine, unita all’uso strumentale delle derrate come leva geopolitica da parte della Russia, ha contribuito a una crescita dei prezzi delle materie prime alimentari a livello globale, colpendo in particolare i paesi più fragili dell’Africa e del Medio Oriente. Si è così aperto un fronte di insicurezza alimentare che ha riverberi anche sull’Europa, sia in termini economici che di pressione migratoria.

Un’altra dimensione colpita è quella della sicurezza marittima. Le operazioni belliche nel Mar Nero, l’occupazione dei porti e la minaccia permanente alla libertà di navigazione in quell’area hanno reso evidente quanto le rotte marittime, anche lontane dai confini europei più stretti, siano cruciali per la sicurezza collettiva e per la tenuta dei flussi commerciali. La guerra ha riportato l’attenzione su una verità spesso trascurata: i mari non sono solo spazi economici, ma anche teatri geopolitici.

Infine, la guerra ha esposto – o accelerato – fragilità nella sicurezza infrastrutturale del continente. I collegamenti energetici, logistici e digitali che uniscono l’Europa internamente e con il resto del mondo sono diventati bersagli potenziali di attività ostili, fisiche o ibride. Dalle pipeline alle reti ferroviarie, dai cavi sottomarini alle piattaforme satellitari, la protezione delle infrastrutture critiche è divenuta una priorità strategica, non più differibile.

In questo quadro, è evidente che una eventuale tregua o anche un accordo di pace – pur desiderabile – non basterebbe, di per sé, a rimuovere la molteplicità di vulnerabilità che la guerra ha evidenziato o creato. Anzi, proprio queste dimensioni – energetica, alimentare, marittima, infrastrutturale – potrebbero restare al centro delle attenzioni strategiche della Russia, in una logica di pressione permanente sull’Europa. Allo stesso modo, vi sono già ora alcune aree geografiche dove si manifesta o potrebbe intensificarsi la proiezione aggressiva russa.

Se è vero che la guerra in Ucraina ha agito da detonatore di nuove insicurezze, è altrettanto vero che le ambizioni strategiche della Federazione Russa non si esauriscono in quel teatro. La postura assunta da Mosca negli ultimi anni, e intensificata dopo l’invasione del 2022, risponde a una logica revisionista e opportunistica: il tentativo di indebolire l’ordine internazionale esistente, erodere l’influenza dell’Occidente e ampliare le proprie sfere d’influenza agendo là dove percepisce vuoti di potere o vulnerabilità strutturali.

In questo senso, alcune aree geografiche si configurano come spazi particolarmente esposti a interferenze, infiltrazioni o vere e proprie manovre aggressive da parte russa. L’interesse crescente di Mosca verso il continente africano ne è un esempio evidente. In Nord Africa e nel Sahel, la presenza russa si è consolidata attraverso una combinazione di strumenti militari, economici e informativi. Gruppi paramilitari e contractor – formalmente privati, ma legati all’apparato statale – hanno operato come protesi della strategia del Cremlino, favorendo governi autoritari, destabilizzando regimi democratici fragili e alimentando un clima di dipendenza funzionale dalla Russia.

Un caso particolarmente rilevante è poi quello del Corno d’Africa. La Russia ha intensificato negli ultimi anni il suo impegno diplomatico e militare nella regione, con l’obiettivo dichiarato di costruire una base navale a Port Sudan, sul Mar Rosso. Un’infrastruttura di questo tipo, se realizzata, conferirebbe a Mosca un punto d’appoggio strategico nel cuore del sistema marittimo globale, rafforzando la sua capacità di proiezione militare e logistica lungo le rotte tra Europa, Medio Oriente e Asia.

Parallelamente, la Russia ha avviato una strategia di avvicinamento a paesi chiave del Sud globale, come il Sudafrica. In questo contesto, Mosca promuove una narrativa anti-occidentale volta a costruire consensi alternativi, spesso facendo leva su argomenti coloniali, sulla critica al “doppio standard” occidentale e su offerte di cooperazione militare ed energetica a basso costo politico. Questo corteggiamento rappresenta una sfida diretta all’Europa, che rischia di veder diminuire la propria influenza in spazi un tempo ritenuti periferici, ma oggi centrali nelle competizioni globali.

Al di fuori del continente africano, altre regioni sono già oggi teatro di tensioni crescenti legate all’attivismo russo. Nei Balcani occidentali, Mosca mantiene legami consolidati con attori locali ostili all’integrazione euro-atlantica, sfruttando divisioni etniche e debolezze istituzionali. In Asia centrale, la Russia cerca di contenere la crescente influenza cinese mantenendo il suo ruolo di potenza garante dell’ordine regionale, anche attraverso operazioni militari limitate o accordi di sicurezza bilaterali.

In Europa orientale, infine, la guerra ibrida russa continua a manifestarsi attraverso disinformazione, sabotaggi, attacchi informatici e operazioni di destabilizzazione politica in paesi come Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Moldavia e Georgia. Si tratta di un’offensiva asimmetrica e permanente, che mira a minare la coesione interna dell’Unione Europea e a scoraggiare ogni futuro allargamento.

A queste tensioni si aggiungono, infine, i segnali di crescente militarizzazione e competizione strategica in spazi apparentemente remoti, ma sempre più rilevanti: il Baltico, l’Artico, il Mare del Nord. Anche in questi teatri, la Russia ha dimostrato la volontà di consolidare la propria presenza militare, rafforzare le infrastrutture dual-use e mettere in discussione i presupposti della libertà di navigazione.

Per tutte queste ragioni, è fondamentale che l’Europa non consideri la fine del conflitto in Ucraina come un punto di arrivo, ma come una fase di transizione che richiede una nuova postura strategica. Non si tratta solo di sostenere l’Ucraina nel processo di ricostruzione, ma di affermare un ruolo attivo nel ridisegno delle architetture di sicurezza regionali, nel rafforzamento della resilienza interna e nella protezione degli interessi vitali dell’Unione e dei suoi partner mediterranei e globali.

La pace giusta e duratura che auspichiamo non potrà essere tale se non si accompagna a una vigilanza consapevole sulle dinamiche post-conflitto. Solo un’Europa protagonista, coerente e strategicamente unita potrà garantire che la tregua non si trasformi in illusione, e che la sicurezza non sia più una variabile dipendente dalla volontà aggressiva altrui. È evidente che gli Usa abbiano avviato una rimodulazione delle relazioni con Mosca, un nuovo approccio verso la normalizzazione di cui occorre tenere conto nel ridisegnare il perimetro della sicurezza europea — perché non è detto che nonostante il nuovo rapporto con Washington, la Russia sia meno aggressiva nel perseguire i suoi interessi in competizione con l’Europa.