La nascita del Bangladesh, cinquanta anni dopo
Cinquanta anni fa, nel dicembre del 1971, con la fine della guerra indo-pakistana, nasceva lo Stato del Bangladesh. Il racconto di Guido Bolaffi
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Cinquant’ anni fa a Dacca, per l’esattezza alle ore 16 del 16 dicembre 1971, con la resa dell’esercito pakistano firmata dal generale Niazi, comandante in capo dell’esercito di Islamabad, finiva la terza guerra indo-pakistana e nasceva il Bangladesh. Una ricorrenza celebrata con tutti gli onori del caso anche nei luoghi più sperduti del Bangladesh. Che oltre a festeggiare il felice mezzo secolo di vita di quella che Time aveva definito una nazione “born of a bloody war”; è stata anche l’occasione di un fraterno riconoscimento all’India per il decisivo aiuto prestato nella guerra di liberazione del paese dal gioco pakistano, suggellato dalla visita nella capitale bangladese del Capo dello Stato indiano Ram Nath Kovind.
Storicamente, quando nel 1947 l’ex colonia britannica fu divisa tra India e Pakistan, il territorio dell’odierno Bangladesh, separato da quello occidentale da circa 1800 km di territorio indiano, venne assegnato al secondo con il nome di Pakistan orientale. Con il risultato, però, che essendo la capitale, le istituzioni di governo e le principali attività economiche del Pakistan concentrate nella zona occidentale del paese, quella orientale bengalese, nonostante avesse una popolazione più numerosa, fu oggetto negli anni di una pesante penalizzazione economica (la gran parte della spesa pubblica era appannaggio di quella occidentale) e politica. Basti ricordare, al riguardo, che nei ranghi delle forze armate pakistane i bangladesi non superavano il 5 per cento. E che, nonostante le grandi, storiche differenze culturali, il governo centrale aveva adottato l’Urdu come lingua ufficiale nonostante nella regione orientale la popolazione parlasse prevalentemente Bengali.
Una situazione di tensione esplose quando la Awami League nelle elezioni del 1970 si impose come partito unico e dominante della popolazione bengalese, E, raggiunta la maggioranza dei seggi parlamentari, si trovò la strada sbarrata dal rifiuto dell’establishment politico pakistano di riconoscere il suo diritto a governare. Cosa che dette luogo a violente manifestazioni di protesta che il governo centrale decise di reprimere con l’operazione militare denominata Searchlight, formalmente giustificata con la necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza ad Oriente, ma in realtà finalizzata alla repressione delle rivendicazioni bengalesi. Tanto è vero che l’esercito, oltre a soffocare le proteste, colpì duramente la popolazione. Nel marzo 1971, dopo mesi di sanguinosa guerriglia, con la dichiarazione di secessione dal Pakistan iniziò quella che, grazie all’intervento armato dell’India, sarebbe diventata la guerra di indipendenza del Bangladesh dal Pakistan.
Queste per grandi linee le tappe dell’evento storico, dei cui risvolti più ignoti oggi siamo venuti a conoscenza, grazie alla testimonianza di Chandrashekhar Dasgupta, allora giovane diplomatico indiano distaccato a Dacca. Che proprio in occasione dei cinquant’anni della nascita del Bangladesh ha pubblicato il libro “India and the Bangladesh Liberation War: The Definitive Story”, nel quale racconta quanto segue: “It was not until March end-early April in 1971 that the Indian government decided to intervene in the liberation struggle to bring it to an early conclusion […] But India knew that immediate military intervention would be counterproductive. So the first task of the foreign ministry was to promote international sympathy and support for Bangladesh […] The second task was to explain to the international community that the problem in East Bengal was not simply an internal problem of Pakistan — that by driving out millions of refugees into India, Pakistan was exporting a domestic problem to India. And, this threatened to destabilise the political situation in the neighbouring states […] Third, we had to ensure uninterrupted and timely supply of military equipment. […] For this, we turned to the Soviet Union. We had to take diplomatic measures to deter possible Chinese intervention and the Soviet Union Treaty achieved this purpose. We also had to ensure the UN Security Council veto did not halt operations before a decisive conclusion could be reached […] It was not until November 30 that New Delhi received the final assurance of the Soviet support in the UN Security Council, and an understanding that the objective was the emergence of an independent Bangladesh”.
Per il Pakistan il vero rospo da ingoiare, alla conclusione della terza guerra con l’India, forse più della perdita della sua regione orientale, fu quello della superiorità non solo militare, ma politico-diplomatica del suo eterno avversario. Da allora, ha scritto su Politeja Agnieszka Kuszewska nell’articolo Difficult Neighbourhood: The Key Objectives of Pakistan’s Foreign Policy Towards India In The Twenty-First Century: “ Pakistani political/military leaders look upon India as its major security challenge […] his sense of fear was fueled by the catastrophist mindset, claiming that India has always regarded partition of the subcontinent as a historic aberration and its main goal was to undo the partition or at least to subjugate Pakistan into a client-state”.