La nuova politica estera israeliana, gli accordi di Abramo e i rapporti con gli USA
Il nuovo governo israeliano in carica sembra voler affermare una nuova strategia di politica estera, sfruttando i vantaggi offerti dagli Accordi di Abramo, rilanciando le relazioni con alcuni paesi vicini, mantenendo stabile anche il rapporto con gli USA.
Nel 1979, dopo decenni di guerra, Israele ed Egitto hanno firmato un trattato di pace che non solo ha segnato un punto di svolta per la stabilità e la sicurezza della regione, ma ha aperto la strada “al supporto finanziario e militare degli Stati Uniti per la pace tra Israele e i suoi vicini arabi”[1]. I rapporti tra i due ex-nemici, tuttavia, sono sempre stati considerati un po’ come una “pace fredda”[2] e gli incontri tra politici di alto livello, sempre avvenuti, non sono mai stati pubblicizzati.
L’incontro avvenuto dello scorso 13 settembre tra il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi e il primo ministro israeliano Naftali Bennet potrebbe segnare senza dubbio un cambiamento. L’incontro è stato descritto come particolarmente cordiale, anche se le fonti israeliane e arabe ne hanno dato un’interpretazione diversa: un segno di supporto ad Israele da una parte[3]; un indizio di quanto l’Egitto sia ansioso di dimostrare i rinnovati legami con lo Stato ebraico, dall’altra[4].
Probabilmente la verità sta nel mezzo. L’invito da parte egiziana riflette la legittimità che il mondo arabo sta assicurando a Bennet, dopo gli Accordi di Abramo, anche se leader di un partito israeliano di destra e oppositore della soluzione dei due stati. Allo stesso tempo, però, l’Egitto cerca nello Stato ebraico una sponda con gli Stati Uniti, dal momento che l’amministrazione Biden ha mostrato un certo disagio dovuto alla violazione dei diritti umani da parte del Cairo e ha deciso di trattenere 130 milioni di dollari degli aiuti militari annuali finché non verranno mossi passi concreti per risolvere la questione.
Israele ed Egitto sono i due maggiori riceventi degli aiuti militari statunitensi, dal momento che il citato trattato di pace del 1979 è stato fortemente voluto dagli USA, che si sono impegnati a mantenerlo armando entrambi i paesi. Tuttavia, dal 2012, il Congresso ha stabilito che prima di procedere agli stanziamenti per l’Egitto, il Segretario di Stato deve certificare che il Paese osserva le clausole del trattato. Una situazione che, in qualche modo, tiene l’Egitto costantemente sotto la lente d’ingrandimento americana. Quest’anno, tuttavia, anche il finanziamento per Israele ha ricevuto aspre critiche da alcuni politici del partito democratico statunitense, tra cui il senatore Bernie Sanders e la rappresentante alla Camera Alexandra Ocasio-Cortez. Il dibattito sul finanziamento si è svolto proprio durante gli scontri verificatisi in maggio in Israele e che hanno visto coinvolti, per la prima volta, anche cittadini israeliani di origine araba. In seguito a tali scontri, si è riacceso il conflitto con Hamas che ha avuto fine grazie ad un coprifuoco mediato dall’Egitto.
Durante l’incontro di Sharm el-Sheik, i due politici hanno discusso di come migliorare le relazioni bilaterali in vari campi, tra cui quello della cooperazione economica e civile, e degli ultimi avvenimenti regionali, tra cui quelli relativi alla causa palestinese. Bennet ha sottolineato l’importanza del ruolo egiziano nella risoluzione della crisi di maggio e al-Sisi ha affermato che l’Egitto è sempre impegnato nella ricerca di pace, stabilità e sviluppo, e che intende evitare qualunque forma di conflitto.
Tuttavia, considerata la natura dell’esecutivo israeliano - composto da partiti che vanno dalla destra più conservatrice alla sinistra più progressista, più un partito arabo - è difficile prevedere mosse particolarmente significative nella questione palestinese. Prima del suo incontro con Biden lo scorso agosto, Bennet ha chiaramente affermato che la composizione del governo non permette né di annettere il West Bank, né di creare uno stato palestinese. “Qualunque mossa drastica in una direzione o nell’altra, per ora, è fuori questione”[5]. Gli analisti notano che, con molta probabilità, il governo israeliano si concentrerà sulla gestione pragmatica dell’economia e della sicurezza e non su iniziative politiche controverse[6].
Bennet dovrà comunque preoccuparsi anche di ristabilire rapporti più cordiali con gli Stati Uniti e, in particolare, con il partito democratico e l’attuale amministrazione. Dopo decenni di appoggio bipartisan allo Stato ebraico, infatti, il lungo governo di Netanyahu, che ha spesso cercato platealmente l’appoggio dei repubblicani, ha sottoposto a stress il legame con i democratici. La situazione verificatasi durante il conflitto con Gaza potrebbe preludere ad un ulteriore peggioramento.
Il nuovo premier, inoltre, non ha mutato l’ormai storica opposizione israeliana al Jcpoa, aumentata dalla preoccupazione del rientro degli USA negli accordi. Bennet, contrario al rientro statunitense, nella visita negli Stati Uniti dello scorso agosto ha comunque dichiarato di essersi trovato d’accordo con il presidente Biden sulla “necessità di una collaborazione strategica per arrestare la corsa al nucleare dell’Iran”[7]. Sarà interessante vedere come i tre nuovi statisti, l’americano Biden, l’israeliano Bennet e l’iraniano Raisi, affronteranno la questione alla ripresa dei negoziati.
[1] Congressional Research Service, “Egypt: Background and U.S. Relations”, https://sgp.fas.org/crs/mideast/RL33003.pdf
[2] https://www.al-monitor.com/originals/2021/09/sisi-bennett-meeting-opens-new-chapter-israel-egypt-ties#ixzz78hjVODAG
[3] https://www.al-monitor.com/originals/2021/09/sisi-bennett-meeting-opens-new-chapter-israel-egypt-ties#ixzz78hjVODAG
[4] Exuding warmth, Egypt's Sissi hosts PM for talks, in first such visit in decade | The Times of Israel
[5] https://www.timesofisrael.com/...
[6] Congressional Research Service, “Israel: Background and US Relations in Brief”, https://sgp.fas.org/crs/mideast/R44245.pdf
[7] https://moked.it/blog/2021/08/29/bennett-lascia-washington-iran-e-nucleare-con-gli-usa-una-collaborazione-strategica/