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La prudenza strategica di Russia e Cina nel Sahara occidentale

Russia e Cina scelgono la via della prudenza strategica nel conflitto tra Marocco e Algeria e nelle relazioni con i due paesi nordafricani. L’analisi di Alessandro Giuli

A dispetto del vento di guerra che incendia l’Europa dell’Est in seguito all’invasione dell’Ucraina, l’alleanza asimmetrica tra Russia e Cina si proietta sul quadrante nord-africano all’insegna di una prudenza strategica che ruota intorno al clivage non meno incandescente rappresentato dal “conflitto” freddo tra Marocco e Algeria. Malgrado la storica partnership militare ed economica con Algeri, Mosca sta lanciando diversi segnali distensivi verso Rabat. Il Marocco non fa parte degli Stati filo-atlantici indicati da Vladimir Putin come ostili e per tale ragione è destinato a ricevere ancora le derrate di grano annualmente importate dalla Russia (l’11% del proprio fabbisogno, aggravato quest’anno da un calo della produzione interna del 50 per cento dovuto alla perdurante siccità). Ma c’è un altro elemento degno di nota: nel corso di un recentissimo turnover diplomatico andato in scena nei giorni scorsi, l’ambasciatore di Mosca in Marocco, Valerian Shuvaev, è stato sostituito dal collega di stanza in Mauritania (Vladimir Baybakov) per prendere la via di Algeri. Qui sostituirà Igor Belyaev, noto come un deciso sostenitore della politica algerina di appoggio alla causa indipendentista del Fronte Polisario nel Sahara occidentale. Non sfugge, in tale operazione, la scelta di marcare un passo indietro nell’esposizione di Mosca rispetto a un dossier dal quale lo stesso Putin ha evidentemente stabilito di tenersi a debita distanza. Dopotutto, la Russia può rivendicare al cospetto dell’Algeria una sorta di silenzio-assenso tattico rispetto all’aumento della produzione di gas a beneficio dell’Europa (Italia in testa) assicurata dal presidente Abdelmadjid Tebboune per andare incontro all’esigenza occidentale di affrancarsi dalla dipendenza unilaterale dagli idrocarburi russi.

Al contempo – mentre il volume dei suoi prestiti diretti ai Paesi sudafricani oscilla drasticamente, quasi a denotare una “pausa di riflessione” finanziaria in attesa delle conseguenze della “guerra del grano” – Pechino si mostra parallelamente esitante rispetto ad alcuni impegni presi con Algeri sul grande progetto di cooperazione riguardante il giacimento ferroso di Ghara Djebilet. Si tratta di un accordo stabilito nel marzo del 2021, in base al quale imprese cinesi e algerine si vincolavano reciprocamente nella cogestione di un sito d’interesse nazionale situato nel Sahara occidentale (circa 140 chilometri a sud-est di Tindouf) e sul quale tuttavia il Marocco rivendica un diritto di prelazione commerciale in base al Patto di Rabat siglato con l’Algeria nel 1972. A quanto pare, la Cina sarebbe adesso sul punto di disimpegnarsi, in omaggio a una visione pragmatica che non prevede alcuna ostentazione interventista in teatri stranieri caratterizzati da tensioni militari. Lungi da Pechino, parrebbe, la tentazione di sostituire proprio adesso Rabat in un’impresa bilaterale alla quale la potenza asiatica si sarebbe semmai aggiunta volentieri in una prospettiva di sfruttamento trilaterale: sovranità algerina, tecnologia cinese e infrastrutture portuali marocchine.

Anche in questo caso ci troviamo al cospetto d’un segnale di neutralità dietro il quale s’intravvede la preferenza accordata a un soft power meno appariscente e divisivo. La Cina prosegue infatti nella sua intensa ramificazione di rapporti commerciali con Rabat, tra diplomazia dei vaccini e accordi industriali: da ultimo si segnalano l’invio dei composti chimici per la produzione locale dei sieri anti-Covid 19 attraverso la società sino-polacca Chipolbrok, oltre a un milione di dosi vaccinali contro lo pneumococco e il papillomavirus; nonché il promettente sbarco del gigante automobilistico cinese Dongfeng Automobile Corporation nello stabilimento di Ain Sebâa, a Casablanca, in vista della produzione massiva di utilitarie.

Tutto ciò avviene proprio mentre Algeria e Marocco hanno ormai interrotto ogni relazione diplomatica, diventando protagonisti ante litteram (da oltre nove mesi) d’una versione nord-africana della nuova cortina di ferro che sta ripolarizzando gli equilibri valoriali e geostrategici globali.

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