Approfondimenti

La sicurezza alimentare nel Mediterraneo alla prova di conflitti, cambiamento climatico e crisi economica

Con lo scoppio della guerra in Ucraina le condizioni di sicurezza alimentare di molti paesi della regione mediterranea si sono complicate. Se ne parla nel focus realizzato per il primo report annuale della Fondazione Med-Or dedicato alla Food Security

Key takeaways

  • Il conflitto in Ucraina, sommato alle conseguenze della pandemia da Covid-19 e agli effetti drammatici dei cambiamenti climatici, ha contribuito a inasprire la food insecurity nei paesi del Mediterraneo allargato
  • Le conseguenze del cambiamento climatico (v. scarsità idrica, desertificazione, alluvioni) incidono negativamente sui prezzi e sulla disponibilità di cibo. Ad essere maggiormente colpiti sono i paesi a basso reddito che vedono impiegati nel settore agricolo e nell’allevamento la maggior parte della popolazione attiva
  • L’aumento dei costi del trasporto marittimo, i ritardi nelle consegne e i blocchi navali sono tra i principali fattori che hanno contribuito, nell’arco del 2022, ad esacerbare la food insecurity nei paesi maggiormente dipendenti dalle importazioni di derrate alimentari
  • I meccanismi di aggiustamento messi in atto dalle economie della regione per far fronte alla food insecurity rischiano di scontrarsi con la pressione finanziaria sui debiti pubblici. Diversi paesi sono a rischio default
  • La food independence continua a figurare come una delle priorità delle agende nazionali dei singoli paesi dell’area mediorientale e africana. Maggiori investimenti nell’industria agritech sono funzionali allo sviluppo di sistemi agroalimentari locali più sostenibili e resilienti dinanzi a futuri shock globali


Il World Food Summit del 1996 ha stabilito che si può parlare di sicurezza alimentare “quando tutti, sempre, hanno accesso fisico ed economico a cibo sicuro, nutriente e in quantità tale da rispondere ai bisogni nutrizionali e alle preferenze alimentari per una vita attiva e salutare[1].

Riflettendo sulla definizione appena citata, risulta evidente che in numerosi paesi, molti dei quali appartengono al cosiddetto Mediterraneo allargato, la sicurezza alimentare, purtroppo, non esiste. Non si tratta certo di un problema nuovo. Nel corso dell’ultimo ventennio, le istituzioni internazionali e nazionali hanno più volte dato l’allarme, indicando nel cambiamento climatico, nei conflitti, nella crescita demografica, nella carenza infrastrutturale e nell’incapacità dei governi di rispondere alle crisi, le cause principali della questione. Secondo i dati del World Food Programme, il numero di persone colpite da insicurezza alimentare acuta è passato dai 135 milioni del 2019, ai 345 milioni del giugno 2022[2].

La pandemia da Covid-19 e lo scoppio della guerra in Ucraina hanno acutizzato una situazione già più che compromessa. La Federazione Russa e l’Ucraina, infatti, sono i maggiori esportatori di grano, orzo, mais, semi di girasole e olio di girasole e la Russia è uno dei maggiori esportatori di fertilizzanti. Un gran numero di paesi che rientrano nella lista ONU dei paesi meno sviluppati (Least Developed Country – LDC) e dei paesi poveri importatori netti di prodotti alimentari (Low-Income Food-Deficit Country – LIFDC), dipendono dalle importazioni provenienti da questi due paesi e già prima della guerra dovevano combattere con gli effetti negativi degli alti prezzi degli alimenti e dei fertilizzanti a livello globale[3].

Inoltre, l’interruzione delle supply chain, i problemi logistici, l’aumento vertiginoso dell’inflazione e il rischio di recessione a livello mondiale hanno ulteriormente spinto i prezzi dei beni alimentari ad un livello mai raggiunto[4]. Oltre agli effetti più propriamente umanitari, l’insicurezza alimentare porta con sé profondi cambiamenti socio-politici che hanno già messo a rischio la stabilità di numerosi paesi e che, prevedibilmente, continueranno a farlo. Instabilità regionale significa instabilità geopolitica globale: il problema, dunque, riguarda tutti noi.

Fattore clima: quanto pesa il climate change sulla sicurezza alimentare?

I paesi colpiti dall’insicurezza alimentare, in particolare quelli africani e mediorientali, sono quelli che “contribuiscono meno al cambiamento climatico”, ma sono i più esposti e vulnerabili ai suoi effetti[5].

La crescente scarsità idrica, la desertificazione e gli effetti devastanti degli eventi atmosferici estremi, come le inondazioni, influiscono sulla capacità di produrre cibo in una sorta di “effetto domino”. L’aumento delle temperature favorisce l’evapotraspirazione: il processo, cioè, attraverso il quale l’acqua passa dal terreno all’atmosfera e che è “la somma dell’evaporazione dalla superficie terrestre più la traspirazione delle piante attraverso gli apparati fogliari”[6]. Normalmente, tale perdita d’acqua viene compensata dalla caduta della pioggia. Il cambiamento climatico, tuttavia, determina anche modifiche nelle precipitazioni, sia riguardo al luogo in cui avvengono, sia all’intensità, sia alla distribuzione stagionale, con effetti negativi sui sistemi idrogeologici, sulla qualità e la temperatura dell’acqua e sul riapprovvigionamento delle acque di falda.

La scarsità idrica comporta una drastica diminuzione dei raccolti per il consumo umano e animale, tenendo anche conto del fatto che circa il 70% del consumo idrico globale è destinato proprio all’agricoltura e all’allevamento, cioè alle due attività economiche dalle quali dipende in larga misura l’approvvigionamento alimentare della popolazione mondiale. In base a dati FAO, se il riscaldamento globale procederà alla scala attuale, i raccolti di cereali, di grano, di semi oleosi e di riso diminuiranno globalmente del 17%[7], mentre si prevede che, entro il 2030, il 40% della popolazione mondiale soffrirà per scarsità d’acqua. Oltre a colpire i due settori che vedono impiegata la maggior parte della popolazione attiva nei paesi a basso reddito, la diminuzione della quantità e della qualità dell’acqua rischia di avere un serio impatto sulla disponibilità stessa di beni alimentari, per via soprattutto della possibile distruzione delle colture e della morte degli animali in caso di forte siccità. Si consideri, per esempio, il Corno d’Africa, una delle zone maggiormente esposte alla water scarcity: nel 2022 la regione ha assistito al perdurare della peggiore siccità in 40 anni, che ha causato raccolti inferiori tra il 50 e il 95% rispetto alla media e oltre 8 milioni di capi di bestiame morti[8].

In generale, in Africa Orientale la stagione delle piogge è stata al di sotto della media, causando la quinta siccità consecutiva dal 2020 e aggravando la situazione alimentare, già in forte crisi, soprattutto nelle zone semi-aride del Kenya e in quelle meridionali e centrali della Somalia, dove le precipitazioni sono diminuite del 70‑80 % nelle aree più colpite. Anche in Siria, per quest’anno si prevedono precipitazioni al di sotto della media che influiranno negativamente sulle coltivazioni di cereali, causando raccolti più poveri o distruggendoli completamente[9]. L’altra faccia della medaglia della scarsità idrica è costituita delle inondazioni, anch’esse causate dai cambiamenti climatici. Nel Sud Sudan, le previsioni parlano di aumento del rischio inondazioni nelle zone meridionali e sud-orientali, che causeranno danni alle produzioni annuali, mentre in Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania e Niger già dallo scorso luglio si sono avute precipitazioni al di sopra della media, che continueranno nel corso del 2023, e che hanno già causato la distruzione dei raccolti e dei terreni di pascolo. Anche nella zona settentrionale della Nigeria, le piogge saranno abbondanti ed è prevista scarsità di produzione agricola. Le situazioni descritte non faranno altre che aggravare l’insicurezza alimentare di molte famiglie[10].

I rischi climatici, dunque, possono produrre gravi conseguenze sulla produzione agricola ed effetti negativi sui prezzi e sulla disponibilità del cibo, andando a colpire soprattutto quei paesi dove larga parte della popolazione spende i propri guadagni in cibo. Da non dimenticare anche gli effetti macro-economici nei paesi dove l’agricoltura è una parte importante del PIL e costituisce una fonte fondamentale di impiego[11].

L’industria navale alla prova alimentare: il peso dei costi dello shipping

Un ulteriore fattore in grado di inasprire la crisi alimentare in corso è da ricercare nell’aumento dei costi del commercio marittimo. Settore che da solo rappresenta il 90% del trasporto merci mondiale, il commercio via mare ha assistito nel 2022 al consolidamento del trend strutturale di crescita dei costi dello shipping – fenomeno che ha avuto inizio con la diffusione della pandemia da Covid-19[12].

A partire dai primi mesi del 2020, l’intera filiera logistica mondiale ha, infatti, subìto una significativa diminuzione dei volumi, parallelamente ad un progressivo aumento dei costi. Solo nel 2021 è stato possibile registrare una ripresa dei volumi commerciali ai livelli pre-pandemici. Parimenti, si è dovuto attendere il 2022 per osservare una crescita dei volumi dello 0,9% – dato che senza guerra in Ucraina avrebbe raggiunto il 3,5%[13]. Per quanto, invece, concerne i costi del trasporto via mare, la spirale inflazionistica che ha colpito lo shipping all’indomani dello scoppio della pandemia non è regredita, bensì ha assistito ad un ulteriore aumento delle tariffe[14].

Tale situazione ha una pluralità di cause: dal punto di vista tecnico-logistico, la congestione dei porti e i conseguenti ritardi nelle consegne – dovuti anche alle politiche di prevenzione contro il Covid-19 attuate da paesi come la Cina – si uniscono alla difficile gestione delle cosiddette megaships (navi con capacità di carico superiore alle 20.000 TEUs), alla carenza di personale e alle inefficienze della logistica via terra. A causa di questi singoli fattori, le compagnie di trasporto incorrono in maggiori costi assicurativi, in tariffe più alte per l’utilizzo dei container e in penalità laddove le consegne subiscano ritardi o vengano addirittura saltate per risparmiare tempo (fenomeno che prende il nome di blank sailing)[15]. A rendere ancora più complicato il quadro del commercio marittimo è, inoltre, il delicato contesto internazionale. In particolare, tra gli impatti diretti della guerra in Ucraina si possono citare il danneggiamento delle infrastrutture portuali sul Mar Nero, l’interruzione del commercio marittimo dovuto ai blocchi navali e, seppur in misura minore, le sanzioni comminate contro società di trasporto marittimo russe[16]. Considerando l’insieme di tali fattori, risulta dunque possibile affermare che l’aumento dei costi del trasporto marittimo possa avere un impatto negativo diretto sulla crisi alimentare per tre motivi principali.

  • Innanzitutto, con l’aumento dei costi dello shipping si ottiene un contestuale aumento del prezzo dei beni alimentari trasportati via mare. Come rilevato dal Baltic Dry Index, l’aumento del 60% delle tariffe di trasporto per le materie prime (come i cereali) registrato tra febbraio e maggio 2022 potrebbe, infatti, condurre ad un contestuale aumento di circa il 4% del prezzo dei generi alimentari.
  • In secondo luogo, i ritardi nelle consegne delle derrate alimentari e il blank sailing si riverberano sulla concreta possibilità di accesso alle risorse alimentari, specialmente laddove questi due fenomeni affliggano paesi già alle prese con approvvigionamenti insufficienti di cibo.
  • Infine, il blocco delle esportazioni di cereali provenienti dal Mar Nero rischia di esacerbare ulteriormente la food insecurity dei paesi maggiormente dipendenti dalle importazioni di granaglie da Russia e Ucraina: basti pensare che Kiev e Mosca insieme esportano il 53% dell’olio e dei semi di girasoli, oltre che il 27% del grano su scala mondiale. Sono, infatti, circa 36 i paesi che importano oltre il 50% del proprio fabbisogno di grano da Russia e Ucraina[17]: tra quelli appartenenti al Mediterraneo allargato i paesi più esposti sono Armenia, Georgia, Qatar, Azerbaijan, Pakistan, Somalia, Egitto, Siria, Libano, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Sudan, Tunisia, Israele, Yemen e Libia[18].

Scaffali pieni, casse vuote? Se la crisi alimentare diventa finanziaria

L’accordo di Istanbul[19] per l’apertura dei porti del Mar Nero e la ripresa delle esportazioni del grano russo e ucraino nel Mediterraneo sono riusciti, almeno in parte, nel loro intento permettendo le consegne nella regione; tuttavia, in merito all’intesa restano alcuni nodi insoluti. Se da una parte le esportazioni del grano hanno scongiurato il pericolo di una carestia diffusa a tutta la regione del Mediterraneo allargato, dall’altra la ripresa delle consegne nei porti africani e mediorientali ha messo in luce i profondi disequilibri che caratterizzano la supply chain mondiale del cibo ed è proprio rispetto a questi ultimi che l’analisi (e i timori) della comunità internazionale dovrebbero focalizzarsi per l’anno a venire.

Gli scenari economici paventati nei primi giorni del conflitto erano fondamentalmente basati su tre fattori[20]: a) forte aumento dei debiti sovrani; b) rallentamento della crescita globale; c) aumento del prezzo dell’energia. Per il momento (ed è questa la buona notizia) solo due di questi eventi si sono effettivamente concretizzati (a; b). Nonostante le manovre dei paesi dell’OPEC, infatti (ultimo in ordine di tempo il taglio alla produzione deciso durante l’ultima riunione in autunno e ribadito a dicembre 2022)[21], il prezzo dell’energia è rimasto fondamentalmente stabile nella seconda parte dell’anno, dopo un primo shock iniziale culminato nel raggiungimento del prezzo massimo annuale registrato a marzo (131 dollari al barile). Dalla fine di agosto gli indici WTI e Brent sono calati rispetto alla quota dei 100 dollari, per poi rimanere al di sotto dei 90 durante l’autunno.

L’andamento del prezzo dell’energia evidenzia due elementi importanti per la geopolitica del Mediterraneo allargato del prossimo futuro. In primo luogo, l’incapacità dei paesi OPEC di capitalizzare sul prezzo dell’energia come in passato. È ipotizzabile, infatti, che l’apertura dei nuovi mercati dell’energia[22], il processo di transizione ecologica e lo spauracchio dell’invasione dei mercati da parte del petrolio e del gas made in USA siano riusciti a ridimensionare gli effetti del taglio della produzione. A questo si devono aggiungere anche le politiche di price cap messe in atto dall’Unione Europea, che, almeno momentaneamente, potrebbero essere riuscite ad arginare la crisi[23]. In questo contesto, lo scongiurato aumento del prezzo dei fertilizzanti è riuscito a contenere questo aspetto specifico della crisi alimentare. Detto in termini concisi, il rischio che gran parte dei paesi della sponda sud del Mediterraneo fossero impossibilitati a produrre cibo in proprio a causa del costo proibitivo dei materiali chimici per la coltivazione non si è concretizzato.

Se tuttavia il primo anno di guerra lascia il quadro del mercato energetico sostanzialmente invariato, il protrarsi delle ostilità in Ucraina ha esacerbato un quadro finanziario già precario, specialmente per quanto concerne la solidità dei debiti sovrani delle nazioni del Mediterraneo allargato. La combinazione tra aumento dell’inflazione a livello globale e l’uso di misure di sostegno alla domanda interna ha fatto lievitare i debiti pubblici di tutta la regione in un contesto macroeconomico già provato dalla pandemia. In questo quadro, va considerata, inoltre, la contrazione robusta degli investimenti, che ha pregiudicato le possibilità di crescita anche di alcune delle economie più dinamiche dell’area, come nel caso di Egitto e Marocco[24].

Tenendo a mente l’attuale quadro macroeconomico, lo scenario prossimo più probabile è quello di un aumento dell’insicurezza alimentare causato dalla situazione finanziaria interna dei paesi della regione. Negli ultimi mesi del 2022 stati come Egitto, Libano e Giordania, hanno dovuto chiedere supporto al Fondo Monetario Internazionale (FMI) per far fronte al carovita. In alcuni casi, come ad esempio quello della Tunisia, l’instabilità politica è diventata così forte da mettere in stallo le trattative con l’FMI, evidenziando così i limiti delle safety net della comunità internazionale per far fronte a questo tipo di crisi[25]. In altri casi, come in quello dell’Egitto, il raggiungimento di un accordo con il Fondo non è riuscito ad arrestare l’incremento dell’inflazione[26]. In questo contesto, l’aumento dei prezzi dei beni alimentari alimentato dall’instabilità finanziaria rischia di diventare una crisi sistemica globale che si innesta a sua volta in una dinamica recessiva e di contrazione del credito e degli investimenti.

In sintesi, non sarà necessariamente il cibo a mancare nel 2023 quanto le disponibilità economiche per poterlo acquistare – uno scenario di cui si era già discusso durante il G20 di Roma[27] e rispetto al quale la guerra in Ucraina ha messo in luce impreparazioni e contraddizioni della supply chain mondiale. In questo contesto, solo un cambio di paradigma potrà prevenire l’avverarsi di uno scenario con i campi di battaglia pieni e gli scaffali vuoti. Scenario per cui nessuna delle potenze globali sembra avere soluzioni.

Dalla food security alla food independence: strategie e tecniche per l’emancipazione alimentare

Come precedentemente discusso, il conflitto in Ucraina, le conseguenze della pandemia da Covid-19 e gli effetti drammatici dei cambiamenti climatici hanno contribuito a mantenere la questione della food independence in cima alle priorità delle agende nazionali dei singoli paesi dell’area mediorientale e africana. Abbandonare un sistema produttivo che incrementi l’output agricolo a discapito dell’ecosistema (p.es., degradazione del suolo, aumento degli sprechi d’acqua, alti livelli di emissione di gas serra) e, viceversa, investire in un sistema agroalimentare più sostenibile e resiliente dinanzi a futuri shock globali è diventato una sorta di imperativo per i paesi della regione, che hanno scelto di imboccare la strada dell’Agricoltura 4.0. Quest’ultima poggia, nello specifico, sull’impiego di nuovi strumenti e tecnologie digitali volti ad aumentare la sostenibilità economica, ambientale e sociale nei sistemi di produzione agroalimentari.

Non solo negli stati arabi del Golfo (attori all’avanguardia nel settore dell’agritech), ma anche in molti paesi del continente africano si è assistito a un incremento degli investimenti per lo sviluppo di un sistema agroalimentare il più inclusivo, sostenibile, e resiliente possibile nel lungo periodo. Si stima che, in Africa, gli investimenti in tale settore siano cresciuti da 19 milioni di dollari (2016-2018) a quasi 60 milioni nel 2020 e oltre 90 milioni nel 2021[28]. Accanto a investimenti agritech su larga scala (v. paesi del GCC), in cui i governi locali e statali svolgono un ruolo di primo piano, si sono progressivamente sviluppate anche tecniche agricole su media-piccola scala (v. la regione del Maghreb e dell’Africa orientale), dove attori privati ​​e grassroots networks stanno giocando un ruolo di primo piano[29]. Soprattutto per quei paesi che soffrono di crisi alimentari e idriche sistemiche, come nel caso di molti stati del continente africano, investire in iniziative agritech locali presenta, indubbiamente, un impatto positivo e di gran lunga più efficace rispetto a soluzioni a breve termine (es. aiuti umanitari).

Vi sono una serie di iniziative, quali l’Africa’s Food Systems Forum, che ambiscono a trasformare il settore agroalimentare del continente, nonché a promuovere un friendly agribusiness environment funzionale all’istituzione di partnership strategiche. In occasione dell’ultimo summit (2022) tenutosi in Rwanda, un’efficiente integrazione delle nuove tecnologie nei sistemi agricoli, uno sviluppo agricolo sostenibile per far fronte ai cambiamenti climatici e un incremento delle capacità di resilienza dei piccoli proprietari terrieri sono emersi come azioni prioritarie da adottare[30]. È opportuno ricordare che le piccole e medie imprese del continente africano rappresentano la spina dorsale dell’agricoltura africana, fornendo circa l’80% delle opportunità di impiego in tutto il continente:

  • Tra i paesi[31] del Maghreb, il Marocco sta compiendo notevoli progressi nello sviluppo di un sistema agroalimentare sostenibile, investendo in soluzioni agro-tecnologiche innovative a supporto della strategia nazionale Green Generation 2020-2030. Oltre all’importante contributo dell’Università marocchina Mohammed VI Polytechnic (UM6P) nel campo della ricerca e dello sviluppo di tale settore, nel 2022 Rabat si è fatta promotrice di un’interessante iniziativa, l’AgriTech4Morocco Innovation Challenge, al fine di motivare gli imprenditori marocchini per lo sviluppo di nuove soluzioni agro-tecnologiche[32].
  • Al pari del Marocco, anche la Tunisia figura tra i paesi della regione nordafricana maggiormente attivi nello sviluppo di un’agricoltura 4.0. Da due anni, per esempio, il paese organizza la “Settimana Agritech” (l’edizione 2022 ha avuto luogo in Costa d’Avorio) proprio con l’obiettivo di incrementare la cooperazione nel campo della digitalizzazione dell’agricoltura con gli attori del settore agricolo e agroalimentare dell’Africa occidentale[33].
  • Considerata la rilevanza strategica dell’industria agroalimentare per l’economia del paese, anche l’Egitto sta investendo nella digitalizzazione del settore agricolo e in soluzioni agritech. Nello specifico – grazie alla proliferazione di startup e programmi (es. l’Agri-Entrepreneurship Program[34]) volti a sostenere imprese emergenti nel campo della sicurezza alimentare e dello sviluppo rurale – Il Cairo sta dimostrando una particolare attenzione per lo sviluppo di un’agricoltura intelligente che massimizzi l’efficienza della gestione dei rifiuti (sia agricoli che animali) sulla base del concetto di economia circolare, riduca al minimo i costi di produzione agricola e l’utilizzo delle risorse idriche, nonché l'uso eccessivo di fertilizzanti chimici[35].
  • Volgendo lo sguardo verso il Corno d’Africa, merita particolare attenzione il Kenya, una delle principali destinazioni per gli investimenti agritech in Africa. Basti pensare che tra il 2019 e il primo trimestre del 2022, due delle principali startup agritech operative in Kenya hanno raccolto rispettivamente 80 e 40 milioni di dollari[36]. Raggiungere i piccoli agricoltori nel settore dell’agritech acquisisce un ruolo di primo piano nella strategia kenyota a favore della sicurezza alimentare del paese. Già nel 2018, la Banca Centrale del paese aveva lanciato un programma, MobiGrow, per la concessione di crediti e la fornitura di servizi di formazione agricola e consulenza tecnica in Kenya e Rwanda[37]. Il Kenya figura, inoltre, come uno dei principali stati del continente africano verso cui i paesi del Golfo stanno guardando con maggiore interesse. Nel 2022, le autorità di Nairobi avrebbero discusso nuove opportunità di investimento nel settore agroalimentare con il Qatar e gli EAU. Con gli EAU, il Kenya avrebbe, nello specifico, raggiunto un’intesa per l’istituzione di un panel congiunto volto a esplorare partenariati nel settore agricolo e nello sviluppo di zone economiche speciali[38].

Conclusioni

Sebbene la crisi alimentare conseguente alla guerra in Ucraina non si sia trasformata nell’ecatombe da molti paventata, essa ha indubbiamente messo in luce le fragilità della supply chain del cibo nel Mediterraneo allargato. Non a caso, l’ultimo Rapporto delle Nazioni Unite sugli Hunger Hotspots, inoltre, segnala 19 paesi in cui la condizione di acuta insicurezza alimentare aumenterà, tra cui lo Yemen, la Somalia, l’Etiopia, il Sud Sudan e la Nigeria[39]. In questo contesto sono almeno tre le principali criticità messe in risalto dalla crisi.

  • Il cambiamento climatico: ha dimostrato di aver compromesso le capacità di approvvigionamento alimentare di ampie parti del pianeta. In questo contesto, la COP27 di Sharm el-Sheikh ha portato a due risultati importanti:
  • l’istituzione di un fondo per le perdite e i danni (loss and damage) derivanti dal climate change destinato ai paesi “particolarmente vulnerabili” colpiti da tale fenomeno[40];
  • Il mantenimento del livello target di emissioni stabilito dagli Accordi di Parigi, cioè il contenimento dell’aumento delle temperature a 1,5 c° sino al 2030[41].

I risultati ottenuti dal vertice sul clima vanno, dunque, nella direzione di un progressivo rafforzamento dell’ambiente e della food security.

  • Il fattore logistico: una parte rilevante dell’inflazione alimentare è legata all’aumento dei costi di trasporto del grano e di conseguenza sussiste la necessità di creare un sistema logistico più equo e diffuso che sia più resiliente in caso di shock. In questo senso i mercati dello shipping risentono di un’apertura parziale che mette a rischio la supply chain, come dimostrato dalla crisi del Covid e ribadito da quella ucraina. Anche la transizione alle energie rinnovabili può condurre ad esiti positivi. Paesi come la Giordania, l’Egitto e il Marocco hanno già investito in progetti di transizione[42], anche se la situazione economico-finanziaria potrebbe rallentarne l’attuazione.
  • Il fattore economico finanziario: i sistemi macroeconomici della regione hanno dimostrato di essere più resilienti di quanto non si sperasse. Tuttavia, le spese sopportate dalle economie dell’area per far fronte all’inflazione crescente sono ingenti e questo mette a rischio la gestione dei conti pubblici e quindi la capacità di fronteggiare la crisi alimentare.

In questo senso, i dati a disposizione mostrano però dei timidi segnali di ottimismo. Per quanto riguarda la guerra in corso, oltre al citato sblocco dei porti, anche il raccolto di grano, in Ucraina, ha raggiunto circa 26 milioni di tonnellate, molto maggiori rispetto a quanto previsto. Purtroppo, nella zona orientale del paese il 22% del cereale rimane inaccessibile a causa della guerra[43]. Al tempo stesso alcune economie dell’area come Marocco, Tunisia ed Egitto stanno riorientando i propri sistemi di approvvigionamento alimentare secondo il paradigma della food independence che punti ad una emancipazione alimentare. Sono programmi di lungo termine che dovranno essere supportati dal punto di vista economico e politico ma potrebbero in effetti contribuire a un riequilibrio della supply chain. Secondo il World Food Programme, le conseguenze della guerra “potrebbero affievolirsi nel lungo termine, perché i mercati si auto-regolamenteranno” e si troveranno paesi alternativi da cui rifornirsi per i prodotti oggi carenti[44]. Il tutto sta nel trovare la volontà politica di accompagnare questo riequilibrio.

La comunità internazionale è già da tempo impegnata negli aiuti umanitari alle popolazioni dei paesi maggiormente interessati dal problema, ma questo non è sufficiente. Serve un maggior impegno nel trasferimento di tecnologia e di know how e nel trovare una soluzione politica ai numerosi conflitti in corso.


[1] Climate Change and Food Insecurity: risks and responses, FAO, Report, 2015.

[2] A global food crisis, WFP.

[3] The Importance of Ukraine and the Russian Federation for Global Agricultural Markets and the Risks Associated with the War in Ukraine, FAO, Report, 10 giugno 2022.

[4] What You Need to Know About Food Security and Climate Change, World Bank, 17 ottobre 2022.

[5] Statement by the President of the Security Council, UN Security Council, 31 agosto 2022.

[6] Rodriguez, D. J., Into thin air and seen from space – estimating evapotranspiration using satellites, World Bank Blogs, 7 marzo 2019.

[7] Climate Change and Food Insecurity: risks and responses, FAO, Report, 2015.

[8] Hunger Hotspots FAO – WFP early warnings on acute food insecurity, pp. 6-7, FAO – WFP, Report, 6 giugno 2022.

[9] Ivi, pp. 3-4.

[10] Ivi, p.4.

[11] Climate Change and Food Insecurity: risks and responses, p. XII, FAO, Report, 2015.

[12] Indagine sui trasporti internazionali di merci, pp. 4-8, Bankitalia, Report, 8 giugno 2022.

[13] Euro – Mediterranean Economic Cooperation in the Age of Deglobalisation, pp. 32-33, IAI SRM, Report, 15 novembre 2022.

[14] Maritime Trade Disrupted: The war in Ukraine and its effects on maritime trade logistics, pp. 2-9, UNCTAD, Report, 28 giugno 2022.

[15] Euro – Mediterranean Economic Cooperation in the Age of Deglobalisation, pp. 37-42, IAI SRM, Report, 15 novembre 2022.

[16] Ivi, p. 34.

[17] Maritime Trade Disrupted: The war in Ukraine and its effects on maritime trade logistics, pp. 2-9, UNCTAD, Report, 28 giugno 2022.

[18] Report UN, Global Impact of war in Ukraine on food, energy and finance systems, p. 8, UNCTAD, Report, 13 aprile 2022.

[19] Il testo dell’accordo e lo state delle esportazioni di grano sono consultabili al sito https://www.un.org/en/black-sea-grain-initiative.

[20] Ross Sorkin, A., Karaian, J., Kessler, S., De la Merced M.J., Hirtsach L. e Livni E., The Economic Stakes of the Ukraine Crisis, New York Times, 22 febbraio 2022.

[21] Horowitz, J., OPEC sticks with supply cuts as West tightens sanctions on Russian oil, CNN, 4 dicembre 2022.

[22] Smith, G. e Lee, J., OPEC Output Edges Higher as Nigeria Cracks Down on Oil Theft, Bloomberg, 3 gennaio 2023;

Cfr. Somasekhar, A., Oil gives up the year's gains, closing at 2022 low, Reuters, 7 dicembre 2022.

[23] Abnett, K., EU countries agree gas price cap to contain energy crisis, Reuters, 19 dicembre 2022.

[24] MENA Economies Grow by 5.5% But Benefits are Uneven, World Bank, 5 ottobre 2022.

[25] Paris calls for resumption of talks between Tunis and IMF, Africa News, 20 dicembre 2022.

[26] Werr, P. e Jones, M., Analysis: Egypt not out of the woods after IMF rescue deal, Reuters, 25 novembre 2022.

[27] G20 Rome Leaders’ Declaration, Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica italiana, 31 ottobre 2021.

[28] Impact through Investment in African Agritech, AgriHack, 22 luglio 2022.

[29] Bernadaux, C, Agricultural technology in the Middle East: Sowing the seeds of the future, Middle East Institute, 19 maggio 2021.

[30] Declaration at the 12th AGRF Summit, AGRF 2022 SUMMIT, 9 settembre 2022.

[31] I paesi qui menzionati assurgono a casi emblematici volti a inquadrare l’agency del continente africano per lo sviluppo di un sistema agroalimentare innovativo poggiante sull’utilizzo di nuove tecnologie e strumenti digitali. Pertanto, non vi è alcuna pretesa di esaustività.

[32] AgriTech4Morocco Innovation Challenge Winners, CGIAR, official website, 10 agosto 2022.

[33] The week of Tunisian agri-tech in Ivory Coast, Agri Digitale, 22 novembre 2022.

[34] An MoU To Develop An Agri-Entrepreunrship Program in Egypt, E4IMPACT Foundation, 26 ottobre 2022.

[35]How are MENA nations moving to bolster food security?, Oxford Business Group, 23 marzo 2022.

[36] Benson, E. A., Kenya is the top destination for agritech investments in Africa, Kenya Investment Authority, 7 aprile 2022.

[37] KCB targets 2 million farmers in Kenya and Rwanda under MobiGrow, in the next 5 years, Making Finance Work for Africa, 12 luglio 2018.

[38] Kenya to Expand Trade Ties With United Arab Emirates, Republic of Kenya, official website, 25 ottobre 2022;

Qatar Chamber, Kenyan minister discuss investment opportunities in agriculture, infrastructure, Gulf Times, 22 gennaio 2022.

[39] Hunger Hotspots FAO – WFP early warnings on acute food insecurity, FAO – WFP, Report, 6 giugno 2022.

[40] Draft decisions 1/CP.27 and 1/CMA.4, 19 novembre 2022.

[41] Caprara, G., COP27: risultati in chiaroscuro della conferenza sul clima, Fondazione Med-Or, 25 novembre 2022.

[42] IFC Knowledge Series in MENA , IFC World Bank Group.

[43] Larger Wheat Harvest in Ukraine Than Expected, NASA Earth Observatory, dicembre 2022.

[44] Cossiga, A.M., Sicurezza alimentare e guerra in Ucraina. Quali rischi nell’area MENA?, Fondazione Med-Or, 18 marzo 2022.

A cura di Anna Maria Cossiga, Federico Deiana, Luciano Pollichieni, Emily Tasinato


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19-20-21 novembre: a Roma un workshop internazionale su cambiamenti climatici e sicurezza

Promosso da Fondazione Med-Or con il supporto del NATO SPS Programme, l’evento è organizzato in collaborazione con il Ministero degli Affari esteri della Giordania e con la partnership scientifica dell’INGV

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