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La Siria e il nodo internazionale dopo Assad

La caduta del regime di Assad riorganizza gli equilibri geopolitici tra Siria, Libia e Medio Oriente, aprendo spazi per nuove influenze regionali e globali. L’analisi di Daniele Ruvinetti

Un aereo della compagnia Cham Wings è atterrato domenica a Bengasi, trasportando ufficiali siriani leali al regime di Bashar al-Assad. Fonti locali e monitoraggi internazionali confermano il trasferimento di questi ufficiali alla base militare di Al-Jufra, in Cirenaica, con destinazione finale presumibilmente in Russia: anche Bashar al-Assad e la sua famiglia hanno trovato asilo a Mosca, d’altronde.

Il passaggio libico permette di ragionare su come il dossier mediterraneo – dal Levante al Nordafrica – sia per molti aspetti interconnesso, anche perché c’è condivisione di attori sul campo. Nel contesto del formato di Astana, il dialogo tra Russia e Turchia potrebbe per esempio includere una spartizione di sfere d’influenza tra Siria e Libia. La Russia, presente in Cirenaica con il cosiddetto “Africa Corp”, potrebbe consolidare la sua influenza in Libia dopo la sconfitta siriana. La Turchia, già attiva in Tripolitania, rafforza la sua posizione in Siria e accetta un equilibrio sul lato nordafricano. Questo scambio di interessi incrociati riflette la competizione e la cooperazione tra Mosca e Ankara, con implicazioni sia regionali che globali.

La caduta del regime di Assad è parte di questo gioco di equilibri. Suggellata dall’occupazione di Damasco da parte dei ribelli guidati da Hayat Tahrir al-Sham (HTS), questa rappresenta un evento di portata storica. HTS, nonostante la sua narrativa di moderazione, mantiene un passato legame con Al-Qaeda e genera preoccupazioni per un possibile sostegno implicito a gruppi estremisti. Questo nuovo scenario complica ulteriormente la stabilità regionale e la risposta internazionale. Gli Stati Uniti, pur mantenendo il focus sulla lotta all’ISIS, potrebbero rivedere il loro impegno in Siria sotto l’amministrazione Trump, lasciando spazio a nuovi attori.

Tra loro, la Turchia sarà determinante. Emerge come un attore chiave, sfruttando il vuoto di potere in Siria. Ankara potrebbe cercare di stabilire un governo filoturco, neutralizzando la presenza curda lungo i suoi confini. Tuttavia, la frammentazione delle forze ribelli e le divergenze ideologiche potrebbero alimentare ulteriori conflitti, complicando i piani turchi. La stabilizzazione della Siria rimane essenziale per garantire il ritorno dei rifugiati nel paese e preservare la sicurezza regionale.

La Russia non è disposta a perdere l’influenza mediterranea acquisita con la creazione delle basi di Tartus e Hmemim (che con ogni probabilità resteranno operative tramite una possibile rassicurazione turca) e il consolidamento dell’hub logistico nell’est libico – utile anche per le proiezioni africane. Mosca ha scommesso molto sulla proiezione siriana, e impelagata ancora nell’invasione ucraina, non può permettersi una totale sconfitta – il rischio è che essa possa diventare un fattore di debolezza in futuri tavoli negoziali che potrebbero nel medio termine coinvolgerla proprio riguardo alla guerra con Kiev.

Mentre esce ridimensionato l’Iran, che dovrà gestire un nuovo bilanciamento del cosiddetto “Asse della Resistenza”, sconfitto nell’impegno profuso sul campo di battaglia siriano, anche per un ridimensionamento che gli attori più importanti – come Hezbollah – hanno subito in questo ultimo anno di conflitto con Israele.

Il nuovo panorama in Siria obbliga inoltre i rivoluzionari a costruire relazioni internazionali solide per ottenere riconoscimento e supporto. Le potenze regionali e globali, inclusi Qatar, Arabia Saudita, ed Egitto, sono chiamate a bilanciare interessi divergenti. La Turchia, in particolare, deve navigare tra le tensioni con gli stati arabi, che temono l’ascesa di movimenti islamisti sostenuti da Ankara. Inoltre, mentre Unione Europea e Stati Uniti hanno difficoltà nel gestire relazioni con questo genere di ruler – sia per impostazione ideologica che per volontà di non essere eccessivamente coinvolti –, con Russia e Iran sconfitti, odiati dai nuovi governanti siriani, si aprono spazi per un coinvolgimento pragmatico di Pechino.

La Cina, che lo scorso anno ha elevato le relazioni con il regime siriano al livello di partnership strategica, potrebbe ora sfruttare il vuoto lasciato da Russia e Iran per consolidare i propri interessi nella regione. La Belt & Road Initiative, a cui la Siria ha aderito nel 2022, rimane un pilastro della strategia cinese, così come lo sono la necessità di garantire la sicurezza delle sue vie commerciali e la delicata questione dei combattenti uiguri presenti sul territorio siriano. Sulla base di questo, Pechino potrebbe trovare degli accomodamenti pragmatici con il nuovo governo siriano che emergerà dalla sintesi politica della rivoluzione.

Gli eventi siriani non sono isolati, bensì intrecciati in un complesso mosaico geopolitico. Il crollo del regime di Assad rappresenta un punto di svolta non solo per la Siria, ma per l’intero Medio Oriente e in generale per gli affari internazionali. La redistribuzione degli interessi coinvolge in prima linea Russia e Turchia, ma chiaramente anche l’Ue e gli altri attori regionali, nonché le potenze globali come Usa e Cina. Essa determinerà le prossime fasi del conflitto e le sue ricadute internazionali. Una transizione politica sostenibile in Siria è cruciale per evitare il perpetuarsi dell’instabilità e per costruire un futuro più stabile per la regione.

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