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La tregua a Gaza si allontana

Le nuove dinamiche politico-militari di Israele e le proteste palestinesi contro Hamas nell'analisi di Giorgio Cella

I nuovi raid di Israele a Gaza, il destino della tregua e la visita di Ben Gvir al Monte del Tempio: mentre il cessate il fuoco (entrato in essere il 19 gennaio scorso) architettato con così tanti e articolati sforzi diplomatici di svariati attori internazionali sembra essere ormai scivolato in secondo piano, negli ultimi giorni il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dato il via a nuove pesanti incursioni militari con centinaia di morti tra i palestinesi (le Nazioni Unite e la Mezzaluna Rossa hanno accusato Israele di avere sparato anche su mezzi di soccorso, tra cui ambulanze, mezzi ONU e camion dei pompieri, causando svariati morti) e ha annunziato la conquista di nuove brani di territorio della Striscia di Gaza. Ciò sembrerebbe parte di una nuova fase di espansione territoriale - temporanea o meno è impossibile dirlo - o di tentativo in questo senso, in seguito al crollo del coordinamento per il cessate il fuoco del mese scorso. Un nuovo corso che, tra l’altro, segna anche il rientro in prima linea del ministro ultra nazionalista Ben Gvir nel governo a guida Netanyahu. In questo convulso e volatile scenario che vede la ripresa di operazioni di Israele nella Striscia, rimane il nodo fondamentale degli ostaggi, che Hamas si ostina e non rilasciare, accusando a sua volta Israele di non aver rispettato i patti dell’accordo siglato nel gennaio scorso. I raid delle truppe con la Magen David, si inquadrano infatti anche nell’obbiettivo di spingere i miliziani di Hamas a portare a termine il rilascio di tutti gli ostaggi (ancora decine) sebbene vari analisti vi intravedano un piano per occupare nuove terre, come occorso con l’occupazione dei Corridoio di Netzarim nella fascia centrale della Striscia di Gaza, e del corridoio di Morag, nella parte meridionale della stessa. Se la volontà sia di una occupazione temporanea, o meno, ce lo diranno i fatti e il prosieguo delle dinamiche, militari e diplomatiche. In ciò peserà anche il già citato rientro nel governo israeliano dell’area più nazionalista-religiosa dell’agone politico israeliano, rappresentato dal Ministro Ben Gvir. Quest’ultimo, ha recentemente fatto visita al complesso di Al Aqsa nella cosiddetta spianata delle moschee, che per chi conosce la complessa, contesissima e millenaria storia religiosa monoteistica del luogo, sarebbe più opportuno chiamare Monte del Tempio (Temple Mount in inglese; Har haBáyit in ebraico, ossia Monte del Tempio (di Gerusalemme); l-Haram al-sharīf in arabo, ossia il Nobile Santuario). Il ministro ha ivi pregato nelle vicinanze della moschea di Al Aqsa, scatenando polemiche sia nel mondo politico israeliano, sia in quello musulmano, col rischio di aumentare tensioni ulteriori sia nei territori palestinesi, sia più in generale nel mondo musulmano.

La situazione umanitaria a Gaza: il World Food Program, agenzia delle Nazioni Unite che opera nella striscia, ha affermato che la situazione umanitaria sta degradandosi ulteriormente, con il progressivo esaurimento della farina e il carburante, essenziali per l’attività delle panetterie a Gaza. Questa settimana distribuirà i suoi ultimi pacchi di alimenti alla popolazione: si segnala una violenta competizione per il cibo tra la popolazione e un aumento dei prezzi dei beni essenziali. Anche gli sfollati sono in continuo aumento, alla luce della nuova occupazione israeliana nei due corridoi sopramenzionati.

Le proteste palestinesi contro Hamas e la situazione militare e politica a Gaza: Hamas ha tentato di rispondere alle nuove offensive della IDF (Israeli Defense Force) a Gaza, lanciando verso il territorio israeliano pochi missili, tutti intercettati e distrutti. Ciò indicherebbe un indebolimento del gruppo, una capacità operativa mutilata rispetto alle reazioni ben più forti dei mesi scorsi con serrati lanci di razzi multipli e attacchi diversificati. Dopo mesi di colpi subiti, tra bombardamenti e uccisioni mirate dei suoi capi militari e politici inferti dalle forze armate di Israele, il gruppo militante comincia a mostrare segni di svigorimento. Un portavoce dell’IDF ha comunque dichiarato che Hamas ha ancora oltre 25000 combattenti operativi, ammettendo implicitamente come il gruppo, sebbene depotenziato, abbia ancora combat capabilities.

Dopo aver inquadrato la situazione corrente della formazione terroristica palestinese, è importante, da ultimo, prestare attenzione al fenomeno inedito delle proteste di parti della cittadinanza gazawi nei confronti proprio di Hamas, accusato di essere causa (o quantomeno concausa primaria) delle recenti, infinite sofferenze della popolazione palestinese subite in seguito al fatidico 7 ottobre 2023. Sono state le più visibili manifestazioni contro Hamas dall’inizio della guerra, che potrebbero segnalare quantomeno una potenziale rottura negli equilibri di potere nella Striscia. Nonostante i miliziani di Hamas abbiano tentato di disperdere le manifestazioni anche con intimidazione e con la forza, queste sono proseguite, specie nel nord del territorio di Gaza, a Jabalya e nella città di Beit Lahia (città dal nome di interesse anche sul piano simbolico, in quanto traducibile letteralmente con casa della fatica), con ripetuti slogan “fuori, fuori Hamas!”. È certamente presto per determinare se queste proteste popolari avranno un effetto concreto sullo status del gruppo militante al potere a Gaza dal lontano 2007, ma è certo che, insieme ai danni materiali inflitti dalle IDF, Hamas dovrà ora fare i conti anche con un malessere interno, la cui rabbia si alza dal troppo sangue versato e dalle infinite macerie prodotto di un apparentemente infinito confronto militare con Israele.

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