La variante spagnola dietro l’accordo sul gas tra Algeria e Italia
L’Italia rafforza la cooperazione energetica con l’Algeria; sullo sfondo, la Spagna abbandona la neutralità e riconosce la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale. Le possibili conseguenze nell’analisi di Alessandro Giuli
Una buona notizia in un pagliaio incandescente resta pur sempre una buona notizia. È pertanto indiscutibile il successo della recente missione del premier Mario Draghi ad Algeri – presenti fra gli altri i ministri degli Esteri Luigi Di Maio e della Transizione ecologica Roberto Cingolani nonché l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi – laddove l’entente cordiale con il presidente Abdelmadjid Tebboune ha propiziato un dovizioso incremento nelle forniture di gas dal paese nordafricano finalizzato a ridurre la nostra dipendenza nazionale dalla Russia. Dall’Algeria, che già rappresenta il 31 per cento del nostro import, l’Italia otterrà dunque circa 3 miliardi di metri cubi subito, altri 6 nel 2023 (circa 3 miliardi di gas e 3 di Gas naturale liquefatto) per arrivare fino a 9 miliardi. Una fornitura crescente che culminerà nel 2024, che vede protagonista l’azienda di Stato algerina Sonatrach in partnership con l’Eni, destinata ad allargare considerevolmente sia le capacità disponibili di trasporto del gasdotto Transmed sia la conseguente diversificazione nell’approvvigionamento di combustibili da parte italiana. Tutto ciò – in attesa delle prossime missioni governative in Congo, Angola e Mozambico – rappresenta la conferma di una special relationship che sopravanza la tradizionale alleanza (se non dipendenza) di Algeri dal suo storico alleato russo, fatto del resto già plasticamente rilevabile dalla felice visita del presidente Sergio Mattarella risalente al novembre scorso.
Sullo sfondo, tuttavia, resta inevaso il peso specifico dell’endemico “conflitto” algerino con il Marocco per la questione del Sahara Occidentale, radicalizzatosi come noto nell’estate scorsa fino all’interruzione dei rapporti diplomatici con Rabat. La situazione è resa più complicata dall’inatteso revirement della Spagna guidata da Pedro Sánchez, che ha abbandonato la propria neutralità per allinearsi a Washington e appoggiare re Mohammed VI riconoscendo la sovranità marocchina sulla regione rivendicata dal popolo Sahrawi sostenuto dall’Algeria (che a sua volta sconta l’appoggio di Rabat agli indipendentisti berberi della Kabylia). Risultato: la linea di frattura maghrebina si è estesa fino a Madrid, con la prospettiva di una tensione di lunga durata che riguarderà i rapporti commerciali e in modo particolare le forniture di gas, rispetto alle quali la Spagna è dipendente da Algeri per circa il 40 per cento del proprio fabbisogno. Di là dalle immediate schermaglie tra le cancellerie dei due Stati (con Sánchez in difficoltà di fronte a un Parlamento in larga parte contrario alla sua iniziativa), a pesare sono le dichiarazioni del direttore generale di Sonatrach che non esclude una revisione immediata dei prezzi del gas motivandola con gli effetti a medio raggio della crisi ucraina. Dietro a tali proclami, cui fa riscontro il proposito d’incrementare da qui a quattro anni la produzione per un investimento complessivo di 40 miliardi di dollari, s’indovina facilmente la conseguenza della crisi diplomatica scaturita intorno al Sahara occidentale rivendicato dal Fronte Polisario. Oltretutto, dopo aver richiamato il proprio ambasciatore il 16 marzo scorso, l’Algeria ha formalizzato il proprio rifiuto a cooperare nel salvataggio dei profughi provenienti dal Marocco e diretti verso le coste spagnole, in modo da accrescere quella pressione migratoria già tanto forte sull’enclave di Ceuta da motivare almeno in parte il repentino cambio di rotta iberico nelle relazioni con Rabat. Al quadro ritorsivo configuratosi bisogna poi aggiungere la sospensione del rimpatrio dei migranti irregolari sul territorio algerino e la riduzione del traffico aereo finora assicurato alla compagnia di bandiera Iberia.
Nel frattempo Algeri interviene anche con sottile pervicacia, sotto le insegne della Croce rossa, per intensificare le azioni di solidarietà con i Sahrawi destinatari di ulteriori aiuti umanitari (132 tonnellate di derrate alimentari) consegnati da quattro aerei militari algerini partiti dalla base di Boufarik per raggiungere il campo di rifugiati stanziati a Tindouf. L’Armata nazionale popolare algerina (ANP) conferma perciò il proprio impegno sul campo e lo fa ai più alti livelli: il generale di corpo d’armata e capo di stato maggiore, Saïd Chanegriha, ha dichiarato in un discorso pubblico fortemente retorico non soltanto la “fiducia nella capacità dell’Algeria di attraversare con successo le ripercussioni delle profonde mutazioni geopolitiche in corso nel mondo”, e cioè gli effetti della guerra russo-ucraina, ma anche la convinzione di poter garantire “un’economia nazionale forte, capace di assicurare la nostra sicurezza alimentare e il consolidamento della sovranità geostrategica nel processo di costruzione di un’Algeria nuova”.
Rabat, che nel mese scorso aveva istituito una nuova zona militare al confine orientale con l’Algeria per mostrarsi pronta ad affrontare qualsiasi minaccia esterna, avrebbe risposto con due offensive aeree contro veicoli algerini a una ventina di chilometri dalla frontiera con la Mauritania, nei pressi di Aïn Ben Tili. Un’escalation che rischia di irradiarsi carsicamente proprio nel quadrante in cui la Realpolitik occidentale necessita con urgenza di maggiore stabilità.