L’Asia Meridionale al centro della politica internazionale
L’Asia meridionale al centro di grandi novità per la geopolitica globale e per le relazioni tra i paesi che ne fanno parte. Il punto di Guido Bolaffi
L’Asia meridionale è al centro di novità di portata sismica per la geopolitica globale e per le relazioni tra i paesi che ne fanno parte.
A livello internazionale, infatti, come acutamente notava Chietigj Bajpaee, studioso della londinese Chatham House, nell’articolo pubblicato dal quotidiano nipponico Nikkei: “South Asia holds growing strategic significance amid the diffusion of power to the Global South. In terms of economic growth, South Asia is on track to be the world’s fastest-growing region this year [...] The rapid growth is fueled in no small part by South Asia’s demographic dividend, with almost 41% of the region’s population under the age of 18. This means the choices South Asia make will have broad implications for issues of global governance”.
Mentre per quanto riguarda l’interno del subcontinente asiatico le novità non si limitano al cambio di rotta impresso alla politica estera ai governi di sue importanti nazioni, ma riguardano la fine di alleanze tra paesi da sempre considerate immutabili. Ed il parallelo avvento di intese politico-diplomatiche fino a ieri neppure immaginabili. Come testimonia, da ultimo, un evento destinato a fare storia nella ultradecennale, aspra e purtroppo anche sanguinosa inimicizia competitiva tra i due maggiori paesi dell’area: India e Pakistan. E prodromico di conseguenze assai più complesse di quelle del contenzioso in atto tra India e Pakistan sul marchio di origine del riso basmati doc.
Una disputa assurta invece agli onori della cronaca internazionale grazie a Le Monde, che nell’articolo a tutta pagina pubblicato venerdì scorso 23 febbraio La guerre du riz basmati scriveva: “Le deux pays ennemis depuis 1947, se déchirent sur l’origine du célèbre grain parfumé. L’Inde, premier exportateur mondial, est devancée par le Pakistan sur le marché européen, mais a répliqué en déposant un dossier d’Indication géographique protégée”.
La vera grande novità di cui si faceva cenno poc’anzi è quella emersa alla fine dello scorso dicembre, quando grazie all’articolo Taliban to reopen New Delhi embassy, apparso sull’inserto di Foreign Policy, South Asia Brief, si è venuti a conoscenza che “The Taliban’s senior deputy foreign minister, Sher Mohammad Abbas Stanikzai, said that the Afghan Embassy will soon open in New Delhi [...] Allowing the Taliban to run the Embassy in New Delhi brings India into a small group of countries - all in Afghanistan’s neighborhood - that are willing to engage with the regime in ways that fall short of outright recognition”.
Questa notizia, pur lasciando molti a bocca aperta, non nasce dal nulla. Perché, spiegava con una breve nota lo stesso organo di informazione ricollegandosi a quanto precedentemente pubblicato, “New Delhi has compelling reasons to pursue a workable relationship with the Taliban, despite long-standing enmities [...] Deepening engagement with the Taliban enables India to push back against Pakistan’s influence in Afghanistan and to monitor terrorism threats emanating from Afghanistan”.
Un revirement politico-diplomatico tra Delhi e Kabul dalle tinte forti.
Tanto più se si considera che il Pakistan a dispetto “degli storici legami di fratellanza con il governo di Kabul”, quasi in contemporanea decideva di procedere al rimpatrio forzato di centinaia di migliaia di rifugiati afghani presenti sul suo territorio.
Decisione giudicata dai governanti talebani peggio di un tradimento. E che per questo non si sono limitati, come di prassi avviene nelle relazioni internazionali, a protestare per via diplomatica. Ma di infliggere al governo di Islamabad una punizione più consona al loro tradizionale modo di fare. Scatenando il terrorismo dei gruppi che infestano le montagne al confine con il Pakistan.
Un’operazione su larga scala i cui esiti sono rendicontati dal corsivo The threat on western border firmato da Zafar Khan Safdar sulle pagine di Pakistan Today dello scorso 16 febbraio: “Pakistan saw over 2867 fatalities in terrorist attacks last year, a 50 percent increase from 2021 and thrice the number in 2020. This surge in violence has raised concerns about the Tehreek Taliban Pakistan based in Afghanistan carrying out attacks on Pakistan”.
Ma per i paesi dell’Asia meridionale le novità non finiscono qui. Visto che, secondo Foreign Policy di inizio febbraio: “A month after Bangladesh’s general election which the U.S. State Department characterized as not free or fair, U.S. President Joe Biden wrote a letter to Bangladeshi Prime Minister Sheikh Hasina stating his desire to work together as bilateral relationship moves into a new phase. The letter, published by the U.S. Embassy in Dhaka, mentions cooperation on security, economic, climate change, health and humanitarian issues but it does not touch on democracy”.