L’Asia meridionale al voto
Conclusi, in Bangladesh e Bhutan, i primi due appuntamenti elettorali della regione sui cinque previsti per il 2024. L’analisi di Guido Bolaffi
Ha preso il via domenica 7 gennaio in Bangladesh e, a seguire, martedì 9 in Bhutan la grande tornata elettorale che nel 2024 interesserà 5 degli 8 paesi che formano l’Asia meridionale.
Nei prossimi mesi, infatti, oltre alle due succitate nazioni ne saranno chiamate alle urne altre tre: il Pakistan (salvo cambiamenti dell'ultima ora) a febbraio, l’India a maggio e lo Sri Lanka a settembre. Cinque appuntamenti che riguardano, sulla carta, 1 miliardo e 872 milioni elettori.
Un evento di cruciale rilevanza. Non solo per gli equilibri politici interni di questo inquieto e super popolato angolo del Pianeta. Ma soprattutto per le conseguenze geopolitiche che i suoi esiti potranno o potrebbero avere sulle relazioni internazionali scosse da crescenti, pericolose tensioni.
Non a caso sul quotidiano Nikkei del 28 dicembre passato Chietigj Bajpaee, studioso della londinese Chatham House, sosteneva che: “South Asia’s year of election matters for two reasons.
First is the fragility of the region’s democracy [...] Given the countries of South Asia account for roughly half of the world’s population living under democratic government, what happens here will play a significant role in dictating the state of democracy globally.
Second, South Asia holds growing strategic significance amid the diffusion of power to the Global South. In terms of economic growth, South Asia is on track to be the world’s fastest-growing region this year [...] The rapid growth is fueled in no small part by South Asia’s demographic dividend, with almost 40% of the region’s population under the age of 18. This means the choices South Asian make will have broad implications for issues of global governance”.
Va ricordato che molte nazioni sud-asiatiche sono usate come vere proprie pedine nel grande gioco geopolitico in atto tra Cina ed India.
Caso esemplare quello del Bhutan illustrato da Kiran Sharma e Phuntsho Wangdi nel pezzo India casts wary eye on revived China-Bhutan boundary talks: “Bhutan - a landlocked kingdom nested between nuclear-armed India and China - which is due for national assembly elections in the coming weeks held a 25th round of boundary talks with Chinese officials late in October during a rare visit to Beijing by Bhutanese Foreign Affairs over the Doklam Plateau [...] Close to Doklam Plateau is India’s Siliguri Corridor, a narrow strip of land which connects northeastern Indian states with the rest of the country. Some experts warn that a potential land swap could raise serious worries for India about accessibility in a hypothetical conflict and Chinese diplomatic representation in Bhutan could undermine New Delhi’s influence”.
Senza inoltre dimenticare che su quest’area del Pianeta grava il crescente, pericoloso interesse della Russia, su cui ha richiamato l’attenzione Michael Kugelman, che settimane addietro, sulle pagine della rubrica di Foreign Policy South Asia Brief, scriveva: “For much of this year, Russia was India’s top supplier of crude oil, and it sent its first shipment to Pakistan. In September, Sergey Lavrov became the first Russian foreign minister to visit Bangladesh; in November, three Russian naval ships docked in a Bangladeshi port. Russian naval officers participated in joint exercises with their Bangladeshi counterparts”.
Dalle due consultazioni elettorali fin qui svolte, e in attesa dell’esito delle altre tre in calendario, è possibile trarre una prima ancorché provvisoria considerazione.
Per i paesi dell’Asia meridionale, infatti, dove spesso si è verificata la cattiva abitudine politica per cui, con un motivo o per l'altro, le elezioni vengono mandate all’aria prima ancora di cominciare, il fatto stesso che in Bangladesh ed in Bhutan esse siano state indette, svolte e concluse rappresenta un indiscutibile conforto. Che non può essere sminuito né con l’argomentazione che il voto di un paese come il Bhutan, popolato da poche centinaia di migliaia di abitanti, è incomparabile con quello del Bangladesh che di abitanti ne conta più di 170 milioni. E neppure sulla base delle pesanti e sbrigative riserve da molti avanzate sull’esito delle urne che a Dacca hanno premiato il governo in carica della premier Sheikh Hasina.