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Le possibili scelte di Trump per la Vicepresidenza

Mentre si avvicinano le elezioni di novembre, Trump potrebbe presto sciogliere il nodo del candidato Vicepresidente. Ecco alcune possibili opzioni sul piatto, nel punto di Stefano Marroni

Ha scelto la strada dell’ironia: “Il corrotto Joe Biden dovrebbe ignorare i suoi molti critici e proseguire con forza e alacrità la sua potente e vincente campagna elettorale. Deve essere acuto, preciso e energico: proprio come è stato nel dibattito con me…”. Donald Trump sceglie di non affondare il colpo, di lasciare che siano il panico in casa democratica e i grandi media mainstream a dare il KO finale alla ricandidatura del presidente, proprio ora che il suo martellare sui limiti fisici e sull’età del suo rivale ha incassato anche la prova regina di un dibattito che peggio non poteva andare, per l’inquilino della Casa Bianca. Davanti alle telecamere della Cnn, Donald Trump ha fatto tutto quel che doveva fare per mettere in difficoltà il suo successore, ma a cose fatte si guarda bene dal dire la sua nella discussione sull’opportunità o meno che “Sleepy Joe” si faccia da parte. Mostrando in chiaro che preferisce coltivare il vantaggio che ora tutti i sondaggi gli attribuiscono su Biden alle incertezze di una sfida con un altro candidato: magari non più forte, ma certamente più giovane e meno inviso anche di lui a tanta parte dell’elettorato.

Nei suoi interventi - gli ultimi ormai prima della convention repubblicana che dal 15 al 18 di luglio a Milwaukee, nel Winsconsin, lo incoronerà per la terza volta come candidato alla Casa Bianca – il tycoon di New York ha in qualche modo smesso anche i toni dello sfidante per prendere quelli di uno che sente la vittoria vicina. E comincia a pensare al dopo, stringendo sulla scelta del suo futuro vice.

Tutti i media internazionali lavorano ormai a scenari e retroscena che danno per assunto - “anche se a volta succedono i miracoli”, per dirla con lo storico Mark Updegrove – il ritorno di Trump nello Studio Ovale. Con in primo piano i preparativi degli alleati della Nato, le speranze di Putin e i giochi in extremis di Bibi Netanyahu. Anche se all’elettore americano rubano gli occhi soprattutto l’elenco delle cose che “The Donald” ha detto di voler fare e i dubbi – e la paure – su quelle che riuscirà a fare.

Il New York Times, sotto il titolo “Se vince Trump”, ha pubblicato una lista di provvedimenti in linea con le sue promesse più estreme, che la recente sentenza della Corte suprema sull’assoluta immunità del presidente rende per certi versi inquietanti: dalle deportazioni di massa dei clandestini alla cancellazione dello ius soli, dall’uso delle agenzie federali contro gli avversari politici e la stampa al dispiegamento delle forze armate per riportare l’ordine nelle città governate dai democratici, al ritorno massiccio ai dazi sulle merci importate ed il ventilato ritiro dalla Nato.

Per parte loro, i suoi fan più convinti non fanno granché per mitigare i toni. Da un lato, l’area cristiana fondamentalista – che in molti stati ha già di fatto fortissimamente limitato il diritto all’aborto e in alcuni anche l’inseminazione artificiale – spinge per un divieto assoluto dell’interruzione di gravidanza a livello federale. Dall’altra la Heritage Foundation – un think tank conservatore ormai su posizioni ultra MAGA, di cui fanno parte tra gli altri Ben Carson e Paul Dans – ha diffuso con “Project 2025” le linee guida di un programma di governo che promette “una seconda rivoluzione americana, che potrà essere con o senza spargimento di sangue – ha scandito il presidente Kevin Roberts nella War Room di Steve Bannon – a seconda di come si comporterà la sinistra”.

Toni incendiari, da cui nel nuovo scenario è Trump in persona – dopo aver promesso di voler lasciare ai singoli Stati la legislazione sull’aborto - a prendere clamorosamente le distanze: “Non so nulla di ‘Project 2025’”, ha detto ad esempio sui social network: “E non ho idea di chi ci sia dietro”. Ed è toccato a Marco Rubio – il giovane senatore cubano della Florida che provò a sbarrargli il passo nel 2016, ma da anni ormai è un suo fido alleato - ridimensionare la portata pratica del progetto ultraconservatore: “La Heritage Foundation è un think tank, un think tank di centrodestra che fa un lavoro da think tank: tirano fuori idee, dicono cose su cui a volte si è d’accordo a volte no”, ha detto intervenendo in State of the Union sulla Cnn. “Ma il nostro candidato non è Kevin Roberts, è Donald Trump: e non mi sembra che lui abbia detto quelle cose”.

Hanno un peso tanto maggiore, le parole di Rubio, perché c’è innanzitutto il suo nome nella cerchia stretta di candidati da cui Trump pescherà nei prossimi giorni il candidato alla vicepresidenza, completando davanti alla convention il ticket repubblicano. Il tycoon dice di aver deciso da tempo, ma coltiva il segreto sulla scelta finale, capitalizzando al massimo i vantaggi per la sua candidatura del lavoro di un gruppo aggressivo e dai profili diversi, che in questi mesi lo ha difeso nei dibattiti televisivi e lo ha molto aiutato nel riequilibrare la raccolta di fondi nella corsa con Biden. Da mesi a Washington si dice di sapere che dal quartier generale di Mar-a-Lago, in Florida, hanno chiesto a otto personalità repubblicane di inviare le carte necessarie per la selezione. Tra loro c’è una donna, Elisa Stefanik (la deputata di New York che è tra i pasdaran della prima ora di Trump), tre neri – l’ex segretario alla Casa Ben Carson, il senatore della Florida Byron Donalds e quello della South Carolina Tim Scott – e l’emergente Tom Cotton, il senatore dell’Arkansas che per le sue brillanti prestazioni televisive e le competenze in politica internazionale sembra comunque destinato ad un ruolo nella prossima amministrazione.

La scelta finale del VP, però, sembra destinata a stringersi su un terzetto che pure, in passato, non ha risparmiato critiche a Trump. In pole c’è appunto Rubio, che – passati i tempi in cui il tycoon lo sbeffeggiava chiamandolo “little Marco” – ha stabilito un solido rapporto con lui e potrebbe portargli una dote cospicua. Il rapporto con i non forse repubblicani mainstream, per cominciare, che alle primarie hanno finanziato e inutilmente sostenuto Nikky Haley. Vanta una ricca esperienza politica e un notevole appeal televisivo, a cui l’ex costruttore diventato tv star con “The Apprentice” è notoriamente molto attento. Ma soprattutto, a militare per Rubio, ci sono le sue radici cubane, che anche secondo molti osservatori democratici potrebbero allargare le brecce già aperte nella fedeltà blue delle comunità dei latinos, e che in stati chiave come il Nevada, l’Arizona e la Pennsylvania.

L’altra grande carta di Trump appare J.D. Vance, il senatore dell’Ohio che nel 2016 accusò Trump di essere “l’Hitler d’America” ma ha lentamente risalito la china: oggi piace molto a Donald Jr. e a Tucker Carlson, che puntano sulle sue doti di combattente nei tv show e sottolineano un curriculum (laurea in legge a Yale, esperienza di combattimento con i marines in Iraq) che porta simpatie in ambienti lontani da Trump ma pesanti in termini di flussi finanziari alla campagna. Come sta molto nella potenza economica dei suoi sostenitori (da Dick Boyce e Tom Siebel) anche la chiave dell’appeal crescente del terzo più probabile candidato, il governatore del North Dakota Doug Burgum, che è ricco di suo (a suo tempo vendette la sua azienda a Bill Gates per oltre un miliardo di dollari) e ha “lo standing del Vip” : anche se contro di lui potrebbero giocare la scarsa visibilità nazionale e posizioni antiabortiste radicali, che nelle midterm del 2022 si sono rivelate crypyonite per gran parte dell’elettorato femminile.

Nessuno dei tre appartiene, e non per caso, al cerchio magico dei volti MAGA, che “eccitano la base ma non aiutano ad attrarre nuovi elettori”, spiega un consulente di vecchia data delle campagne repubblicane come Mark McKimmon. E danno un’impressione di affidabilità a lungo termine che nell’altro campo – ad esempio - appesantisce non poco l’immagine di Kamala Harris: “Stiamo decidendo tra ottime persone”, ha spiegato Trump con intenzione, in un’intervista al sito Newsmax: “E la cosa più importante - e su questo insisto molto, perché credo che alla gente importi molto - è che se dovesse succedermi qualcosa – qualcosa di brutto , intendo - ci deve essere qualcuno in grado di subentrare al mio posto e a fare un gran lavoro come presidente”. Anche i duelli tv tra i candidati vice, stavolta, saranno tutti da vedere.

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