Le relazioni tra India e Stati Uniti: un nuovo inizio?
È Joe Biden che ha smussato la linea dura nei confronti dell’India di Narendra Modi, oppure è il Premier indiano che ha deciso di mettere da parte la sua convinta, conclamata ostilità nei confronti del nuovo inquilino della Casa Bianca?
Una domanda che sorge spontanea di fronte alla volontà di dialogo e di collaborazione manifestati negli ultimi mesi dalla amministrazione americana e quella di New Delhi. Nonostante le difficoltà e le tensioni legate alle aperte, negative reazioni manifestate ai piani alti del governo indiano nelle ore immediatamente successive all’annuncio della sconfitta di Trump e del passaggio di Washington nelle mani dei democratici. Ma in politica, si sa, nulla è impossibile. Perché, dicevano i latini, Spirat ubi Vult. Che nel caso trova una singolare ma significativa conferma nel comportamento del Ministro degli Esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar. Il quale quando il risultato elettorale americano era ancora in bilico affermava: “In the Trump vision of the world, allies have disappointed America and competitors have cheated it. India is fortunate in being neither”. E che invece tra il 24 ed il 28 dello scorso maggio è stato il primo rappresentante del governo Modi a mettere piede nella “poco amata” America di Biden per garantire al suo paese il massimo possibile degli aiuti sanitari dall’amministrazione statunitense.
La verità, per rispondere al quesito da cui eravamo partiti, è che l’avvio del nuovo corso nelle relazioni indo-americane è fondamentalmente figlio dell’azione simultanea e congiunta di tre fattori trainanti: il fallimento del governo Modi nella lotta alla pandemia ed il bisogno di aiuto degli americani; la conferma che anche per la nuova amministrazione democratica statunitense la Cina resta il nemico da combattere; la capacità di pressione della potente lobby della diaspora indiana negli USA. Vediamoli uno ad uno partendo dall’ultimo.
Un articolo pubblicato dal quotidiano Indian Express il 7 maggio scorso con il titolo How diaspora pushed US to help India’s Covid efforts spiegava: “The US-India Strategic Partnership Forum is helping with 12 ISO containers for the transport of oxygen to India. The US-India Business Council has appealed to its members to offer assistance. On April 27, Secretary of State Antony Blinken convened a Zoom meeting of business leaders. An Indian participant reported that a massive effort and dollars have been invested in supplying assistance urgently. It is easy to see behind America’s turn round the benign hand of the Indian diaspora backed by friendly American public figure and proactive diplomacy by India. Pramila Jayapal, the Congresswoman who riled the Modi government for her criticism of the human rights, raised her voice stressing that it was both the right and necessary thing to assist India.” Sullo stesso tono l’appello, seguito a pochi giorni di distanza, di Joe Wilson. Parlamentare repubblicano di lungo corso della South Carolina: “As member of the House Caucus on India and Indian-Americans and a friend of India...I am grateful for the friendship of the Indian-American International Chamber of Commerce, led by CEO and President KV Kumar. In response to the ongoing crisis in India, the IAICC has established a special working group with Dr. Narasimhulu Neelagaru as Chairman in coordination with Ambassador Taranjit Singh Sandhu and Consul Generals of India to assist India in overcoming this phase of the pandemic”.
Anche se sfuggita o sottovalutata da molti analisti, la capacità di pressione della potente diaspora indiana (e dei suoi quasi 5 milioni di appartenenti) ha certamente avuto un ruolo fondamentale nel convincere l’amministrazione Biden a togliere il blocco all’esportazione dei materiali sanitari previsto dal US Defense Production Act (DPA). Una decisione accolta con grande soddisfazione dal governo di Delhi perché, spiegava Rudra Chaudhuri direttore della Fondazione Carnagie India nell’articolo To Help India, Biden Must Unclog the Vaccine Supply Chains: “This is an excellent news...it would ease the vaccine supply chain for manufacturers based in India. The considerable efforts of Indian ministers and officials, members of U.S. Congress, the Indian American diaspora and other civil society actors appeared to have been successful. Yet so far, the payoff has yet to be realized”. Una svolta suggellata sul piano politico da due eventi che hanno consentito alle relazioni tra i due paesi di procedere ben oltre la semplice, garbata ripresa di dialogo tra avversari di lunga data. Il primo, che risale al marzo 2021, in occasione del Vertice dei Capi di Stato dei paesi del Quad (Giappone, Australia, India e Stati Uniti). Che ha consentito il primo vis-a-vis tra Biden e Modi. Il secondo, la lunga telefonata del 26 aprile scorso nella quale il Premier Indiano, nel ringraziare il Capo della Casa Bianca per la rimozione dell’U.S. Defense Production Act “underscored the importance of smooth and efficient supply chains of vaccine raw materials and medicines”. Eventi a dir poco fruttuosi che debbono molto all’intelligenza politica di cui Biden ha dato, nell’occasione, sicura dimostrazione. Decidendo, nel momento in cui Modi era in ginocchio a causa della inefficienza del suo governo nella lotta al Covid e crescevano sinistri gli scricchiolii della sua lunga, incontrastata leadership, di non affondare il coltello ma di tendere la mano. E di creare tra i due governi un clima se non di amicizia di una possibile, reciproca disponibilità. Che, è ben noto, rappresenta nelle relazioni politiche internazionali un’indispensabile sine qua non. Tanto più nel caso, obbiettivamente complesso e delicato, di due nazioni definite con un pizzico di enfasi le democrazie, più ricca l’una, più popolosa l’altra, del Pianeta. Infatti, sottolinea con fine intelligenza Ashley J. Tellis della Carnagie Endowment for Peace di Washington nel saggio Well Begun is Half Done? (Chi ben inizia è a metà dell’opera?): “The Quad’s support for India’s pharmaceutical industry to help manufacture vaccines for global distribution and Biden’s decision to avoid demanding that India quickly commit to net-zero emissions have transformed potentially prickly transnational challenges into new opportunities for cooperation”. Ma non basta.
Secondo lo studioso del think-thank washingtoniano, infatti, la vera svolta nelle relazioni indo-americane, e che ha dato loro le ragioni per procedere ad un riavvicinamento ben più convinto e di più lunga prospettiva rispetto a quello figlio del disgelo, importante ma momentaneo, imposto dall’emergenza sanitaria, è avvenuta grazie al fatto che: “New Delhi has been reassured by Biden administration’s persistence with the tough-minded approach toward China…As a result, India’s lurking fears that Washington might return to colluding with Beijing – the source of many unhappy memories in New Delhi – have been alleviated….the Biden administration’s efforts conveyed two striking signals: First, that Washington recognizes that traditional business-first approach to China no longer serves its strategic interests; Second, that Washington is serious about pursuing coalition-based strategies to constraint China, strategies in which India will play a prominent role…The way Biden resisted prioritizing Pakistan in this process also augurs well for continued US-India cooperation”. Tutto bene dunque? Fino ad un certo punto.
Non solo perché il processo distensivo, che non sarà breve, tra l’America del democratico Biden e l’India del nazionalista Modi è solo all’inizio di un cammino irto di problemi e trabocchetti di ogni genere. Sul quale già si intravedono, in tutta la loro minacciosa chiarezza, due serie, serissime difficoltà. Figlia, la prima, della crescente ostilità della società civile e del Congresso americani nei confronti dei rischi che corre la democrazia indiana sotto i colpi del settarismo professato, e apertamente incoraggiato, da Modi e dal suo partito. Un’opposizione che non vede certo di buon occhio l’appeasement in atto tra i due paesi e che per Biden non sarà facile, nei mesi a venire, tenere a bada. La seconda rappresentata dal radicale, anche se al momento silente, storico antiamericanismo di ampi settori della società indiana. E, cosa ancor più preoccupante, condiviso da molti militanti e dirigenti del Bharatia Janata Party che governa il paese. I quali, ostili al processo di distensione con l’America, cercano di intralciarlo in tutti i modi. Tirando, come si dice, le cose per le lunghe. Nella speranza che una possibile sconfitta dei democratici di Biden alle elezioni di mid-term del prossimo anno consenta loro di tornare ad alzare la voce e cambiare le carte in tavola.