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Le vulnerabilità degli stretti strategici di Hormuz e Bab-el-Mandeb

Dall’assertività dell’Iran alle tensioni tra gli attori del Corno d’Africa, passando per la pirateria e il terrorismo: il peso degli stretti strategici nella nuova instabilità del quadrante Golfo-Mar Rosso.

Nell’attuale contesto globale, l’area tra il Mar Rosso e l’Oceano indiano, nella regione che circonda la penisola arabica, rappresenta senza dubbio uno dei tre hotspot internazionali di riferimento per questi primi cinque mesi del 2024 – insieme all’Ucraina e a Israele. Dagli attacchi al commercio marittimo da parte degli Houthi yemeniti, alle latenti tensioni tra gli attori della regione e agli altri macrofenomeni di origine naturale e antropica, sono infatti numerosissimi gli avvenimenti significativi accaduti in questo quadrante geografico.

Vi è tuttavia un fattore che, pur non rappresentando la causa scatenante di ogni singolo avvenimento, di sicuro rappresenta un elemento in grado di condizionare fortemente quello che avviene nel suddetto quadrante Golfo-Mar Rosso: la presenza di due stretti marittimi dalla rilevantissima importanza economica, politica e militare, come sono Bab-el-Mandeb e Hormuz.

Data la peculiare conformazione geografica, la presenza dei due stretti riesce ad amplificare ogni potenziale minaccia o avvenimento che si verifichi nelle immediate vicinanze, garantendo anche ad attori con risorse scarse – come terroristi e pirati – la possibilità di veder crescere il peso e la pericolosità del loro operato.

Si pensi al caso degli Houthi. Gli attacchi da parte del gruppo terroristico alle navi commerciali che transitano attraverso lo stretto di Bab-el-Mandeb hanno arrecato seri danni alle infrastrutture critiche e alle compagnie di navigazione operanti nella regione del Mar Rosso. In modo analogo, un’altra seria minaccia è rappresentata dai gruppi di pirati attivi nel Golfo di Aden, i cui assalti alle imbarcazioni – in costante aumento secondo i dati dell’International Maritime Bureau, una divisione specializzata della Camera di Commercio Internazionale (ICC) – aggiungono ulteriori criticità al già fragile settore dello shipping. Secondo alcune recenti analisi, questo incremento potrebbe essere correlato alla stessa instabilità nel Mar Rosso, dato che parte delle forze navali, originariamente presenti nell’area per proteggere il commercio marittimo dalla pirateria, è stata inviata vicino alle coste yemenite per contrastare i ribelli Houthi. Conseguentemente, la ridotta presenza di operazioni antipirateria ha fornito ai pirati l’opportunità di colpire un numero maggiore di bersagli, facilitati – per l’appunto – dalle ridotte dimensioni del contesto marittimo in esame.

Questa situazione, unita agli attentati del gruppo yemenita, ha spinto gli armatori internazionali a modificare le rotte di navigazione, preferendo quelle passanti per il Capo di Buona Speranza, nonostante i costi di trasporto più elevati.

Tuttavia, lo Yemen non è l’unico contesto fragile e incubatore di minacce dell’area. Dall’altra parte dello stretto di Bab-el-Mandeb, i paesi del Corno d’Africa e, in particolare, la Somalia rappresentano, infatti, ulteriori incognite per la sicurezza della regione.

Nell’area sono presenti numerosi potenziali elementi di instabilità, le cui radici afferiscono a dispute di carattere territoriale, a rivalità politiche e alla serrata competizione per l’influenza regionale. Tra questi, le crescenti tensioni tra l’Etiopia e i paesi rivieraschi di Somalia, Eritrea e Gibuti, la guerra civile in Sudan, gli scontri etnici nelle regioni etiopi dell’Amara e del Tigray, le aspirazioni secessioniste del Somaliland da Mogadiscio, oltre alla cronica fragilità dello stato somalo.

Da questo contesto già di per sé complicato potrebbero avere origine altre minacce di ordine non statale: si tratta di organizzazioni terroristiche africane che, sfruttando l’esigua ampiezza geografica dello Stretto, potrebbero emulare le attività degli Houthi. Tra questi spicca senz’altro Al Shabaab, attivo principalmente in Somalia. Il gruppo mira a contrastare il governo di Mogadiscio, gli attori occidentali presenti nel paese e anche gli altri paesi della regione che sostengono la Somalia. Sebbene al momento non ci siano informazioni riguardo ad attività di Al Shabaab o di altri gruppi terroristici africani contro navi e infrastrutture critiche, esiste la possibilità che essi modifichino la propria strategia, in maniera simile a quanto fatto dagli attori yemeniti, e cerchino di estendere le loro attività terroristiche al contesto marittimo.

Spostando l’attenzione verso Est, anche lo stretto di Hormuz per sua natura è esposto ai medesimi rischi di Bab-el-Mandeb. Probabilmente vi è una minore fragilità rispetto alla minaccia terroristica e della pirateria, data la mancanza di una coppia di stati altamente instabili nelle sue due sponde come sono la Somalia e lo Yemen nel primo caso.

Eppure, lo Stretto – strategicamente cruciale per il transito delle navi che trasportano idrocarburi – risulta comunque vulnerabile alle tensioni di ordine statuale, rispetto alle quali l’Iran gioca un ruolo di primo piano. La Repubblica Islamica, infatti, alla guida di un sistema di milizie proxy noto come “Asse della Resistenza”, cerca di estendere la propria influenza nel Golfo mediante una strategia a doppio binario: da un lato, attraverso alleanze, supporto militare e attività diplomatiche e, dall’altro, aumentando il controllo, la costruzione di infrastrutture e la presenza militare diretta nello Stretto.

A tal fine, Teheran ha installato numerose basi lungo la costa di fronte all’Oman e ha avviato una politica di insediamento sulle isole di Abu Musa e Tunb – situate di fronte agli Emirati Arabi Uniti e oggetto di disputa con questi ultimi – per rafforzare la propria power projection anche sul versante marittimo. Sul fronte energetico-infrastrutturale, la Repubblica Islamica ha inoltre proceduto alla creazione di un oleodotto lungo oltre 1000 km che dai siti estrattivi di Goreh, vicino al confine con il Kuwait, arriva al terminal petrolifero di Jask, al di fuori dello Stretto. Inaugurata nel 2021, l’infrastruttura consente di esportare petrolio bypassando Hormuz e, quindi, di garantire la continuità delle esportazioni anche in caso di blocchi o conflitti nella regione.

Tra i principali player dell’area, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono senza dubbio i due attori che contendono all’Iran l’egemonia sul Golfo. Da tempo sono in corso dialoghi di alto livello per favorire la distensione ed è improbabile uno scenario tanto critico da comportare l’esistenza di veri e propri blocchi navali. Tuttavia, è pur vero che permane una latente competizione politica, economica e militare tra i tre, resa ancora più instabile dallo scoppio della guerra tra Hamas e Israele.

Pur essendo, quindi, remota la possibilità che tutto ciò si tramuti in uno scontro aperto, l’unione dei singoli eventi lascia spazio anche a scenari ben peggiori delle “sole” tensioni diplomatiche. Alla luce dei recenti scontri tra l’Iran e il Pakistan a gennaio e con Israele ad aprile, sembra ad esempio che l’utilizzo della forza non venga scartato a priori da Teheran.

In attesa di capire quali saranno gli sviluppi politici del post-Raisi, ecco che la regione del Golfo potrebbe risultare ancora più esposta a nuove possibili crisi e tensioni di quanto non sia già stata in questi mesi.

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