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Libia, crescono le tensioni

Lo stallo istituzionale e la crisi economica in Libia rischiano di portare il paese verso una situazione sempre più grave con un crescendo di tensioni interne. Il punto di Daniele Ruvinetti

Diversi movimenti giovanili libici stanno dichiarando la loro insoddisfazione, e stanno sfruttando anche i canali digitali per organizzare manifestazioni di protesta per l’attuale stallo istituzionale. Si tratta di dinamiche complesse e delicate, soprattutto se inserite nel contesto imposto dalle questioni internazionali (su tutte l’inflazione dei prodotti alimentari) che richiamano alla memoria i moti popolari che la regione ha già vissuto nel passato recente.

La situazione è critica. Le condizioni di vita in Libia sono fortemente deteriorate, il peso dell’interruzione dell’energia elettrica per lunghi periodi di ogni giornata è un disagio considerevole per i cittadini. La necessità di una risposta politica – chiara, certa – sta diventando un’esigenza sociale per salvare il Paese da derive potenzialmente incontrollabili.

Sembra ormai pacifico che nessuno ha la forza di governare la Libia da solo e sembra avere le capacità di prendere in mano il potere e procedere ad avviare un percorso di dialogo e stabilizzazione. I due contendenti, alla guida di due diversi esecutivi, Abdelhamid Dabaiba del Governo di unità nazionale (GNU) e Fathi Bashaga del Governo di stabilità nazionale (GNS), sono sostanzialmente bloccati. Si muovono in un perimetro ristretto senza riuscire ad aiutare davvero il Paese, trascinandolo in un gioco a somma zero.

La recente decisione del Consiglio dei ministri del GNU di nominare come nuovo presidente del consiglio di amministrazione della compagnia petrolifera National Oil Corporation (Noc) Farhat bin Qadara, sollevando dall’incarico Mustafa Sanallah, rientra in questa competizione all’interno di spazi di manovra angusti.

Il governo di Dabaiba, che ha formato una commissione per occuparsi del passaggio di consegne, ha sostanzialmente messo in difficoltà Bashaga. La nomina ricade infatti su una figura vicino a Khalifa Haftar, leader politico-militare di Bengasi che ha fatto parte dell’intesa Est-Ovest attraverso cui l’Onu ha sfruttato l’ultimo cessate il fuoco per costruire il governo Dabaiba. Ma Haftar successivamente si era spostato su Bashaga, trovando con lui una forma di accordo. La mossa di Dabaiba segna una svolta politica che stringe ulteriormente il perimetro di azione del GNS, mentre il GNU si assicura una facilitazione nell’innesco delle procedure di riapertura e sblocco dei pozzi petroliferi (chiusi per protesta da uomini vicini all’Est libico haftariano).

Va detto che quella di Farhat Omar bin Qadara potrebbe essere comunque una scelta saggia perché è un manager di grandi capacità professionali, riconosciuto a livello internazionale e con una grande esperienza nel settore economico. Non a caso la NOC ha repentinamente sollevato le “cause di forza maggiore” che chiudevano i terminal di Zueitina e Brega, nel Golfo della Sirte. Questo dovrebbe permettere anche la riapertura dei flussi di condensato utile per far fronte alle carenze (almeno nell’Est) e mantenere l’approvvigionamento di carburante alle centrali elettriche almeno nella zona. Ossia risolverà parte di problemi che stanno affliggendo la popolazione.

Tutto questo potrebbe in effetti allargare l’orizzonte all’attuale premier, che otterrebbe – con la riapertura degli impianti energetici – anche un aumento di flussi di cassa dal maggiore asset economico del Paese e potrebbe trovare una quadra nella ripartizione con Haftar.

Allo stesso tempo però si tratta di un’operazione piuttosto sensibile perché potrebbe mettere in difficoltà anche il leader della Camera dei Rappresentanti (HoR), Agila Saleh, che aveva puntato molto sull'’accordo politico che ha portato Bashaga ad aver ricevuto la fiducia politica da un gruppo nutrito di deputati guidati proprio da Saleh.

Dabaiba, sebbene rafforzato, resta comunque un altro premier – come l'onusiano Fayez Serraj prima di lui – senza appoggio e dialogo con il parlamento. Una condizione che segna ulteriormente la spaccatura in corso.

Va anche aggiunto che sulla nomina di Qadara – o forse meglio dire sulla sostituzione di Sanalla, che occupava quell'incarico dal 2014, godendo di un ampio sostegno da parte dei governi occidentali – potrebbero aver pesato interessi e sponsorizzazioni di attori esterni. Questo significherebbe che di nuovo il peso delle potenze regionali sta tornando protagonista sugli affari interni della Libia.

Se non risolta, questa nuova fase di biforcazione del potere esecutivo potrebbe portare al riaprirsi di possibili nuove stagioni violente. Anche alla luce di come il settore della sicurezza libico nell’ultimo anno è completamente finito vittima delle milizie e i comandanti più importanti abbiano aumentato il loro potere. Le milizie sono uno stato nello stato che spesso si fa interlocutore dei cittadini: il rischio è che parte di quei giovani frustrati e disillusi le vedano come un’alternativa alle deboli e autocentranti istituzioni.

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