Libia, da Washington nuove spinte per la stabilizzazione?
La visita del presidente dell’HCS a Washington segna un momento importante: dagli USA arriva una spinta per evitare che il disordine allunghi lo stallo e riaccenda le tensioni. L’analisi di Daniele Ruvinetti
Una serie di rinnovate attività del governo statunitense hanno riacceso i riflettori sulla Libia: ci sono stati contatti diplomatici con paesi alleati, incontri con le delegazioni di settore e corpi sociali, nuove mosse di USAid. Ma più importante di tutti, presso la sede del Dipartimento di Stato americano, Mohamed Takala, presidente dell’Alto Consiglio di Stato (HCS), ha incontrato il vicesegretario di Stato americano per gli Affari del Nord Africa, Joshua Harris, e l’inviato statunitense per la Libia, l’ambasciatore Richard Norland.
A Washington, Takala ha guidato una delegazione composta dai membri dell’HCS Jumaa Al-Shawish, Hassan Al-Habib e Muhammad Moazib, che ha discusso della nuova iniziativa dell’inviato delle Nazioni Unite in Libia, Abdoulaye Bathily e degli sviluppi interni al paese. Ma anche della crisi militare che sta squarciando il Medio Oriente, con i riflessi della guerra a Gaza che ovviamente si allungano fino al Nordafrica, toccando la Libia in una fase che appare perennemente sensibile.
Takala a Washington ha parlato della cooperazione nel campo dell’istruzione superiore (pensata per semplificare le procedure per gli studenti libici che vogliono andare nei college americani), nonché degli investimenti nel settore energetico. Ma soprattutto, il politico tripolino ha condiviso con i funzionari americani una visione per il futuro del paese.
Il presidente dell’HCS ha ricevuto un invito chiaro per procedere verso un accordo interno con la Camera dei Rappresentati (HoR) su cui basare il percorso verso un governo unitario che finalmente porti il paese alle elezioni. Da non sottovalutare che lo stesso Takala in questi giorni è volato anche a Mosca, certamente informando del viaggio i funzionari americani, ma testimoniando che la Russia ha ancora influenza sulla Libia e non solo dove è militarmente piantata – attraverso gli accordi del Wagner Group con le forze del Generale Khalifa Haftar, anch’egli di recente nella capitale russa – ma anche nella Tripolitania.
Nel frattempo, come accennato, Bathily ha avviato la sua iniziativa di stabilizzazione. Ha invitato a un tavolo di confronto il Consiglio presidenziale di Mohammed al Menfi, e il premier del Governo di Unità Nazionale, Abdelhamid Dabaiba, nonché HoR, HCS e Haftar. Obiettivo ampio: discutere del futuro del paese. Ma i risultati non sono stati eccezionali. Basti considerare l’indignazione suscitata tra gli esponenti dell’HoR perché non intendono dialogare con Dabaiba – considerano scaduto il diritto di governare, visto che non è riuscito nell’intento di organizzare le elezioni secondo i tempi assegnategli (oltre due anni fa) dall’ONU. Lo stesso Haftar sembra non accettare questo schema di confronto, perché – come l’HoR – non riconosce il governo Dabaiba. Inoltre, sia il leader di Bengasi che il parlamento di Tobruk contestano l’assenza al tavolo onusiano dell’esecutivo alternativo che si muove in Cirenaica: il Governo di Stabilità Nazionale di Osama Hammad.
A questo punto, mentre il puzzle interno alla Libia è caratterizzato da una grande divisione, mentre la Russia vuole giocare un ruolo alternativo a quello della mera (per quanto efficace) presenza securitaria a Bengasi e dintorni, e mentre la Turchia ha approvato l’estensione per altri 24 mesi della missione militare in Tripolitania, gli Stati Uniti sono l’attore internazionale che si muove con maggior peso per mettere ordine. In mezzo, si registra il grande scetticismo dei libici – sia cittadini comuni che élite politica, intellettuale ed economica – nei confronti dell’ONU. Come dimostrano gli ostacoli che Bathily sta incontrando, anche sulla scorta di una serie di scarsi risultati registrati in oltre un decennio.
Il rischio che la divisione si acuisca è sempre dietro l’angolo, con la continuazione della fase di stallo che potrebbe facilmente diventare l’elemento che scalda gli animi. Va aggiunto il rischio che la Libia torni a essere sfogatoio di tensioni esterne, e mentre anche le istanze interne tornano a tendere allo scontro, l’unica possibilità passa per soluzioni alternative e diplomaticamente più fresche, che possano portare ad accordi trasversali – sui quali una garanzia internazionale come quella che si potrebbe legare a un qualche impegno americano sarebbe elemento decisivo.